Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20484 del 23/03/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 20484 Anno 2018
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: TUDINO ALESSANDRINA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ONORATI ITALO nato il 25/11/1968 a LATINA

avverso la sentenza del 16/09/2016 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRINA TUDINO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIUSEPPE
CORASANITI
che ha concluso per

Il Proc. Gen. conclude per il rigetto ad eccezione del sesto motivo del ricorso.
Udito il difensore
I difensori presenti concludono chiedendo l’accoglimento del ricorso presentato.

Data Udienza: 23/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Roma ha confermato
la decisione del Tribunale in sede, con la quale Italo Onorati è stato condannato
alla pena di giustizia per i reati di bancarotta, patrimoniale e documentale, in
relazione al fallimento della Onorati Elettroforniture srl.
La corte territoriale ha ritenuto, pur all’esito delle deduzioni defensionali,

dello stato passivo, sottraendo la documentazione contabile della società, mai
consegnata al curatore.
2. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso l’imputato, per mezzo del
difensore, articolando diversi ordini di censure.
2.1 Deduce, con il primo motivo, mancanza, contraddittorietà e
comunque manifesta illogicità della motivazione in riferimento alla
determinazione del valore della merce distratta ed al rilievo dei rapporti
intercorsi tra l’imputato e gli organi della curatela. A fronte del valore della
merce distratta riportato in imputazione e nella sentenza di primo grado, la corte
territoriale ne avrebbe irragionevolmente ampliato la determinazione sino ad un
milione di euro, ancorandola al volume dello stato passivo, invece determinato
da crediti per imposte e per lavoro subordinato, con inevitabili ripercussioni del
dato falsato sul ragionamento probatorio. Ed in analogo travisamento la corte
territoriale sarebbe incorsa in relazione alla negativa interpretazione della
condotta dell’imputato nel corso della procedura concorsuale, in considerazione
delle serie ragioni che il medesimo aveva rappresentato a giustificazione di un
mancato incontro con il curatore – imputabile a gravi problemi personali e
familiari – invece riduttivamente riportate ad un mero litigio coniugale e a
generici impegni lavorativi fuori sede. L’imputato aveva poi cercato di mettersi in
contatto con il curatore, sino al giudizio dibattimentale, al fine di consegnare la
documentazione contabile. Così come del tutto irragionevolmente la corte
territoriale non avrebbe conferito rilievo alle evidenziate manchevolezza del
curatore, emerse anche nel corso della deposizione, che non si era recato presso
la sede sociale, dalla quale lo stesso imputato ha recentemente prelevato la
documentazione ivi ancora giacente, in seguito a sollecitazione del proprietario,
né richiesto a quest’ultimo la consegna, con conseguente ricostruzione
meramente deduttiva dell’entità e del valore della merce distratta. Profili che
hanno reso, altresì, illogica la ricostruzione dell’elemento soggettivo del reato, in
assenza di dati dimostrativi della coscienza e volontà di porre in essere atti

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che l’Onorati avesse consapevolmente distratto utilità, commisurate al valore

incompatibili con la salvaguardia del patrimonio aziendale, ed anzi in presenza di
atti riparatori (pagamento dei debiti da lavoro) e di una complessa e drammatica
situazione personale.
2.2 Con il secondo motivo, deduce erronea applicazione della legge
penale e correlato vizio motivazionale in riferimento alla prova del rapporto di
derivazione causale. Richiamando lo spunto interpretativo offerto dalla sentenza
Corvetta, la censura introduce una frattura tra lo stato di dissesto preesistente e

