Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20508 del 21/04/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 20508 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’AMICO FRANCESCO N. IL 18/03/1934
avverso l’ordinanza n. 73/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di
CATANZARO, del 15/05/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIMOMO ROCCHI;
lette/se e le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difens Avv.;

Data Udienza: 21/04/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 15/5/2014, il Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro
rigettava l’istanza proposta nell’interesse di D’Amico Francesco, nei cui confronti
è in esecuzione la pena dell’ergastolo per i delitti di cui all’art. 416 bis cod. pen.
e per quello di omicidio continuato in concorso, di differimento dell’esecuzione
della pena per grave infermità fisica o di detenzione domiciliare.
Il Tribunale dava atto dei problemi cardiaci e dell’operazione chirurgica al

la concessione di quanto richiesto: il detenuto era attentamente monitorato in
istituto mediante scrupolose visite ed accertamenti e non sussisteva alcuna
situazione di incompatibilità con il regime carcerario; in particolare, la dilatazione
dell’aorta toracico addominale risultava sotto controllo e, in caso di necessità, un
intervento chirurgico avrebbe potuto essere eseguito ai sensi dell’art. 11 ord.
pen.; analoghe considerazioni potevano essere svolte per il carcinoma al volto.
Il sanitario dell’istituto non aveva riferito di alcuna incompatibilità dello stato
di salute con il regime carcerario, né le patologie erano tali da far ritenere che la
detenzione fosse contraria al senso di umanità, non essendo sufficiente la
circostanza che D’Amico dovesse essere aiutato da un piantone nello
svolgimento di qualche attività.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Francesco D’Amico, deducendo
violazione di legge e vizio di motivazione.
La relazione sanitaria richiamata nel provvedimento non affermava la
compatibilità del grave stato clinico con il regime carcerario; il Tribunale aveva
inoltre omesso di dare conto delle conclusioni espresse dal consulente della
difesa nel senso dell’assoluta incompatibilità e del pericolo di vita dipendente dal
regime carcerario, né aveva provveduto sulla richiesta avanzata dalla difesa
all’udienza camerale del 15/5/2014 di disporre una perizia.
Secondo il ricorrente, il Tribunale era incorso in un errore di diritto,
confondendo l’istituto del differimento obbligatorio della pena, il cui presupposto
è l’incompatibilità delle condizioni di salute con il regime carcerario, con quello
facoltativo, che non richiede come elemento essenziale tale incompatibilità. Era,
quindi, necessario verificare in che misura il regime carcerario interferisse
sull’evoluzione dello stato clinico del detenuto.
Il differimento facoltativo mira a contemperare i diversi valori di rilievo
costituzionale: tutela della salute, tutela del senso di umanità, esigenza della
certezza della pena; il Tribunale avrebbe, quindi, dovuto tenere conto dell’età
avanzata del detenuto (80 anni) e del lunghissimo periodo di detenzione già
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volto del condannato, ritenendo peraltro insussistenti i presupposti di legge per

sofferto (venti anni): dati che rendevano adeguata e coerente la misura della
detenzione domiciliare.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

3. Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, conclude per il rigetto
del ricorso.

1. Il ricorso deve essere rigettato.

In primo luogo si deve rimarcare che il ricorso manca di autosufficienza sul
punto della censura mossa al Tribunale di Sorveglianza per l’omessa
considerazione della consulenza tecnica a firma del dr. Enrico Hoffman prodotta
dalla difesa: tale elaborato non è allegato al ricorso, né è presente nel fascicolo
del procedimento trasmesso a questa Corte; di conseguenza la censura non può
essere valutata.

Quanto, poi, alla mancata ammissione di una perizia d’ufficio sulle condizioni
di salute del detenuto, risulta evidente che il Tribunale ha ritenuto che la
documentazione di carattere medico a disposizione per la decisione fosse
adeguata e sufficiente, valutando la perizia superflua.
D’altro canto, la perizia è un mezzo di prova essenzialmente discrezionale,
essendo rimessa al giudice di merito, anche in presenza di pareri tecnici e
documenti prodotti dalla difesa, la valutazione della necessità di disporre indagini
specifiche (Sez. 6, n. 34089 del 07/07/2003 – dep. 08/08/2003, Bombino, Rv.
226330).
Né il ricorrente dimostra un travisamento da parte del Tribunale di
Sorveglianza del contenuto della relazione sanitaria: contrariamente a quanto
affermato il ricorso, l’ordinanza non attribuisce ai sanitari dell’Istituto un giudizio
di compatibilità delle condizioni di salute con il regime detentivo, ma riporta la
descrizione analitica delle condizioni e delle necessità terapeutiche del detenuto,
praticabili all’interno dell’Istituto e, se necessario (come è avvenuto per
l’operazione al volto), mediante ricovero in ospedale ai sensi dell’art. 11 ord.
pen..

