Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20464 del 27/01/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 20464 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: NOVIK ADET TONI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
AMATO VINCENZO N. IL 30/08/1954
avverso l’ordinanza n. 3/2014 CORTE ASSISE di FOGGIA, del
15/04/2014

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sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK;
lette/stagite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 27/01/2015

RILEVATO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 15 aprile 2014 la Corte di assise di Foggia, in
funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza proposta da Vincenzo
Amato con cui chiedeva la sostituzione della pena dell’ergastolo, inflittagli con
sentenza definitiva 22 giugno 2000 della Corte d’assise d’appello di Foggia, con
quella di anni trenta. Rilevava invero detto Tribunale come non potessero essere
applicati al caso di specie i principi, che la difesa aveva invocato, della pronuncia
17.09.2009 della CEDU nel caso Scoppola c. Italia. Richiamando la costante

natura sostanziale della riduzione ex art. 442 cod. proc. pen. in relazione alla
determinazione della pena, tuttavia doveva ritenersi che l’anzidetta decisione
poteva applicarsi solo a chi avesse richiesto il rito abbreviato in sede di merito e
nel periodo intertemporale segnato dalla vigenza della L. n. 479 del 1999, perché
solo in quel caso l’introduzione del decreto-legge n. 341 del 2000 ebbe a creare
un irragionevole pregiudizio a carico dell’imputato. In conseguenza, in sede di
esecuzione la conversione della pena dell’ergastolo in quella di anni 30 era
possibile solo nel caso in cui il rito abbreviato fosse stato ammesso tra il 2
gennaio ed il 24 novembre 2000 e la decisione definitiva pronunciata dopo il 24
novembre 2000. Rilevava ancora che la richiesta avanzata in sede esecutiva dal
condannato diretta ad ottenere la sostituzione della pena dell’ergastolo con
quella ad anni trenta di reclusione ex art. 442 c.p.p. in forza della sentenza della
Corte europea dei diritti dell’uomo pronunciata nel caso Scoppola c. Italia era
stata rigettata dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 4075 del 4/12/2012
che aveva affermato che era necessario “perché possa discutersi in fase
esecutiva su quale sia il trattamento sanzionatorio spettante, nella successione
di leggi che hanno inciso sulla previsione della diminuente per il rito, che il
giudizio abbreviato sia stato ammesso e che dunque la sentenza di condanna sia
stata emessa all’esito di un processo con quelle forme”.
2. Nella vicenda processuale dell’istante Amato, invece, era risultato che
costui aveva fatto richiesta del rito abbreviato solo in sede di ricorso per
cassazione (definito con la sentenza n. 4075 del 2012 di cui sopra) proposto
avverso l’ordinanza emessa in sede di incidente di esecuzione, vedendosela
respingere.
3. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione l’anzidetto
condannato, a mezzo del difensore di fiducia che motivava l’impugnazione
deducendo violazione di legge e vizio di motivazione. In particolare, articolava lo
svolgimento della vicenda processuale che aveva riguardato Amato: a seguito
del dissenso espresso dal pubblico ministero alla definizione del processo con il
rito abbreviato, si era proceduto con il rito ordinario e questi era stato
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giurisprudenza del giudice di legittimità, riteneva che, pur dovendosi affermare la

condannato in primo grado con la sentenza emessa in data 21 febbraio 1997 alla
pena dell’ergastolo con isolamento diurno per anni uno e mesi sei ex art. 72 cod.
pen.; l’istanza di giudizio abbreviato era stata rigettata anche nel giudizio di
appello e, con decisione del 22 giugno 2000, anche dalla Corte di Cassazione,
nonostante la modifica normativa che eliminava il consenso del pubblico
ministero. Ad avviso del ricorrente, la decisione impugnata non aveva
correttamente interpretato la sentenza Scoppola che aveva affermato il principio
della retroattività della legge che prevede una pena meno severa. La richiesta di

