Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20482 del 20/03/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 20482 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SANTO VITO CONCETTA N. IL 28/02/1964
avverso il decreto n. 3471/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di MILANO,
del 03/06/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;
lette/settbite le conclusioni del PG Dott. TLeAco
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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 20/03/2015

Ritenuto in fatto

1.Con decreto del 3 giugno 2014 il Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano
dichiarava inammissibile l’istanza, proposta dalla condannata Concetta Santovito, volta ad
ottenere l’affidamento in prova ai servizi sociali ai sensi dell’art. 47 ord. pen., ritenendo
ostativo il titolo del reato per il quale aveva riportato condanna la sui pena detentiva stava
espiando.

per cassazione, deducendone la nullità per violazione di legge in relazione al disposto dell’art.
4-bis L. nr. 354 del 1975. Deduce al riguardo che la possibilità della pronuncia
dell’inammissibilità della domanda “de plano” secondo quanto previsto dall’art. 666 cod. proc.
pen., comma 2, resta subordinata alla manifesta carenza delle condizioni previste per legge,
oppure alla riproposizione di richiesta già in precedenza respinta, condizioni non ricorrenti nel
caso, dal momento che l’istanza di applicazione della misura alternativa non era in assoluto
preclusa dalla condanna per il delitto di cui all’art. 74 D.P.R. nr. 309/90, dovendo essere
verificato se il condannato avesse prestato collaborazione, oppure la stessa fosse stata
impossibile o marginale, circostanze documentate dalla produzione che il decidente non aveva
considerato.
3. Con requisitoria scritta depositata il 4 novembre 2014 il Procuratore Generale presso la
Corte di Cassazione, dr. Francesco Salzano, ha chiesto l’annullamento con rinvio del
provvedimento impugnato condividendo i motivi di gravame.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato e merita dunque accoglimento.
1.Va premesso che, in base al combinato disposto dell’art. 678 e dell’art. 666 cod. proc.
pen., comma 2, il procedimento può essere definito con il decreto di inammissibilità, reso “de
plano” dal Presidente del Tribunale, quindi non all’esito dell’udienza camerale nel
contraddittorio tra le parti, soltanto in caso di manifesta infondatezza per difetto delle
condizioni di legge, oppure di riproposizione di istanza già respinta.
1.1 Secondo costante arresto della giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. 1, n.
45998 del 05/07/2013, P.M. in proc. Cervone e altri, rv. 257472; sez. 1, n. 42471 del
27/10/2009, P.M. in proc. Tozzi, rv. 245574; Sez. 1, n. 7344 del 28/01/2008 , P.M. in proc.
Palmigiani, rv. 239138; sez, 2, n. 5495 del 17/1/1999, Esposito, rv. 216349; sez. 1, n. 1461
del 5/3/1996, P.G. in proc. Verde, rv. 204311; sez. 1, n. 5626 del 23/11/1994, Giovazzino, rv.
200329) il procedimento ordinario riguardante l’esecuzione penale resta soggetto alla disciplina
dettata dall’art. 666 cod.proc.pen., commi terzo e quarto, che prescrivono si proceda in
camera di consiglio, previa fissazione dell’udienza, con avviso alle parti e con la partecipazione
“necessaria” del difensore dell’interessato e del P.M., in quanto la norma sopra citata è inserì

2. Avverso detto provvedimento l’interessata a mezzo del difensore ha proposto ricorso

tra le disposizioni generali sull’esecuzione e sancisce la forma di tutti i procedimenti di
competenza del giudice dell’esecuzione, con la unica eccezione per i casi in cui sia applicabile la
diversa e specifica procedura “de plano” quale fase preliminare dell’ordinario procedimento
camerale.
1.2 Dal combinato disposto dei commi secondo e terzo dell’art. 666 cod. proc. pen., e
secondo quanto già affermato da questa Corte, “è illegittimo il provvedimento con cui il giudice
dell’esecuzione dichiari inammissibile “de plano” il ricorso concernente questioni di diritto e

