Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20493 del 27/03/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 20493 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1) BARTOLOTTA Emilio, nato a Vibo Valentia il 24/5/1977,
avverso l’ordinanza n. 419/2014 emessa in data 06/05/2014 dal Tribunale di
Catanzaro;
2) FOTI Annunziata, nata a Vibo Valentia il 24/1/1976,
avverso l’ordinanza n. 418/2014 emessa in data 06/05/2014 dal Tribunale di
Catanzaro.
Visti gli atti, le ordinanze impugnate, i ricorsi;
visto il provvedimento di riunione del ricorso di FOTI Annunziata, n.r.g.
54123/2014, al ricorso di BARTOLOTTA Emilio, n.r.g. 54045/2014;
udita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tornassi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Paolo Canevelli, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dei
provvedimenti impugnati;
udito l’avvocato Salvatore Staiano per i ricorrenti, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.

1

Data Udienza: 27/03/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con le ordinanze in epigrafe il Tribunale di Catanzaro, investito ex art.
309 cod. proc. pen. dalle richiesta di riesame degli indagati Emilio BARTOLOTTA
e Annunziata FOTI, ha confermato l’ordinanza del Giudice delle indagini
preliminari che in data 11 aprile 2014 aveva applicato ai ricorrenti la custodia
cautelare in carcere per il delitto di omicidio volontario di Antonino LOPREIATO,
realizzato con metodo mafioso e al fine di agevolare il clan mafioso di
riferimento, e le connesse violazioni alla legge armi, commessi l’8 aprile 2008.
aveva impartito l’ordine di uccidere il LOPREIATO, in concorso con la moglie
Annunziata FOTI, con i coniugi Loredana PATANIA e Giuseppe MATINA, nonché
con Francesco CALAFATI, Rosario BATTAGLIA ed altri non identificati.
A ragione della decisione il Tribunale, premessa la ricostruzione delle
vicende del sodalizio nel cui ambito si riteneva maturato l’agguato omicida,
osservava che la frizione tra i gruppi “Lopreiato” e “Petrolo – Bartolotta” che
avevano ripreso a contendersi il controllo del territorio di Stefanaconi, aveva
dato origine a una stagione caratterizzata da numerosi danneggiamenti,
dall’omicidio di Michele PENNA, dalla scomparsa di Salvatore FOTI, nonché
dall’omicidio in esame, di Antonino Lopreiato. In relazione a tale specifico fatto, a
carico di Emilio BARTOLOTTA e della moglie Annunziata FOTI stavano le
dichiarazioni dei collaboratori Daniele BONO, Loredana PATANIA (moglie di
Giuseppe MATINA), che avevano confermato la loro partecipazione al sodalizio di
stampo mafioso autoaccusandosi anche di fatti gravissimi, nonché le
dichiarazioni di Teresa LOPREIATO, sorella della vittima.
I motivi che avevano determinato la decisione di uccidere Antonio Lopreiato,
riferiti dalla sorella Teresa, erano collegati alle sue relazioni conflittuali con gli
altri esponenti dei gruppi criminali di Stefanaconi. La donna, che inizialmente
aveva rifiutato di deporre, aveva difatti dapprima reso dichiarazioni in tal senso
nel corso di conversazioni con i carabinieri oggetto di intercettazione, aveva poi a
verbale ribadito che riteneva che il fratello fosse stato ucciso a causa del suo
interessamento per il ritrovamento del cadavere di Michele PENNA e che temeva
per l’incolumità propria e dei propri familiari.
Dei motivi dell’uccisione del Lopreiato, delle modalità con cui l’omicidio era
stato realizzato e di coloro che vi avevano partecipato, nonché, più in particolare,
dell’ordine impartito in tal senso, dal carcere, tramite la moglie Annunziata FOTI,
dal Bortolotta, aveva quindi dettagliatamente riferito Loredana PATANIA, sia per
conoscenza diretta sia de relato dal marito Giuseppe MATINA, riscontrata da una
conversazione tra il Bartolotta e la moglie, intercettata in carcere, in cui il primo
diceva alla moglie di comunicare «a Franco e a Peppe» che era arrivato il
momento.
Sia BONO che PATANIA avevano, inoltre, chiarito che Antonio LOPREITAO
faceva parte della ‘ndrina Bartolotta – Calafati, “costola” del clan Bonavota di
Sant’Onofrio; era un referente della cosca di Stefanaconi, gestendone la cassa;

