Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20499 del 18/10/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 20499 Anno 2018
Presidente: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PAONESSA FRANCESCO nato il 11/09/1952 a GIMIGLIANO

avverso l’ordinanza del 08/02/2016 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di
IVREA
sentita la relazione svolta dal Consigliere MONICA BONI;
lette/se le conclusioni del PG ?Roà…sz,

Data Udienza: 18/10/2017

Ritenuto in fatto e considerato in fatto

1.Con ordinanza resa in data 8 febbraio 2016, il G.i.p. del Tribunale di Ivrea,
pronunciando quale giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza proposta da
Francesco Paonessa, volta ad ottenere la rideterminazione della pena, inflittagli con
sentenza dello stesso Giudice del Tribunale di Ivrea del 7 giugno 2010, irrevocabile
il 27 giugno 2012, per effetto della chiesta esclusione della recidiva a seguito della
pronuncia della Corte costituzionale n. 185/2015, che ha dichiarato incostituzionale

obbligatoria la sua applicazione.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso l’interessato a mezzo del
difensore, il quale ne ha chiesto l’annullamento per violazione e manifesta illogicità
della motivazione in relazione alla ritenuta pericolosità sociale del condannato.
Secondo la difesa, il giudice dell’esecuzione ha errato nel ritenere che i fatti oggetto
della sentenza di condanna siano espressione di maggiore colpevolezza del reo per
la loro gravità e per la premeditazione: tale assunto, seppur adeguato all’esigenza
di commisurare la pena, appare inconferente ai fini dell’applicazione della recidiva
tanto più che il tentato omicidio della ex compagna ed i reati connessi non hanno
alcun collegamento con il vissuto pregresso.
3.

Con requisitoria scritta il Procuratore Generale presso la Corte di

cassazione, dr. Paolo Canevelli, ha chiesto il rigetto del ricorso.
4.11 ricorso è inammissibile perché basato su motivo manifestamente
infondato.
4.1.Va premesso che la declaratoria di illegittimità costituzionale della
previgente disciplina dettata dal comma 5 dell’art. 99 cod.pen. non determina
l’automatica illegalità delle pene irrogate nel precedente vigore normativo; va
ritenuto che, ove nella motivazione della sentenza il giudice abbia dato atto della
particolare pericolosità manifestata dalla consumazione del fatto, si sia già espresso
quanto alla necessità dell’aumento di pena. Effettivamente la manifestazione più
grave di recidiva di cui all’art. 99, comma 5, cod. pen. ha perso la sua connotazione
obbligatoria in seguito all’intervento della Corte costituzionale, che con la sentenza
n. 185 del 23 luglio 2015 ha dichiarato l’illegittimità della norma sul presupposto
dell’irragionevolezza del rigido automatismo applicativo previsto dal legislatore,
basato sul solo titolo del reato e non su una valutazione concreta, perché
comportante una presunzione assoluta di maggiore colpevolezza non compatibile
con la Costituzione anche per l’inclusione nell’elenco dei delitti comportanti
l’obbligatorietà della recidiva di fattispecie eterogenee, accomunate solo in funzione
di esigenze processuali. Inoltre, tale automatico meccanismo punitivo è stato
considerato contrastare con il principio di proporzione tra qualità e quantità della

1

il disposto del quinto comma dell’art. 99 cod. pen. nella parte in cui aveva reso

zki’Partu,
sanzione, da una parte, ed entità dell’offesale rendere la pena, incrementata per la
recidiva obbligatoria, palesemente sproporzionata.
4.2 Nel caso di specie, l’ordinanza impugnata ha ritenuto di non poter
accogliere l’istanza del ricorrente perché proposta in riferimento a pena detentiva,
inflittagli per fattispecie di reato aggravate dalla recidiva, la cui applicazione ha
ritenuto giustificata a ragione, non dei soli titoli di reato, ma della specifica
situazione e carriera criminale e della personalità dell’imputato, desunte dal
certificato del casellario giudiziale, dalla natura dei precedenti e dalla gravità dei

ricettazione della pistola impiegata nel gravissimo attentato contro la ex convivente
ha segnato un salto di qualità nell’impegno criminoso in precedenza dimostrato, già
orientato ad aggredire il patrimonio altrui, perché l’oggetto ricevuto era stato
utilizzato nel tentativo di omicidio e che questo delitto, nonché quelli di molestie,
violazione di domicilio, lesioni personali e minaccia sempre in danno della stessa
vittima, aggredita poi nel tentativo di ucciderla, provano un sensibile aggravamento
della pericolosità sociale dell’autore anche rispetto al precedentemente commesso
delitto di violazione dei doveri di assistenza familiare. Ha quindi ritenuto di
assegnare particolare rilievo alla premeditazione qualificante l’elemento soggettivo
del tentato omicidio, in quanto maturata in un lungo arco temporale e quindi
rivelatrice di un intento radicato e di elevata capacità criminale.
4.3 A tale lineare e congruo percorso argomentativo l’impugnazione oppone
elementi privi di qualsiasi consistenza giuridica, ribadisce che l’aumento del
trattamento punitivo era stato considerato obbligatorio, ma non smentisce la
correttezza, la pertinenza e la logicità dei rilievi svolti in punto di fatto dal giudice
dell’esecuzione, rivelandosi pretestuosa e manifestamente infondata. Inoltre,
introduce il tema della non utilizzabilità dei dati oggettivi, desunti dalle pronunce di
condanna irrevocabili, ai fini dell’applicazione della recidiva, mentre le specifiche
circostanze valorizzate dal giudice dell’esecuzione sono state adeguatamente
tenute in considerazione perché dimostrative di un’incrementata nel tempo
pericolosità sociale per il livello di maggiore gravità dei beni aggrediti e le modalità
più efferate e pregiudizievoli dei reati commessi.
Per le considerazioni svolte il ricorso va dichiarato inammissibile con la
conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in
ragione dei profili di colpa insiti nella proposizione di siffatta impugnazione, al
versamento di una somma alla Cassa delle ammende, che si reputa equo
determinare in euro 2.000,00.

P. Q. M.

2

reati da ultimo giudicati. Con riferimento a tali fattispecie ha evidenziato che la

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento di 2.000,00 euro alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2017.

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