Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20462 del 15/03/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20462 Anno 2018
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: FILIPPINI STEFANO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
DEL VECCHIO SAVINO nato il 08/11/1953 a BARLETTA
RIZZI ANGELA MARIA nato il 02/03/1951 a BARLETTA
DEL VECCHIO LUIGI nato il 29/12/1977 a BARLETTA
DEL VECCHIO MICHELE nato il 05/07/1982 a BARLETTA
DEL VECCHIO VALENTINO nato il 03/03/1990 a BARLETTA
D3 IMMOBILIARE S.R.L.
EDIL SA.BA . S.R.L..
NUOVA RECUPERO S.R.L.

avverso il decreto del 06/10/2016 della CORTE APPELLO di BARI
sentita la relazione svolta dal Consigliere STEFANO FILIPPINI;
lette le conclusioni del PG

Data Udienza: 15/03/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto in data 26.1.2015 il Tribunale di Trani, accogliendo la proposta
avanzata dalla DDA di Bari in data 18.9.2013, disponeva l’applicazione della
misura di prevenzione patrimoniale della confisca ai sensi della legge 575/1965
nei confronti di DELVECCHIO Savino (il proposto) con riferimento ad una serie
di beni mobili e immobili oltre a rapporti bancari intestati al predetto, nonché di
beni mobili e immobili, quote societarie (della D3 IMMOBILIARE s.r.I., EDIL

stretti familiari e cioè alla moglie RIZZI Angela Maria ed ai figli DELVECCHIO
Luigi, DELVECCHIO Michele e DELVECCHIO Valentino (terzi interessati tutti
attuali ricorrenti) sul presupposto della pericolosità sociale (sia generica che
qualificata) del predetto DELVECCHIO Savino, riscontrata gli anni compresi tra
il 1977 e il 2009 sulla base di molteplici condanne nonché in relazione a due
carichi pendenti. Secondo quanto ricostruito da giudici del Tribunale di Trani nel
richiamato provvedimento del 26.1.2015 (cfr. pagg. 22 e segg.), Delvecchio
Savino presenta profili di pericolosità sociale desumibili: – da una condanna
della Corte di appello di Bari del 1981, irrevocabile dal 1983, per rapina
aggravata, furto, sequestro di persona, lesioni personali e violazione della
legge sulle armi (fatti del 1977); – da altra condanna della medesima Corte del
2004 irrevocabile dal 2005, per tentata estorsione e minaccia (fatti commessi
tra il 1997 e il 1998); – da sentenza di applicazione pena del Tribunale di Trani
del 1999 per usura ed estorsione in concorso (fatti del 19941996); – da altra
sentenza di applicazione pena del Tribunale di Bari del 2007 per estorsione
continuata e truffa (fatti rispettivamente commessi sino al 1996 e sino al 2001);
– dal certificato dei carichi pendenti nel quale figuravano due pendenze, una
per i reati di cui agli artt. 392, 612, 633 e 635 commessi il 4.11.2009 (per i
quali le difese sostengono essere poi intervenuta remissione di querela), altra
per i reati di cui agli artt. 513 e 629 cod.pen. commessi il 26.8.1997; – dalla
emissione, in data 14.4.2005, di ordinanza di custodia cautelare in carcere per
i reati di cui agli artt. 416 bis, 629 e 640 cod.pen., aggravati dall’art. 7 della
legge 203/1991 (procedimento c.d. “Download”); – dalla applicazione, in data
30.5.2001, da parte del Tribunale di Bari, Sezione misure di prevenzione, della
misura della sorveglianza speciale per anni 4 (poi ridotta in appello ad anni 2)
in relazione al ritenuto inserimento nel clan “Cannito-Lattanzio” con il ruolo di
cassiere dei profitti illeciti realizzati dal gruppo criminale.
Secondo le incontrastate risultanze del richiamato provvedimento (cfr. pagg.
23 e 24), nonostante che dal certificato penale del proposto risulti che la

