Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20500 del 18/10/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 20500 Anno 2018
Presidente: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ABBAGNATO GIOVANNI BATTISTA nato il 01/08/1968 a MILANO

avverso l’ordinanza del 22/12/2016 del GIP TRIBUNALE di MILANO
sentita la relazione svolta dal Consigliere MONICA BONI;
lette/994:444 le conclusioni del PG eWc.:4_1z,

Data Udienza: 18/10/2017

Ritenuto in fatto e considerato in diritto

1.Con ordinanza resa in data 22 dicembre 2016, il G.i.p. del Tribunale di
Milano, pronunciando quale giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza proposta da
Giovanni Battista Abbagnato, volta ad ottenere la rideterminazione della pena,
inflittagli con sentenza del G.u.p. del Tribunale di Savona del 15 giugno 2007,
irrevocabile il 17 maggio 2008, per effetto della chiesta esclusione della recidiva a
seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 185/2015, che ha dichiarato

in cui ne aveva reso obbligatoria l’applicazione.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso l’interessato a mezzo del
difensore, il quale ne ha chiesto l’annullamento per manifesta illogicità della
motivazione. Secondo la difesa, il giudice dell’esecuzione ha errato nel ritenere che
in sede di cognizione l’applicazione della recidiva fosse stata disposta in base ad
uno specifico e concreto giudizio di pericolosità dell’imputato, poiché, come già
argomentato con la memoria depositata il 19 dicembre 2016 ed allegata al ricorso,
la sentenza di conferma emessa dalla Corte di appello di Genova nel secondo grado
di quello stesso processo contiene l’espresso riferimento all’art. 99 cod. pen.,
comma 5.
3.

Con requisitoria scritta il Procuratore Generale presso la Corte di

cassazione, dr. Paolo Canevelli, ha chiesto il rigetto del ricorso.
4.11 ricorso è inammissibile perché basato su motivo manifestamente
infondato.
4.1.Va premesso che la declaratoria di illegittimità costituzionale della
previgente disciplina dettata dal comma 5 dell’art. 99 cod.pen. non determina
l’automatica illegalità delle pene irrogate nel precedente vigore normativo; va
ritenuto che, ove nella motivazione della sentenza il giudice abbia dato atto della
particolare pericolosità manifestata dalla consumazione del fatto, si sia già espresso
quanto alla necessità dell’aumento di pena. Effettivamente la manifestazione più
grave di recidiva di cui all’art. 99, comma 5, cod. pen. ha perso la sua connotazione
obbligatoria in seguito all’intervento della Corte costituzionale, che con la sentenza
n. 185 del 23 luglio 2015 ha dichiarato l’illegittimità della norma sul presupposto
dell’irragionevolezza del rigido automatismo applicativo previsto dal legislatore,
basato sul solo titolo del reato e non su una valutazione concreta, perché
comportante una presunzione assoluta di maggiore colpevolezza non compatibile
con la Costituzione anche per l’inclusione, nell’elenco dei delitti comportanti
l’obbligatorietà della recidiva 2 di fattispecie eterogenee, accomunate solo in funzione
di esigenze processuali. Inoltre, tale automatico meccanismo punitivo è stato
considerato contrastare con il principio di proporzione tra qualità e quantità della
1

incostituzionale la disposizione del quinto comma dell’art. 99 cod. pen. nella parte

sanzione, da una parte, ed entità dell’offesale rendere la pena, incrementata per la
recidiva obbligatoria, palesemente sproporzionata.
4.2 Nel caso specifico l’ordinanza impugnata ha ritenuto di non poter
accogliere l’istanza del ricorrente perché proposta in riferimento a pena detentiva,
inflittagli per fattispecie di reato aggravate dalla recidiva reiterata specifica ed
infraquinquennale, la cui applicazione ha ritenuto giustificata a ragione, non dei soli
titoli di reato e della previsione normativa di cui all’art. 99 cod. pen., comma 5, ma

desunte dal certificato del casellario giudiziale, dalla natura dei precedenti e dalla
gravità dei reati da ultimo giudicati. Con riferimento a tali fattispecie ha evidenziato
che nella motivazione della sentenza divenuta irrevocabile era rintracciabile una
specifica considerazione della pericolosità sociale dell’imputato desunta dalla
reiterazione della condotta criminosa e dai numerosi procedimenti in corso per reati
analoghi, valutati quali indici di proclività a delinquere, in forza dei quali rilievi si è
riconosciuta e giustificata la necessità di irrogare sanzione di incrementata gravità.
Il giudice dell’esecuzione ha quindi ritenuto legittima l’applicazione della
recidiva quale effetto di un’implicita, ma concreta ricognizione dei presupposti
fattuali che la motivano, non già della mera osservanza della disposizione di legge
poi dichiarata incostituzionale, ragione per la quale ha correttamente escluso di
poter procedere alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio, posto che il
giudicato conserva la propria intangibilità, sia quanto all’an che al quantum della
recidiva, non avendo la norma dichiarata incostituzionale concretamente inciso sulla
commisurazione della pena.
4.3 In ogni caso, ed in via concorrente con i superiori rilievi ricognitivi della
decisione irrevocabile e delle sue ragioni, l’ordinanza in verifica esprime anche
autonome considerazioni del Decidente sul tema mediante il riconoscimento
dell’elevato indice di pericolosità sociale dell’Abbagnato, dedotto dai numerosi
precedenti penali per reati contro il patrimonio, commessi anche con violenza su
cose e persone, e contro la libertà personale, apprezzando come significativa ai fini
dell’inasprimento della pena la reiterazione di fatti criminosi, nonostante il
precedente accesso a riti speciali ed alla continuazione, istituto giuridico di favore
che ha attenuato il rigore del cumulo materiale delle pene. Così operando, il giudice
dell’esecuzione si è scrupolosamente attenuto ai limiti cognitivi assegnatigli dalla
proposizione della domanda, come interpretati dalla giurisprudenza di questa Corte
(Cass. sez. 1, n. 18546 del 13/7/2016, Mansi, rv. 269817; sez 1, n. 40918 del
5/4/2017, Genna, non massinnata) e ha offerto congrua giustificazione delle ragioni
per le quali ha ritenuto che la declaratoria di incostituzionalità non possa esplicare
effetti favorevoli per la posizione del ricorrente.

2

della effettiva situazione, della carriera criminale e della personalità dell’imputato,

4.4 A tale lineare e congruo percorso argomentativo l’impugnazione oppone
elementi privi di qualsiasi consistenza giuridica, ribadisce che la sentenza di
condanna si era limitata alla sola ed automatica applicazione dell’art. 99 cod. pen.,
comma 5, per avere considerato obbligatorio l’aumento del trattamento punitivo,
ma non smentisce la correttezza, la pertinenza e la logicità dei rilievi svolti in punto
di fatto dal giudice dell’esecuzione, rivelandosi pretestuosa e manifestamente
infondata. Inoltre, non muove alcuna censura al giudizio autonomamente condotto

sociale dell’imputato, che preferisce ignorare.
Per le considerazioni svolte il ricorso va dichiarato inammissibile con la
conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in
ragione dei profili di colpa insiti nella proposizione di siffatta impugnazione, al
versamento di una somma alla Cassa delle ammende, che si reputa equo
determinare in euro 2.000,00.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento di 2.000,00 euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2017.

dal giudice dell’esecuzione per ravvisare un’incrementata nel tempo pericolosità

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