soggettive dell’imputato, che non avrebbe determinato né lo stato di dissesto, né
la dichiarazione di insolvenza, rimanendo egli stesso vittima della crisi del
settore. La corte territoriale non avrebbe, invece, svolto alcuna argomentazione
sul nesso di derivazione causale.
2.3 II terzo motivo censura la qualificazione giuridica del fatto. La corte
territoriale non avrebbe valutato l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 220 I.f.,
prospettata dalla difesa, in particolare ritenendo definitiva la mancata consegna
dei documenti contabili, sul punto omettendo di valutare le dichiarazioni del
curatore fallimentare, che ha invece confermato la disponibilità dell’imputato a
metterle a disposizione.
2.4 Con il quarto motivo di ricorso, si sviluppa analoga doglianza in merito
alla qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 217 I.f., con specifico riferimento a
vizi della motivazione riguardo l’elemento soggettivo del reato. La sentenza
impugnata avrebbe trascurato in toto di esaminare il relativo motivo d’appello,
omettendo il doveroso scrutinio del dolo di bancarotta fraudolenta documentale
ed operando a riguardo un improprio richiamo all’art. 40 cpv. cod. pen., in
violazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità.
2. 5 II quinto motivo riproduce censure inerenti l’elemento soggettivo in
riferimento alla bancarotta documentale. La corte territoriale ha, con
motivazione illogica, ritenuto sufficiente il dolo generico pur a fronte di una
contestazione modellata sul dolo intenzionale, in violazione dei principi enunciati
dalla giurisprudenza di legittimità ed omettendo di conferire rilievo allo stato
soggettivo dell’agente. E del tutto irragionevole si appalesa la mancata
derubricazione, in presenza di una motivazione errata in punto di diritto.
2.6 Con il sesto motivo, infine, si censura la valutazione prognostica che
ha condotto a non concedere all’imputato il beneficio della sospensione
condizionale della pena. La corte territoriale avrebbe a riguardo conferito rilievo
ad elementi inesistenti omettendo, invece, di valutare l’evoluzione della
personalità dell’imputato.

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la dichiarazione di fallimento, con specifico riferimento alle peculiari condizioni

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato per le ragioni di cui infra.
2. In riferimento alle censure inerenti l’elemento soggettivo del reato di
bancarotta documentale contestato, devesi premettere come «in tema di reati
fallimentari, la bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216, comma 1,

libri e delle altre scritture contabili, che richiede il dolo specifico, e quella di
tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del
movimento degli affari e del patrimonio della fallita che richiede il dolo generico»
(Sez. 5, Sentenza n.43966 del 28/06/2017Ud. (dep. 22/09/2017) Rv. 271611,
N. 24328 del 2005 Rv. 232209, N. 5264 del 2014 Rv. 258881, N. 17084 del
2015 Rv. 263242, N. 18634 del 2017 Rv. 269904).
In particolare, l’occultamento delle scritture contabili – che consiste nella
fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari – per la
cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori,
costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – in seno all’art. 216, comma
primo, lett. b), I. fall. – rispetto alla fraudolenta tenuta delle scritture, in quanto
quest’ultima integra un’ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone
l’accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati
dai predetti organi (Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno, Rv. 269904). Di
guisa che, mentre per la configurazione delle ipotesi di reato di sottrazione,
distruzione o falsificazione di libri e scritture contabili previste dall’articolo 216,
primo comma n. 2 prima parte, I. fall. è necessario il dolo specifico, consistente
nello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio
ai creditori (Sez. 5, n. 17084 del 09/12/2014, dep. 2015, Caprara, Rv. 263242),
il reato previsto dall’art. 216, comma primo n. 2, della legge fallimentare
richiede il dolo generico, costituito dalla consapevolezza nell’agente che la
inattendibilità delle scritture contabili possa rendere impossibile o ostacolare la
ricostruzione delle vicende del patrimonio, non essendo, per contro, necessaria
la specifica volontà di impedire quella ricostruzione (Sez. 5, n. 5264 del
17/12/2013, dep. 2014, Manfredini, Rv. 258881; Sez. 5, n. 24328 del
18/05/2005, Di Giovanni, Rv. 232209: “Ai fini dell’integrazione del delitto di
bancarotta fraudolenta documentale (art. 216, comma primo, n. 2, L. fa/I.), non
è necessario il dolo specifico – e cioè il fine di recare pregiudizio ai creditori, che
concerne, invece, la prima ipotesi di bancarotta documentale – ma è richiesta

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n. 2 prevede due fattispecie alternative, quella di sottrazione o distruzione dei

l’intenzione di impedire la conoscenza relativa al patrimonio e al movimento degli
affari, la quale costituisce l’elemento soggettivo del reato)’).
2.1 Nel caso in esame, all’imputato è stato contestato di non aver messo
a disposizione degli organi della curatela sia beni aziendali e merci, sia le
scritture contabili, con unitaria formulazione dei delitti di bancarotta fraudolenta,
patrimoniale e documentale, per distrazione e sottrazione.
La sentenza impugnata fonda l’affermazione di responsabilità sull’ipotesi