2

Secondo l’accusa l’omicidio era stato realizzato da Emilio BARTOLOTTA, che

era vicino al parroco di Stefanaconi e all’ex comandante dei Carabinieri di
Sant’Onofrio Sebastiano Cannizzaro (a vario titolo coinvolti nella scomparsa omicidio del Penna).
2. Hanno proposto ricorsi gli indagati a mezzo del difensore avvocato
Salvatore Staiano, entrambi chiedendo l’annullamento della ordinanza impugnata
con atti d’identico contenuto.
2.1. Con il primo motivo denunziano violazione di legge processuale e vizi di
motivazione con riferimento alla utilizzazione delle intercettazioni delle
ritualità si era già dubitato nella sentenza della Corte di cassazione n. 27879 del
2014 (relativa a procedimento collegato) «non già in rapporto alla mancata
autorizzazione alla esecuzione delle operazioni, quanto in ragione della
consapevolezza da parte del chiamante Cannizzaro della esistenza della
captazione in corso, unita alla qualità di soggetto investigante rivestita dal
Cannizzaro», tanto consentendo di ricondurre l’atto più ad una informazione
confidenziale ricevuta dall’ufficiale ai sensi dell’art. 203 cod. proc. pen. che ad
una sorta di dichiarazione spontanea. Ed aggiungono che, a rendere ancor più
inquietanti le modalità di acquisizioni di dette confidenze, stavano le circostanze
che il Cannizzaro era stato successivamente indagato e che erano scomparsi i
supporti contenenti le registrazioni tratte dalle videocamere poste sul luogo
dell’omicidio, nella disponibilità del Cannizzaro.
2.2. Con il secondo motivo denunziano violazione di legge processuale e
sostanziale e vizi di motivazione con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi
di colpevolezza, lamentando in particolare:
– che il Tribunale avrebbe motivato per relationem, eludendo i temi posti con
le deduzioni difensive in ordine alla inattendibilità della PATANIA, che aveva
riferito dati fattuali puntualmente smentiti; che erano state in particolare
completamente ignorate le deduzioni con cui si evidenziava la detenzione del
Bortolotta al momento in cui sarebbe avvenuta la riunione riferita dalla
dichiarante dopo il primo presunto agguato fallito e l’inesistenza del negozio di
alimentari gestito dalla moglie Annunziata Foti nel periodo in cui la collaboratrice
vi avrebbe collocato un summit; mentre era stato illogicamente svalutato il fatto
che la donna aveva indicato, tra gli esecutori material, lo SCRUGLI, all’epoca
invece detenuto;
– che pur richiamando a carico del ricorrente le dichiarazioni del BONI, della
PATANIA e della LOPREIATO, il Tribunale aveva di fatto riportato le sole
dichiarazioni delle ultime due, segno evidente dell’irrilevanza delle dichiarazioni
del primo;
– che risultavano dimenticate, ovvero contraddittoriamente e illogicamente
accantonate, le deduzioni difensive (corroborate dalle allegazioni al ricorso), con
cui si contestava, tra l’altro, l’appartenenza a qualsivoglia sodalizio o gruppo
mafioso del BORTOLOTTA, oggetto di dichiarazioni della sola PATANIA; il
movente di natura “dranghestistica” collegato alla scomparsa del PENNA

3

conversazioni intrattenute con i Carabinieri da Maria Teresa Lopreiato, della cui

