Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20498 del 08/04/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 20498 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1) Rocco Giuseppe, nato il 25/11/1977;

Avverso il decreto n. 198/2013 emesso il 06/05/2014 dalla Corte di appello
di Napoli;

Sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Alessandro Centonze;

Lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del dott. Pasquale
Fimiani, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso;

Data Udienza: 08/04/2015

RILEVATO IN FATTO

1. Con decreto emesso il 06/05/2014 la Corte di appello di Napoli rigettava
l’appello proposto da Giuseppe Rocco avverso il decreto emesso dal Tribunale di
Napoli con cui gli veniva applicata la misura della sorveglianza speciale con
obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di anni tre, con
l’imposizione di una cauzione dell’importo di 5.000,00 euro.
Si riteneva, in tale ambito, congruo il giudizio di pericolosità sociale

dell’anagrafe giudiziaria del Rocco, che evidenziava una pluralità di elementi dai
quali desumerne il coinvolgimento in attività illecite collegate alla criminalità
organizzata, dalle quali traeva abituale sostentamento.
A fronte di tale giudizio di congruità, la difesa del Rocco si era limitata a
contestare il solo requisito dell’attualità della pericolosità sociale, omettendo ogni
riferimento agli elementi sintomatici esaminati dal giudice di primo grado, con
riferimento all’organizzazione criminale alla quale risultava collegato il
prevenuto, che si imponeva tenuto conto dei precedenti specifici che gravavano
sulla sua anagrafe giudiziaria.

2. Avverso tale decreto ricorreva per cassazione Giuseppe Rocco, a mezzo
dell’avv. Lorenzo Bruno, deducendo la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e),
cod. proc. pen., in relazione all’art. 192 cod. proc. pen., per mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del
provvedimento impugnato, con particolare riferimento al requisito dell’attualità
della pericolosità sociale del prevenuto.
Si deduceva, in particolare, l’incongruità della motivazione del decreto
impugnato in ordine alla ritenuta appartenenza del Rocco al clan Grimaldi di
Soccavo, in quanto contrastante con le emergenze processuali richiamate dallo
stesso provvedimento.
Infatti, dalla documentazione posta a sostegno del provvedimento in esame,
emergeva unicamente il riferimento al “sistema di Soccavo”, senza alcuno
specifico riferimento all’esistenza e alla sfera di operatività della consorteria
camorristica richiamata, peraltro inesistente nello scenario camorristico
partenopeo.
Queste ragioni processuali imponevano l’annullamento del decreto
impugnato.

2

formulato dal giudice di primo grado, in quanto fondato su un esame analitico

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
In via preliminare, deve rilevarsi che nel procedimento di prevenzione il
ricorso per cassazione è ammesso solo per violazione di legge, ai sensi dell’art.
4, comma 11, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, con la conseguenza che
non è deducibile in sede di legittimità il vizio di motivazione, a meno che
l’apparato motivazionale del provvedimento impugnato non sia del tutto carente

coerenza, di logicità e di completezza (cfr. Sez. 5, n. 24862 del 19/05/2010,
dep. 01/07/2010, Mastrogiovanni, Rv. 247682).
Ne discende che, in tema di misure di prevenzione, la riserva del sindacato
di legittimità alla violazione di legge non consente di dedurre il vizio di
motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., sicché il
controllo del provvedimento consiste solo nella verifica della rispondenza degli
elementi esaminati ai parametri legali, imposti per l’applicazione delle singole
misure e vincolanti, in assenza della quale ricorre la violazione di legge quale
motivazione apparente (cfr. Sez. 5, n. 19598 del 08/04/2010, dep. 24/05/2010,
Badalamenti e altro, Rv. 247514).

