Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20467 del 27/01/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 20467 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Tafa Evis, nato il 3/05/1983 a Elbasan (Albania),

avverso l’ordinanza del 3/07/2014 del Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Piacenza;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonella Patrizia Mazzei;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, Aurelio Galasso, il quale ha concluso chiedendo la declaratoria di
inammissibilità del ricorso.

RILEVATO IN FATTO
1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Piacenza, in funzione
di giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 3 luglio 2014, ha respinto l’istanza
avanzata da Tafa Evis, diretta ad ottenere la sospensione dell’ordine di
esecuzione emesso nei suoi confronti dal Procuratore della Repubblica di
Piacenza, a seguito del decreto di inammissibilità delle misure alternative
richieste (affidamento in prova al servizio sociale o, in subordine, detenzione
domiciliare), emesso de plano dal Presidente del Tribunale di sorveglianza di

Data Udienza: 27/01/2015

Bologna, ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., in data 13 giugno
2014.
A sostegno della decisione il Giudice dell’esecuzione ha richiamato la
giurisprudenza di questa Corte di cassazione e, segnatamente, la sentenza n.
47024 del 2008, statuente la legittima emissione dell’ordine di esecuzione da
parte del pubblico ministero, previa immediata revoca del decreto di
sospensione, non solo nel caso in cui l’istanza di ammissione del condannato a

cui sia dichiarata inammissibile dal presidente del tribunale con provvedimento
emesso de plano.

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Tafa
tramite il difensore, avvocato Ilaria Crema del foro di Brescia, che deduce
violazione di norma processuale per erronea applicazione dell’art. 666, comma 7,
cod. proc. pen., in relazione al comma 2 dello stesso articolo.
La norma citata precluderebbe la sospensione dell’esecuzione, in deroga alla
disposizione generale di cui all’art. 588, comma 1, cod. proc. pen., solo nel caso
di ordinanze pronunciate dal tribunale di sorveglianza come da testuali
disposizioni di cui all’art. 666, commi 6 e 7, cod. proc. pen., in tema di
procedimento di esecuzione, cui rinvia l’art. 678 dello stesso codice per la
disciplina del procedimento di sorveglianza, e non anche nel caso di decreto di
inammissibilità emesso, in sede esecutiva, dal giudice o dal presidente del
collegio a norma dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., cui corrisponde
l’analogo decreto del presidente del tribunale di sorveglianza. E ciò per l’espresso
riferimento alla sola “ordinanza” come ostativa alla sospensione dell’esecuzione,
salvo che il giudice emittente disponga diversamente, operato dal comma 7 dello
stesso art. 666, senza trascurare la differenza tra decreto e ordinanza posta
dall’art. 125 cod. proc. pen., e l’adozione del primo de plano mentre la seconda
suppone il previo contraddittorio delle parti, donde la ragionevole esclusione
della sospensione dell’esecuzione della sola ordinanza e non anche del decreto di
inammissibilità.

3. Il Procuratore generale, nella requisitoria depositata il 18 settembre
2014, ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso per manifesta
infondatezza del motivo, sulla base dell’art. 656, comma 8, cod. proc. pen., che,
in caso di dichiarata inammissibilità della richiesta di ammissione a misure
alternative, così come nel caso di rigetto di essa, espressamente prevede la
revoca del decreto di sospensione dell’esecuzione e l’emissione dell’ordine di
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misure alternative alla detenzione in carcere sia respinta, ma anche in quello in

esecuzione; l’art. 666, comma 7, cod. proc. pen., inoltre, avrebbe una portata
generale e non distinguerebbe tra decreti e ordinanze nel prevedere l’immediata
esecutività di tutti i provvedimenti adottati dal giudice dell’esecuzione e,
conseguentemente, anche dei provvedimenti del presidente del tribunale di
sorveglianza.

1. Il ricorso è infondato.
Premesso che il provvedimento di inammissibilità di cui si contesta
l’immediata esecutività è stato emesso dal presidente del tribunale di
sorveglianza di Bologna, a norma dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., la tesi
del ricorrente, fondata su risalente giurisprudenza di legittimità (sent. n. 5854
del 1997, Rv. 208722 e n. 2538 del 1998, Rv. 210785), risulta superata dalla
giurisprudenza formatasi successivamente alla sostituzione dell’art. 656 cod.
proc. pen., ad opera della legge 27 maggio 1998, n. 165, art. 1.
Il ricorrente confonde la sospendibilità della decisione del tribunale di
sorveglianza, che abbia dichiarato l’inammissibilità di misure alternative alla
detenzione, con la possibilità di sospendere l’ordine di esecuzione della condanna
emesso dal pubblico ministero, e non considera la chiara disposizione di cui
all’art. 656, comma 8, cod. proc. pen., che espressamente prevede, nel caso di
declaratoria di inammissibilità come in quello di rigetto delle misure alternative
alla detenzione richieste dal condannato, la revoca immediata del decreto di
sospensione dell’esecuzione da parte del pubblico ministero.
Si richiama, a conforto della tesi qui sostenuta, la giurisprudenza di questa
Corte, secondo cui la revoca immediata del provvedimento di sospensione
dell’esecuzione prevista dall’art. 656, comma 8, cod. proc. pen., va disposta
anche se l’inammissibilità dell’istanza del condannato sia dichiarata con decreto
emesso “de plano” dal presidente del tribunale di sorveglianza, la cui efficacia
non è scalfita dalla circostanza che contro di esso sia stato proposto ricorso per
cassazione, dal momento che quest’ultimo non sospende l’esecuzione del
provvedimento impugnato (Sez. 1, n. 356 del 18/01/2000, dep. 04/03/2000,
Cerri, Rv. 215369).
Tutti i rilievi difensivi sono stati, peraltro, già considerati e superati con
motivazione pienamente condivisa dal collegio nel precedente giurisprudenziale
addotto a fondamento della tesi accolta nel provvedimento impugnato (Sez. 1, n.
47024 del 04/12/2008, dep. 18/12/2008, Cazzaniga, Rv. 242080). In esso, pur
riconoscendosi all’art. 588, comma 1, cod. proc. pen., secondo cui durante i
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CONSIDERATO IN DIRITTO