(contraddetto dalla sentenza di annullamento della Corte di cassazione della
sentenza di merito citata nell’ordinanza impugnata); la evidente ipoteticità delle
dichiarazioni della LOPREITAO sulle ragioni dell’omicidio del fratello; la
attendibilità e la credibilità della PATANIA (caduta in patenti contraddizioni; delle
cui propalazioni il Tribunale riportava sostanzialmente un

puzzle,

non

accompagnato da alcuna spiegazione e motivazione; le cui dichiarazioni
risultavano inoltre smentite dai molteplici elementi forniti dalla difesa, anche con
riferimento – come detto – alle riferite date degli incontri e delle riunioni tenute,
incompatibili con la detenzione del Bartolotta e tra di loro incoerenti); il carattere
dell’omicidio e che offriva anzi elementi che confermavano l’inquinamento delle
dichiarazioni della PATANIA, la cui fonte sarebbe stata comunque la stessa,
ovverosia Giuseppe MATINA;
– che con riferimento alla intercettazione del 29 marzo 2008, relativa alla
conversazione in carcere tra BORTOLOTTA e la moglie, costituente l’unico
elemento posto realmente a riscontro delle dichiarazioni della Patania,
l’ordinanza impugnata aveva completamente omesso di considerare le deduzioni
difensive con cui si evidenziava: che la conversazione si prestava a
interpretazione affatto diversa, riferibile ad una rappresaglia nei confronti di
Francesca Foti, secondo quanto ritenuto dagli stessi organi investigativi nella
informativa (allegata al ricorso) redatta a proposito dell’omicidio Penna; che la
trascrizione di tale intercettazione faceva parte degli atti del procedimento
relativo all’omicidio Penna (ed era riportata a pag. 131 della ordinanza di
custodia cautelare in carcere emessa il 10.12.2013 nei confronti dei suoi
parenti); che la PATANIA, per sua stessa ammissione, aveva già letto tale atto
quando, solo in data 28.2.2013 (non dunque nei precedenti interrogatori di
settembre e dicembre 2012), aveva parlato di detto “mandato” riferendolo
all’omicidio in esame; che, invece, nell’interrogatorio del 28 febbraio 2008 (nella
parte “omissata” dal Pubblico ministero ma prodotta dalla difesa al Tribunale del
riesame) la PATANIA aveva fatto riferimento al mandato ad un’azione di
rappresaglia nei confronti di Francesca FOTI;
– che neppure erano state in alcun modo spiegate le evidenti contraddizioni
del narrato della Patania sulla consegna delle pistole e sui luoghi in cui si
sarebbero svolti gli incontri tra BARTOLOTTA, Salvatore FOTI e LOPREIATO.
2.2. Denunziano infine, con il terzo motivo, che, attesa l’indimostrata
matrice mafiosa del delitto, appariva carente la motivazione relativa alle
esigenze cautelari.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Osserva il Collegio che i ricorst appaiono fondati con riguardo alle
censure concernenti il difetto di motivazione.
3. I provvedimenti impugnati (sostanzialmente identici) sono per la massima