2. Il ricorrente sostiene che il Tribunale di Sorveglianza avrebbe utilizzato,
per respingere la richiesta, i criteri di valutazione previsti per il differimento
obbligatorio di cui all’art. 146 cod. pen..

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CONSIDERATO IN DIRITTO

La censura non è fondata. L’art. 147, comma 1, n. 2 cod. pen. si limita a
permettere (non a rendere doveroso) il differimento dell’esecuzione della pena
che debba essere eseguita “contro chi si trovi in condizioni di grave infermità
fisica”.
Questa Corte ha esplicitato i criteri che devono guidare il giudice di merito
nell’esercizio della discrezionalità riconosciuta dal legislatore, stabilendo che il
differimento facoltativo può essere concesso solo se sia stata diagnosticata una
“grave infermità fisica” e ricorra un serio e conclamato pericolo quoad vitam (cfr.

ovvero venga accertata l’impossibilità di praticare utilmente in ambiente
carcerario le cure necessarie nel corso dell’esecuzione della pena (Sez. 1, n.
27313 del 24/06/2008 – dep. 04/07/2008, Commisso, Rv. 240877),
considerando peraltro che le eventuali situazioni acute e di crisi ben possono
essere fronteggiate con il ricovero esterno, L. 26 luglio 1975, n. 354, ex art. 11
(Cass., Sez. 1, 28 settembre 2005, n. 36856, rv. 232511, La Rosa; Sez. 1, n.
5732 del 08/01/2013 – dep. 05/02/2013, Rossodivita, Rv. 254509; Sez. 1, n.
37337 del 26/09/2007 – dep. 10/10/2007, Bifone, Rv. 237507).
In quest’ultimo caso, poi, occorre valutare se le condizioni di salute del
condannato siano o meno compatibili con le finalità rieducative proprie della
pena e con le concrete possibilità di reinserimento sociale del condannato,
conseguenti all’attività rieducativa svolta; l’espiazione della pena viene pertanto
legittimamente differita solo se, per la natura particolarmente grave
dell’infermità del condannato, l’esecuzione della pena possa ritenersi come
avvenuta in aperto dispregio del diritto alla salute e del senso d’umanità, al
quale deve essere improntato il trattamento dei detenuti, per le eccessive ed
ingiustificate sofferenze che essa possa arrecare al condannato (cfr. Cass., Sez.
1, 18 giugno 2008, n. 28555, rv. 240602; Sez. 1, n. 4690 del 23/09/1996 – dep.
11/10/1996, Camerlingo, Rv. 205750).

L’ordinanza impugnata affronta e risolve sia il tema della praticabilità in
Istituto delle terapie, se del caso mediante il ricorso allo strumento dell’art. 11
ord. pen., sia quello della contrarietà al senso di umanità della detenzione,
sottolineando che la necessità per il ricorrente di essere aiutato in qualche
incombenza non rende l’esecuzione della pena inumana.

Il ricorrente si limita a ribadire che la pena non può contrastare con la tutela
costituzionale del diritto alla salute e non può essere contraria al senso di
umanità ma, senza contestare lo stato di fatto evidenziato dal Tribunale (disagio
per il detenuto limitato alla necessità di essere aiutato da un piantone in qualche

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Sez. 1, n. 8936 del 22/11/2000 – dep. 05/03/2001, Piromani, Rv. 218229)

incombenza), propone elementi di fatto – l’età avanzata del ricorrente, la durata
della detenzione fin qui sopportata, l’irreversibilità delle patologie da cui è affetto
– che questa Corte non può prendere in considerazione e che il Tribunale di
Sorveglianza evidentemente conosce e ha valutato.

In definitiva, non sussiste il vizio di violazione di legge né la motivazione
appare contraddittoria o manifestamente illogica.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 21 aprile 2015

Il Presidente

P.Q.M.

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