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SA.BA . s.r.l. e NUOVA RECUPERO s.r.I.) e rapporti bancari intestati ai suoi più

sentenza di applicazione pena del 2007 abbia riguardato solamente i reati di
cui agli artt. 640 e 629 cod.pen., dalla motivazione della sentenza emessa in
data 4.10.2007 dal GUP di Bari (poi divenuta definitiva) a carico dei correi,
emerge che il Delvecchio Savino è stato giudicato contiguo al clan
“Cannito-Lattanzio” e che per i detti reati è stata ritenuta sussistente (seppure
solo per i correi) l’aggravante di cui all’art. 7 della legge 203/1991 che
costituisce una delle fattispecie legittimanti l’applicazione della misura di
prevenzione di cui all’art. 4 lett. a) e b) del D. Lgs. 159/2011 (in vigore dal

1.1. Avverso tale provvedimento proponevano appello il DELVECCHIO Savino,
i suoi familiari predetti nonché le citate società (in persona dei legali
rappresentanti, rispettivamente DELVECCHIO Michele per la D3 IMMOBILIARE
s.r.l. e per la NUOVA RECUPERO s.r.I., DELVECCHIO Luigi per la EDIL SA.BA .
s.r.I.), sollevando questioni di rito e di merito .
1.2.

La Corte di Appello di Bari, ritenendo correttamente ravvisata la

pericolosità sociale del proposto (sia comune che qualificata) nonché la
attualità della stessa al momento della acquisizione dei beni o della relativa
provvista, rigettava gli appelli e confermava integralmente il decreto di
confisca impugnato.
2. Ricorrono per Cassazione con separati ricorsi tutti i soggetti interessati
dalla misura, sollevando i seguenti motivi:
-DELVECCHIO Savino, a mezzo dell’avv. Giancarlo Chiarello,
2.1 violazione di legge e vizio di motivazione per essere stata reiterata la
misura di prevenzione patrimoniale nonostante la preclusione derivante da
precedenti provvedimenti di restituzione dei beni in favore del proposto,
adottati in data 6.7.2000 e 30.5.2001 dal Tribunale di Bari per la perenzione
del sequestro (per scadenza del termine biennale di cui all’art. 2-ter comma
3 della legge 575/1965); infatti, nel secondo dei richiamati provvedimenti,
applicativo della misura di prevenzione personale, nulla è stato disposto a
proposito della confisca, nonostante l’autonomia dell’istituto rispetto al
sequestro, sicchè deve ritenersi formato giudicato negativo sul punto. Né è
sopravvenuta alcuna nuova circostanza indiziaria utile a superare il giudicato.
2.2. Violazione di legge e difetto assoluto di motivazione in relazione ai
presupposti oggettivi e soggettivi di operatività della disposta misura ablativa.
Infatti, al di fuori del richiamato provvedimento del 2001 non vi è riscontro di
successive verifiche di potenziale pericolosità sociale, dunque non vi è
correlazione temporale tra l’acquisizione dei beni e la presunzione di origine

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13.10.2011).

illecita.
2.2.1. Con note di udienza depositate in data 31.3.2017 l’avv. Chiarello,
unitamente all’avv. Enzo Musco, espongono, in favore di Savino Delvecchio,
argomenti in diritto sulla eccepita violazione del principio del ne bis in idem
(nel caso di reiterazione di iniziative di prevenzione ancorate sui medesimi
motivi già valutati), sul tema della pericolosità sociale (anche in relazione alla
recente sentenza della Corte EDU del 23.2.2017) e della sproporzione (specie
con riferimento alla esistenza di lecite fonti di reddito seppure non dichiarate