espressamente previste dall’art. 666, comma secondo, cod. proc. pen. di manifesta
infondatezza dell’istanza o di mera riproposizione di richiesta già rigettata” (Cass. sez. 5, n.
34960 del 14/6/2007, Stara, rv. 237712; negli stessi termini: Cass. sez. 1, n. 24164 del
27/04/2004, Castellano, Rv. 228996; sez. 1, n. 31999 del 6/7/2006, Valfrè, rv. 234889).
1.3 In tali situazioni, infatti, viene devoluta alla cognizione del giudice questione che
consente il riscontro immediato della mancanza di fondamento dell’istanza, mentre ogni
qualvolta sia richiesta la considerazione approfondita delle tematiche prospettate, di non
univoca soluzione, nonché la delibazione di fondatezza nel merito dell’istanza nei suoi profili
fattuali e nella considerazione delle argomentazioni giuridiche sostanziali o processuali,
s’impone la previa instaurazione del contraddittorio con il rito camerale di cui all’art. 127 cod.
proc. pen., richiamato dall’art. 666 cod.proc.pen. e segg., comma 3.
1.4 La violazione delle norme richiamate determina la nullità assoluta, ai sensi dell’art.
179, primo comma, cod. proc. pen., dell’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione abbia
provveduto con la procedura cosiddetta “de plano” in assenza dei presupposti legittimanti
perché pregiudica la possibilità di partecipazione del difensore e tale vizio può essere rilevato
d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del procedimento e determina la nullità dell’intero
giudizio e del provvedimento conclusivo.
2. Nel caso in esame il Presidente si è limitato a rilevare la causa d’inammissibilità della
domanda in relazione all’inclusione del titolo del reato per il quale la Santovito ha riportato
condanna nell’elenco dei reati di cui all’art. 4-bis ord. pen., per i quali non è consentito
ammettere il reo ai benefici penitenziari.
2.1 D testo dell’art. 4 bis, comma 1, come modificato a seguito della novella introdotta
con D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con modificazioni con L. 23 aprile 2009, n. 38,
sancisce il divieto di concessione di taluni benefici previsti dall’ordinamento penitenziario ai
condannati per determinati delitti, distinguendoli in due diversi gruppi: per i reati indicati nel
primo gruppo, detti convenzionalmente “di prima fascia”, il divieto cessa nella sola ipotesi in
cui il condannato collabori con la giustizia a norma dell’art. 58-ter (art. 4 bis) comma 1, primo
periodo), ovvero sia dimostrata la mancanza di collegamenti con la criminalità organizzata,
terroristica ed eversiva e la collaborazione risulti non utile o siano applicate determinate
circostanze attenuanti (art. 4 bis, comma 1, secondo periodo), mentre per l’altro gruppo di
reati è prevista la possibilità di concessione dei benefici “solo se non vi sono elementi t li da

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preliminari accertamenti in fatto, in quanto siffatto decreto può essere emesso nelle ipotesi

far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva
(art. 4 bis, comma 1, terzo periodo).
2.2 Nel caso in esame l’istante aveva rappresentato di non avere potuto prestare
collaborazione con gli inquirenti e quindi di non essersi trovata nelle condizioni per poter
integrare la condizione che consente di superare il divieto legislativo, avendo altresì prodotto
documentazione a corredo di tale assunto, di cui però il Decidente non pare avere tenuto alcun
conto, dal momento che il provvedimento non ne fa alcuna menzione. Deve dunque

soltanto per smentirne il fondamento e che tale rilievo esclude una manifesta ed immediata
infondatezza della domanda, da sottoporre piuttosto al vaglio critico con apprezzamento delle
circostanze di fatto in essa rappresentate.
Tanto convince della nullità del decreto impugnato per violazione delle norme processuali
richiamate dalla ricorrente; ne discende il suo annullamento senza rinvio e la trasmissione
degli atti al Tribunale di Sorveglianza di Milano per la delibazione nel merito della richiesta.

P. Q. M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e dispone la trasmissione degli atti al
Tribunale di Sorveglianza di Milano.
Così deciso in Roma, il 20 marzo 2015.

riscontrarsi che la deduzione difensiva avrebbe richiesto una qualche considerazione, anche

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