termini per impugnare e fino all’esito del giudizio di impugnazione l’esecuzione
del provvedimento è sospesa salvo che la legge disponga altrimenti, una portata
di carattere generale non limitata ai soli procedimenti di cognizione, pur tuttavia,
con specifico riguardo all’ordine di carcerazione emesso dal pubblico ministero in
esecuzione di una sentenza di condanna a pena detentiva, si richiama
l’autonoma disciplina dettata dal legislatore nell’art. 656 cod. proc. pen. che, nel
tempo, si è arricchito di nuovi commi (v. legge 27/05/1998, n. 165, art. 1, cit.;

5/12/2005, n. 251; legge 21/02/2006, n. 49, di conversione del d.l. 30/12/2005,
n. 272; legge 24/07/2008, n. 125, di conversione del d.l. 23/05/2008, n. 92;
legge 9/08/2013, n. 94, di conversione del d.l. 1°/07/2013, n. 78), al fine di
garantire, da un lato, l’esigenza di sospendere l’esecuzione della pena per i reati
non particolarmente allarmanti e per i soggetti non pericolosi che potrebbero
essere ammessi alle misure alternative, ma anche, da altro lato, di impedire
condotte dilatorie da parte del condannato che abbia già proposto la stessa
istanza ovvero altra istanza per la medesima misura diversamente motivata o
per altra misura (comma 7), o che proponga l’istanza fuori termine o avanzi una
richiesta dichiarata inammissibile o respinta dal tribunale di sorveglianza (comma
8).
Per tali ultimi casi (e, cioè, quando il tribunale di sorveglianza abbia
dichiarato inammissibile o respinto l’istanza di misure alternative) è
espressamente previsto che il pubblico ministero proceda alla revoca immediata
del decreto di sospensione dell’esecuzione, senza eccezione per i casi di
inammissibilità nnonocraticannente rilevata dal presidente del tribunale con
decreto, il che vuoi dire che il pubblico ministero non deve attendere il decorso
del termine per l’eventuale impugnazione da parte dell’interessato e che,
comunque, la successiva impugnazione non comporta il venire meno della revoca
già disposta, poiché la specificità della disciplina deroga anche alla previsione
dell’art. 666 cod. proc. pen., comma 7.
D’altronde, stante la ratio della disposizione, è di tutta evidenza che il
legislatore abbia voluto che la revoca immediata della sospensione riguardasse
soprattutto i casi di inammissibilità dell’istanza di misure alternative e, cioè, i
casi in cui la domanda si riveli pretestuosa e dettata soltanto da finalità dilatorie.
Tale autonoma e completa disciplina derogatoria è giustificata dalla
specificità della materia ed è fra l’altro prevista dall’art. 588 cod. proc. pen.,
comma 1, laddove fa salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti.
In sintesi può, dunque, riaffermarsi il seguente principio di diritto: in tema di
esecuzione di pene detentive, a norma dell’art. 656, comma 8, cod. proc. pen., il
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legge 19/01/2001, n. 4, di conversione del d.l. 24/11/2000, n. 341; legge

pubblico ministero è tenuto a revocare immediatamente il decreto di sospensione
dell’esecuzione, disposta ai sensi del precedente comma 5 dello stesso articolo,
in tutti i casi nei quali la domanda di misure alternative, proposta dal
condannato, sia stata dichiarata inammissibile o respinta dal tribunale di
sorveglianza, e, in particolare, anche nel caso di inammissibilità dichiarata con
decreto del presidente del tribunale di sorveglianza, a norma dell’art. 666,
comma 2, cod. proc. pen., cui rinvia l’art. 678 cod. proc. pen., restando esclusa,

presidenziale di inammissibilità e la conseguente preclusione alla revoca del
decreto del pubblico ministero di sospensione dell’esecuzione.

2. Alla luce delle osservazioni che precedono, il ricorso va dunque rigettato
con la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.,
al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 27 gennaio 2015.

in quest’ultimo caso, la sospensione dell’esecuzione del provvedimento

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