30, comma 1, lett. b), legge n. 479 del 1999 -cristallizzava il più mite
trattamento sanzionatorio in quel momento previsto da applicare in caso di
condanna, a nulla rilevando che la decisione fosse intervenuta in un momento in
cui il quadro probatorio si era modificato in senso più rigoroso. Richiamando
ancora i principi espressi nella sentenza delle Sezioni Unite Ercolano, la decisione
di incostituzionalità n. 210 del 2013 ed i pronunciamenti europei ritiene che la
richiesta di ammissione al giudizio abbreviato formulata innanzi alla Corte di
cassazione il 12 giugno 2000, prima udienza utile, gli consentiva di vedersi
irrogare la pena più mite di anni 30 di reclusione in luogo di quella dell’ergastolo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso, manifestamente infondato, deve essere dichiarato

inammissibile con ogni dovuta conseguenza di legge. Ed invero sul tema
proposto dal ricorso deve essere ricordato come la giurisprudenza di questa
Corte – con affermazione che va qui ribadita – abbia in modo unanime insegnato
che il principio discendente dalla sentenza della CEDU sul caso Scoppola c. Italia,
su cui il ricorrente fonda la richiesta, si può applicare solo a coloro che abbiano
chiesto il rito abbreviato nel periodo di vigenza della L. n. 479 del 1999, perché
solo in quel caso, che dunque non può essere generalizzato, l’intervenuta
modifica legislativa ebbe a creare un irragionevole pregiudizio a carico
dell’imputato (sul punto, assolutamente pacifico, cfr. Rv. 254524, 254212,
254096, 251857, 253093, 252211; ecc.).
2. In particolare va ricordato come sui temi in questione, oggetto della
presente decisione, siano già intervenute due fondamentali decisioni delle
Sezioni Unite di questa Corte di Cassazione, entrambe pronunciate in data
19.04.2012, la n. 34233, in proc. Giannone (dep. il 07.09.2012) e la n. 34472,
in proc. Ercolano (dep. il 10.09.2012), sentenze – che affrontano in modo
esaustivo le varie problematiche – dalle quali il Collegio non ha ragione di
discostarsi. Orbene, va dapprima rilevato che “le decisioni della Corte EDU che
evidenziano una situazione di oggettivo contrasto della normativa interna
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giudizio abbreviato formulato da Amato nel vigore della “legge intermedia” – art.

sostanziale con la Convenzione EDU assumono rilevanza anche nei processi
diversi da quello nell’ambito del quale è intervenuta la pronuncia della predetta
Corte” (cosi la predetta sentenza Ercolano, massima n. 252933).
Di poi, sempre uniformandosi al dictum di questa Corte nella sua massima
espressione nomofilattica, va rilevato come, quanto al circoscritto aspetto della
determinazione della pena, l’art. 442 cod. proc. pen. sia norma di diritto
materiale (così recependo la sostanza della decisione del caso Scoppola c. Italia).
Va quindi ricordato come sia ormai pacifico che idoneo strumento di

principio della legalità della pena anche nella sua valenza convenzionale (e cioè
dovendosi tenere conto – anche in ossequio alle pronunce della Corte
Costituzionale sul tema – dei principi della Carta dei Diritti dell’Uomo quali
espressi dalla CEDU), possa essere l’incidente di esecuzione ex art. 670 cod.
proc. pen., nell’ambito del quale superare – se del caso – il giudicato. Ciò posto,
occorre però ricordare – nello specifico tema – come l’adeguamento concreto a
tali principi nel diritto interno, nei termini e nelle forme suddette, vada ricondotto
solo ai casi che si trovino in una situazione identica a quella esaminata dalla
CEDU. In particolare la citata sentenza n. 34233, Giannone, così si esprime:
“L’operatività di tale regola (i.e. la retroattività della

lex mitior, quale

legalità convenzionale della pena), con specifico riferimento alla disciplina del
giudizio abbreviato, non può essere ancorata, per individuare la disposizione che
prevede la pena più mite, al mero dato formale delle diverse leggi succedutesi
tra la data di commissione dei reati e la pronuncia della sentenza definitiva, ma
presuppone la coordinazione di tale dato, di per sè neutro, con le modalità e con
i tempi di accesso al rito, perché da essi direttamente deriva, in base alla legge
vigente, il trattamento sanzionatorio da applicare”. Di poi la stessa sentenza
ribadisce e precisa tale concetto, assumendo che si tratta di una “fattispecie
complessa integrata” nella quale – in definitiva – la natura sostanziale del
trattamento sanzionatorio deve essere di necessità collegata a modalità e tempi
del rito speciale.
Tutto ciò premesso e ritenuto, va affermata la concreta inapplicabilità del
principio discendente dalla sentenza della CEDU in data 17.09.2009 (nel caso
Scoppola c. Italia) a tutte quelle situazioni che non siano sovrapponibili, nei loro
elementi essenziali aventi rilievo nello schema sopra illustrato, alla situazione
valutata dall’anzidetta Corte sopranazionale. La regola della
retroattività/ultrattività della