delle società D3 Immobiliare e Edil Sa.Ba. le medesime note insistono sulla
esigenza, quanto meno, di considerare le lecite risorse economiche di
pertinenza di detti soggetti terzi ed impiegate nella attività nelle quali, in
maniera peraltro indimostrata, si afferma sussistere una interposizione
fittizia rispetto al proposto.
– DELVECCHIO Savino, RIZZI Angela Maria, D3 IMMOBILIARE s.r.l. ed EDIL
SA.BA . s.r.l. (queste ultime due in persona del legale rappresentante), a
mezzo dell’avv. Luciano Mascolo ,
2.3. incompetenza funzionale del Tribunale di Trani, piuttosto che quello di
Bari, ad emettere la misura di prevenzione patrimoniale, avendo quest’ultimo
adottato, con il provvedimento del 2001 sopra richiamato, nei confronti di
Delvecchio Savino, una misura di prevenzione personale
2.4. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla illegittimità
della confisca a causa della inefficacia sopravvenuta del sequestro, essendo la
confisca intervenuta oltre i 18 mesi di legge; invero, la proroga (che si dice
concessa dal Tribunale in data 15.3.2015, ma decorrente dal
15.12.2014 ,data della relativa richiesta del PM), è illegittima perchè
retroattiva ma soprattutto perchè mai notificata alle parti e ai difensori
2.5. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla omessa
tempestiva citazione dei terzi rispetto all’udienza di convalida del sequestro in
data 14.10.2013, essendo non configurabile la ritenuta sanatoria della nullità
ravvisata nella comparizione degli interessati senza sollevare eccezioni;
2.6. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla nullità del
giudizio dinanzi al Tribunale per mutamento del collegio che ha deciso la
causa, differente da quello che ha disposto l’istruttoria;
2.7. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla violazione del
divieto di ne bis in idem, degli artt. 649, 669 e 739 cod.proc.pen., rispetto alla
decisione sulla misura di prevenzione personale che non ha disposto quella

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al fisco); in favore dei sigg.ri Michele e Luigi Delvecchio, Angela Maria Rizzi e

patrimoniale, difettando comunque novità o nuovi elementi nella titolarità dei
patrimoni;
2.8. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla pericolosità del
proposto, difettando correlazione temporale tra questa e gli acquisti e
trattandosi di elemento non attuale, anche alla luce della assoluzione del
proposto dall’accusa di partecipazione all’associazione nota come clan
Cannito;
2.9. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta

onere dell’accusa fare; comunque le società costituiscono autonomi soggetti
di diritto, che nei 30 giorni successivi al sequestro dovevano essere chiamati
a partecipare al giudizio; né opera in materia di prevenzione alcuna
presunzione fondata sulla sproporzione dei valori posseduti dal terzo, né
ricorre nella fattispecie dimostrazione adeguata del potere dispositivo o
comunque di ingerenze da parte del proposto.
– RIZZI Angela Maria nonchè DELVECCHIO Michele e DELVECCHIO Luigi, in
proprio e per le società D3 IMMOBILIARE s.r.l. ed Edil SA.BA . srl , a mezzo
dell’avv. Giancarlo Chiarello,
2.10. violazione di legge e difetto assoluto di motivazione in relazione ai
presupposti di operatività della misura ablativa nei confronti degli stessi,
essendo provvisti di redditi e disponibilità finanziarie autonome e compatibili
con gli investimenti operati con la costituzione delle due società, in assenza di
altri elementi idonei a dimostrare la dominante presenza del proposto. Non è
in ogni caso sostenibile che l’eventuale apporto iniziale di capitali forniti dal
proposto abbia avuto la capacità di inquinare l’intera attività aziendale, che
ha invece prosperato sulla base delle risorse finanziarie e lavorative offerte
dai ricorrenti .
– DELVECCHIO Luigi, DELVECCHIO Michele e DELVECCHIO Valentino, nonché
la NUOVA RECUPERO s.r.I., a mezzo dell’avv. Tommaso Divincenzo,
2.11. violazione di legge e nullità del decreto di convalida del sequestro per
violazione dei termini a difesa rispetto alla relativa udienza, in quanto l’avviso
di fissazione della stessa è stato notificato solo pochi minuti prima
dell’incombente;
2.12. omessa pronuncia rispetto all’eccezione di mancata nomina di difensore
(di ufficio o di fiducia) per Delvecchio Valentino;
2.13. violazione del principio di immutabilità del giudice nel giudizio dinanzi al
Tribunale;

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interposizione fittizia nella titolarità delle società, non dimostrata come era