4

di riscontro delle dichiarazioni del BONO, che nulla sapeva e aveva riferito

parte costituiti dall’assemblaggio di brani tratti dalle intercettazioni e dalle
dichiarazioni della LOPREIATO e della PATANIA, letteralmente trascritti ma quasi
mai accompagnati dalla spiegazione del significato loro assegnato.
Basterebbe dunque tale metodo a dare corpo al vizio di motivazione,
giacché, da un lato, la “auto evidenza” di dichiarazioni e conversazioni che così
evidentemente si postula, risulta obiettivamente smentita: per le conversazioni,
dal tenore frammentario delle frasi riportate; per le dichiarazioni dal numero
delle pagine dedicate alla trascrizione delle domande, dei chiarimenti e delle
risposte fornite. Dall’altro, nessuna spiegazione sostiene l’impossibilità di una
sostenuta dalla tesi accusatoria, nonostante le plurime, puntuali e documentate
contestazioni articolate dalla difesa (riassunte sopra, nella parte in Fatto, cui per
brevità si rimanda).
Insomma, le ordinanze impugnate non giustificano il significato probatorio
assegnato agli elementi richiamati ed omettono di sottoporre l’impostazione
accusatoria alla verifica di falsificazione proposta dalla difesa.
2. Tanto posto, la deduzione relativa alla inutilizzabilità delle intercettazioni
delle conversazioni intrattenute da Teresa LOPREIATO, cade su dato in relazione
al quale, alla luce dei frammenti di frasi riportati nel provvedimento impugnato,
non è dato apprezzare lo specifico significato probatorio. E poiché neppure il
ricorso spiega quale sarebbe il senso e il valore attribuito alle frasi che
provengono dalle intercettazioni la cui utilizzabilità si intende contrastare, la
censura deve considerarsi inammissibile perché riferita ad elemento di cui non
risulta, allo stato, la incidenza nell’economia del contesto della giustificazione del
provvedimento impugnato.
3. Può, invece, senz’altro convenirsi con la difesa quando osserva:
– che dal tenore delle dichiarazioni rese dalla LOPREIATO in qualità di
testimone e riportate dal Tribunale del riesame si evince la personale
convinzione della donna di un collegamento dell’omicidio del fratello con la
scomparsa di Michele PENNA (della quale il fratello si stava interessando), ma
nessun elemento di riscontro, oggettivo e individualizzante, alle accuse della
PATANIA nei confronti dei coniugi Bartolotta – Annunziata;
– che il provvedimento impugnato afferma che a carico del ricorrente stanno
anche le dichiarazioni del collaboratore BONO, ma di tali dichiarazioni non indica
il contenuto, sicché l’asserzione è nella sostanza priva di giustificazione (di
adeguata base fattuale) e non è in questa sede in alcun modo apprezzabile;
– che in relazione alle dichiarazioni della PATANIA, testualmente riportate
ma non accompagnate da spiegazione critica, manca qualsivoglia valutazione che
dia risposta alle osservazioni difensive in ordine al difetto di intima coerenza (in
relazione, tra l’altro, ad aspetti non evidentemente marginali quali date incontri e
riunioni, numero delle pistole consegnate, modalità e autore della consegna) e
alla mancanza di genuinità della dichiarante (con riferimento, ad esempio, alla

5

interpretazione degli atti pedissequamente trscritti in chiave difforme da quella

specifica e documentata allegazione relativa alla sua conoscenza degli atti
d’accusa tratti dal procedimento collegato relativo all’omicidio Penna); mentre
sono decisamente incomplete, e perciò inidonee a sostenere la validità
dell’assunto di una valutazione frazionata, le risposte alle deduzioni con le quali
si denunzia il contrasto del narrato della collaboratrice con gli elementi obiettivi
allegati (non vi é replica alle censure relative alla detenzione del Bartolotta
all’epoca di una delle riunioni riferite; alla inesistenza, alla data indicata,
dell’esercizio commerciale dell’Annunziata);
– che analogamente, con riguardo alla intercettazione della conversazione
assegnata a tale elemento non risulta sostenuta da confutazione alcuna delle
osservazioni difensive in ordine, da un lato, alla sicura conoscenza da parte della
Patania del contenuto di detta intercettazione in epoca precedente alla
dichiarazioni ad essa riferite; dall’altro, alla plausibilità della diversa
interpretazione della medesima conversazione sostenuta dalla difesa sulla base
di quella accolta dagli stessi inquirenti nell’informativa redatta nell’ambito del
procedimento relativo all’omicidio Penna, puntualmente prodotta ed ignorata.
4. Le ordinanze impugnate non possono, dunque, che essere annullate con
rinvio al Tribunale di Catanzaro perché proceda a nuovo esame.
Restano assorbite, ma non precluse, le ulteriori censure.
Non comportando la presente decisione la rimessione in libertà del
ricorrente, la cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att.
cod. proc. pen., comma 1 ter.
P.Q.M.
Previa riunione del procedimento n. 54123/2014 al n. 54045,
Annulla le ordinanze impugnate e rinvia per nuovo esame al Tribunale di
Catanzaro.
Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al
Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att.
cod. proc. pen.
Così deciso il 27 marzo 2015
Il consigliere ejetore

intrattenuta in carcere dal BORTOLOTTA con la moglie, la valenza di riscontro

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