lex mitior,

con riferimento al mutamento di

disciplina della pena, in tanto può operare, in quanto la fattispecie complessa a
cui innanzi si faceva cenno risulti essere stata integrata in tutte le sue
componenti durante la vigenza della lex mitior intermedia: in particolare,
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eventuale adeguamento interno, al fine di garantire concreta applicazione al

l’interessato deve avere chiesto, in tale arco temporale, l’accesso al rito
semplificato, evento processuale questo -che, come si è detto, cristallizza la
pena meno severa in quel momento prevista, attribuendole efficacia retroattiva
rispetto alla data di consumazione del fatto reato e ultrattiva rispetto al suo
superamento ad opera della legge successiva più rigorosa. La richiesta di
giudizio abbreviato formulata nel vigore della così detta “legge intermedia”, art.
30, comma 1, lett. b), legge n. 479 del 1999, in relazione ai reati punibili con
l’ergastolo individua, pertanto, il più mite trattamento sanzionatorio da

interviene la relativa decisione, il corrispondente quadro normativo risulta
essere stato – medio tempore

modificato in senso più rigoroso.

In particolare – facendo sempre riferimento a quanto è dato leggere nella
citata sentenza Giannone delle SS.UU. – la conversione della pena dell’ergastolo
in quella di anni trenta è possibile, in sede esecutiva, solo ove il rito abbreviato
sia stato chiesto e sia stato ammesso tra il 02 Gennaio ed il 24 Novembre 2000,
e cioè nella vigenza della L. n. 479 del 1999, art. 30, comma 1, lett. b, (che
prevedeva che, in esito al rito speciale, all’ergastolo si sostituisse la pena di anni
trenta di reclusione). Tutti i casi diversi da quello appena delineato, siccome
strutturalmente non riconducibili a quello per cui è stato espresso il principio,
non possono dunque trovare soluzione positiva.
In base a quanto sopra, pertanto, il ricorso del Amato deve essere ritenuto
inammissibile, posto che la mancata ammissione al rito abbreviato (a suo tempo
chiesto solo in sede di ricorso per cassazione e non ammesso), secondo le regole
processuali del tempo, non toccate dalla pronuncia soprannazionale, ha
consolidato il giudizio con rito ordinario (il che, nella fattispecie, è dato
processuale pacifico). Ed invero la natura sostanziale della diminuente premiale
per il rito abbreviato, predicata dalla CEDU, non implica la trasformazione della
natura processuale di tutta la restante normativa concernente i presupposti, i
termini e le modalità dì accesso ai rito in questione, rimessi alla scelta del
legislatore nazionale, aspetti non immutati dalla giurisprudenza comunitaria. In
tal senso è assolutamente evidente, dunque, che difettano completamente, nel
caso del ricorrente, i presupposti processuali per rendere concretamente
operativi i principi espressi dalla CEDU nel citato caso Scoppola, in ossequio al
quadro sistematico discendente dalle sopra citate sentenze Ercolano e Giannone
delle Sezioni Unite di questa Corte di legittimità, come del resto ribadito da
questa Corte nelle sue numerose decisioni conformi su casi analoghi.
3. In definitiva il ricorso, manifestamente infondato, deve essere dichiarato
inammissibile ex art. 591 c.p.p. e art. 606 c.p.p., comma 3. Alla declaratoria di

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applicare in caso di condanna, a nulla rilevando che, nel momento in cui

inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell’art.
616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento ed al versamento della somma, tale ritenuta congrua, di Euro
1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende, non esulando profili di
colpa nel ricorso palesemente infondato (v. sentenza Corte Cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) in

Così deciso in Roma, 27 gennaio 2015
Il Consigliere estensore

Il Presidente

favore della Cassa delle Ammende.

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