curatela) delle scritture contabili (p. 5 della sentenza impugnata), omettendo,
tuttavia, di motivare in ordine agli elementi indizianti il dolo specifico,
richiamando invece – in punto di enunciazione dei tratti differenziali con l’ipotesi
di cui all’art. 217 I.f. – la sufficienza del dolo generico in riferimento all’ipotesi di
bancarotta documentale per inattendibilità delle scritture, non conferente al caso
di specie.
Ed a sostegno della prova del dolo – generico – la corte territoriale
richiama il principio secondo cui l’elemento soggettivo del reato si evince dalla
mancata collaborazione dell’imputato nell’ambito della procedura concorsuale.
3 Nello

statuto

dei reati fallimentari, invero, l’apporto conoscitivo

proveniente dall’imputato si declina peculiarmente, ponendo a carico dello stesso
uno specifico onere di collaborazione con gli organi della curatela e di
giustificazione riguardo l’adempimento degli obblighi che gravano
sull’imprenditore.
La responsabilità dell’imprenditore per la conservazione della garanzia
patrimoniale verso i creditori e l’obbligo di verità, penalmente sanzionato,
gravante ex art. 87 I. fall. sul fallito interpellato dal curatore circa la destinazione
dei beni dell’impresa giustificano, dunque, una inversione dell’onere della prova a
carico dell’amministratore della società fallita solo apparente, che ripete il suo
fondamento dal complesso degli obblighi, di fonte normativa, che gravano
sull’imprenditore e che non consentono, in caso di mancato rinvenimento di beni
aziendali o del loro ricavato, di ritenere sufficienti generiche asserzioni,
soprattutto ove non riscontrate dall’esistenza di idonea documentazione
contabile. Difatti «In tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione o
dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla
mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni
suddetti» (per tutte Sez. 5, Sentenza n.8260 del 22/09/2015 Ud. (dep.
29/02/2016) Rv. 267710, Sez. 5, n. 35882 del 17/06/2010 – dep. 06/10/2010,
De Angelis, Rv. 24842501, N. 2876 del 1998 Rv. 212606, N. 7569 del 1999 Rv.

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di distruzione o occultamento (sotto forma di mancata consegna agli organi della

213636, N. 3400 del 2004 Rv. 231411, N. 7048 del 2008 Rv. 243295, N. 22894
del 2013 Rv. 255385, N. 11095 del 2014 Rv. 262740).
3.1 Siffatto procedimento inferenziale – che trae dall’inerzia del fallito
argomenti di prova della consapevolezza e volontà di lesione delle ragioni
creditorie – è legittimo con esclusivo riferimento alla bancarotta fraudolenta
patrimoniale proprio perchè fattispecie caratterizzata da dolo generico, mentre
non soddisfa l’onere di dimostrazione della specifica finalità fraudolenta che

per condotte materialmente equivalenti) delle scritture contabili.
4. Nel caso in esame, la corte territoriale – pur a fronte di specifiche
censure formulate nell’atto di gravame – ha operato una unitaria ricostruzione
dell’elemento soggettivo, facendo applicazione generalizzante del richiamato
principio e riconducendo alla mancata collaborazione dell’imputato tout court
anche il dolo della bancarotta documentale per occultamento.
Siffatta equiparazione non appare rispondente ai parametri di legittimità
della dimostrazione dell’elemento soggettivo del reato, non essendo presidiata
da una solida e compatta giustificazione rispetto alla quale le questioni
prospettate nell’atto di gravame possano ritenersi, al di là di ragionevoli profili di
dubbio, argomentativamente confutate.
Gli evidenziati profili di contraddittorietà della motivazione in riferimento
all’elemento soggettivo del reato di bancarotta documentale finiscono, invero,
per dispiegare effetti non solo in riferimento alla diversa qualificazione del fatto
ai sensi dell’art. 217 I.f., ma anche con riguardo alla stessa ricostruzione
dell’elemento soggettivo del delitto di bancarotta patrimoniale, nella concreta
fattispecie contestato sotto forma di mancata messa a disposizione di beni e
merci di valore determinato, ed invece ritenuto in sentenza riferibile all’intero
valore dei crediti ammessi al passivo della procedura concorsuale.
5. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata, con rinvio alla
Corte d’appello di Roma perché – in piena libertà di giudizio e previo nuovo
completo esame del materiale probatorio (Sez. 2, Sentenza n.1726 del
05/12/2017 Ud. (dep. 16/01/2018) Rv. 271696; Sez. 5, Sentenza n.42814 del
19/06/2014 Ud. (dep. 13/10/2014) Rv. 261760), proceda a nuovo esame.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della
Corte di appello di Roma.

6

connota la bancarotta documentale per sottrazione, distruzione o falsificazione (o

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2018

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