2. Tanto premesso, nel caso di specie, il provvedimento impugnato appare
sorretto da una motivazione congrua e non è meritevole di censura, in quanto il
percorso argomentativo seguito dal giudice di merito risulta rispettoso dei
principi fissati da questa Corte in materia di misura di prevenzione, laddove si
afferma che la pericolosità sociale dell’indiziato di appartenere ad associazioni di
tipo mafioso deve ritenersi in re ipsa e che il decorso del tempo, di per sé, non
rileva per escludere la permanenza della pericolosità. Ne consegue che, in
mancanza della prova del recesso dall’associazione, non è necessaria alcuna
specifica motivazione sul punto, come statuito dalla giurisprudenza di legittimità
consolidata (cfr. Sez. 6, n. 499 del 21/11/2008, dep. 09/01/2009, Conversano,
Rv. 242379).
Deve, infatti, rilevarsi che l’assunto da cui muove la difesa del ricorrente
risulta smentito dalle evidenze processuali, atteso che il decreto con cui la Corte
di appello di Napoli rigettava l’appello proposto da Giuseppe Rocco evidenziava
che la pericolosità sociale del prevenuto si evinceva da due condotte delittuose,
in relazione alle quali era intervenuta sentenza di condanna, divenuta
irrevocabile il 28/02/2013 (cfr. Sez. 1, n. 16620 del 28/02/2013, dep.
12/04/2012, Rocco e altro, non mass.).

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o presenti difetti tali da renderlo apparente, ossia priva dei requisiti minimi di

Si faceva, innanzitutto, riferimento a una tentata estorsione aggravata ex
art. 7 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152 in danno dei commercianti ambulanti del
litorale di Caorle, Eraclea e Jesolo, finalizzata a procurare un ingiusto profitto ai
commercianti collegati al Rocco che svolgevano attività commerciali analoghe, le
cui modalità, ancorché aggravate, risultavano connotate da una metodologia
tipicamente mafiosa.
Si faceva, inoltre, riferimento ai reati di detenzione e porto illegale in luogo
pubblico di armi comuni da sparo, anch’essi aggravati ex art. 7 del d.l. n. 152 del

richiamate.
In entrambi i casi, al contrario di quanto dedotto dalla difesa del ricorrente,
non si faceva riferimento alla sfera di operatività di una consorteria mafiosa
denominata clan Grimaldi di Soccavo, ma a un sodalizio criminale operante con
una metodologia tipicamente mafiosa nel suddetto quartiere napoletano, com’è
desumibile dalla stessa sentenza di condanna, nel passaggio argomentativo
contenuto a pagina 4, espressamente richiamato dalla corte territoriale nel
decreto impugnato (cfr. Sez. 1, n. 16620 del 28/02/2013, dep. 12/04/2012,
Rocco e altro, non mass.).
D’altra parte, il riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 7
del d.l. n. 152 del 1991 prescinde dall’accertamento dell’esistenza di un gruppo
criminale di riferimento. In questo senso si è già espressa questa Corte,
affermando che «per la configurabilità dell’aggravante dell’utilizzazione del
“metodo mafioso”, prevista dall’art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152 (conv. in I. 12
luglio 1991, n. 203), non è necessario che sia stata dimostrata o contestata
l’esistenza di un’associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza
o la minaccia assumano veste tipicamente mafiosa» (cfr. Sez. 1, n. 5881 del
04/11/2011, dep. 15/02/2012, Giannpà, Rv. 251830).
Sulla scorta di questa analitica ricostruzione non può non concordarsi con le
conclusioni alle quali si perveniva nel provvedimento di rigetto impugnato,
laddove, nel passaggio contenuto nelle pagine 3 e 4, si affermava: «In altri
termini, il complessivo giudizio di pericolosità dello stesso Rocco risulta
comunque integrato dalle articolate motivazioni della predetta sentenza di
condanna definitiva, nella quale si evidenziano le modalità della condotta del
Rocco, tesa al predominio del territorio (anche ultraregionale) e ad assicurare il
“monopolio” degli “affari criminali” estorsivi del lido di Carole»
Queste considerazioni impongono di ritenere inammissibile le doglianze
difensive esaminate.

4

1991, che risultavano commessi allo scopo di eseguire le attività estorsive sopra

3. Per queste ragioni, il ricorso proposto da Giuseppe Rocco deve essere
dichiarato inammissibile, con la sua condanna al pagamento delle spese
processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma
alla Cassa delle ammende, congruamente determinabile in 1.000,00 euro, ai
sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

spese processuali e al versamento della somma di 1.000,00 euro alla Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’8 aprile 2015.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

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