2.14. violazione del principio del contraddittorio nel giudizio dinanzi al
Tribunale, avendo il Presidente di quel collegio disposto una integrazione della
perizia disposta in quel grado ed acquisita le relativa risposta del ctu al di fuori
del contraddittorio .
2.15. violazione dei termini di legge per la emanazione della confisca, non
essendo mai stato notificato alle parti il provvedimento di proroga
appositamente concesso dal Tribunale;
2.16. vizio di motivazione in ordine alla richiesta di rinnovazione degli

costituenti entità sproporzionata rispetto alle disponibilità dei soggetti
interessati;
2.17. violazione di legge in relazione ai presupposti della misura: Delvecchio
Savino non è portatore di pericolosità qualificata sicchè possono in astratto
essere attinti solo beni acquisiti durante il periodo in cui si è manifestata la
pericolosità generica, non ravvisabile oltre il 2001,
2.18. violazione del principio del ne bis in idem, già illustrato.
3. Con nota del 14.3.2017 e replica del 5.4.2017 il Procuratore Generale ha
chiesto il rigetto dei ricorsi.
4. Gli avvocati Tommaso Divincenzo, Luciano Mascolo, Giancarlo Chiarello ed
Ezo Musco hanno depositato memorie difensive, note di udienza e di replica
alle conclusioni del P.G., all’interno delle quali, oltre ad insistere ed illustrare
i profili già citati, si inserisce la questione della estraneità temporale della
Nuova Recupero s.r.I., sorta nel 2012, rispetto all’arco temporale 1977-2009
nel quale viene collocata la pericolosità sociale del proposto.
4.1. Con memoria depositata in data 27.2.2018 DELVECCHIO Luigi,
DELVECCHIO Michele e DELVECCHIO Valentino, nonché la NUOVA RECUPERO
s.r.I., a mezzo dell’avv. Tommaso Divincenzo, insistono sui rilievi inerenti alla
assenza di pericolosità sociale del proposto, mai attinto da provvedimenti
relativi a vicende di mafia ma solo da condanne per reati generici, comunque
assai risalenti nel tempo, profilo da cui consegue la mancanza di attualità del
pericolo alla data di applicazione della misura.
4.2. Con memoria depositata il 7.3.2018 nell’interesse di DELVECCHIO
Savino, da parte dell’avv. Giancarlo Chiarello, si ripercorrono gli argomenti
relativi alle differenze di disciplina esistenti tra le ipotesi di pericolosità
generica e qualificata, richiamando il requisito della necessaria inerenza,
nella prima ipotesi, degli acquisti patrimoniali, all’interno del periodo di
sussistenza della pericolosità. Nella fattispecie, invece, la Corte territoriale ha

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accertamenti peritali e di audizione dei testi dei testi in relazione ai beni

applicato al proposto, per il quale si è ravvisata la c.d. pericolosità generica,
il regime previsto per la pericolosità specifica. Comunque, con ordinanza del
14.3.2017, allegata alla memoria, la Corte di appello di Napoli ha sollevato
questione di legittimità costituzionale della normativa di prevenzione, onde si
chiede di sospendere il presente giudizio in attesa della decisione della Corte
costituzionale.
CONSIDERATO IN DIRITTO

5.1. Preliminarmente occorre affrontare la questione del richiesto
differimento della decisione, esposta al punto 4.2.. A tale proposito, questa
Corte (cfr. Sez. VI, sentenza n. 2385 del 11.10.2017, dep. 19.01.2018,
Pomilio ed altri, non ancora massimata), con pronuncia relativa a misura di
prevenzione patrimoniale correlata ad ipotesi di pericolosità generica (art. 1
co.1 lett- a – b d.lgs. 159/2011), investita dal ricorrente di specifica doglianza
circa la proposizione di incidente di costituzionalità, ha ritenuto rilevante, ma
manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale (in
riferimento a quanto previsto dall’art. 117 co.1 Cost.) delle vigenti previsioni
di legge incidenti sul tema. La decisione richiama espressamente i contenuti
di taluni arresti di legittimità, in parte antecedenti ed in parte successivi alla
nota sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo De Tommaso c.Italia
ed afferma, in sintesi, l’esistenza di una linea interpretativa delle disposizioni
«sotto esame» ormai consolidata (la si definisce effettiva applicazione della
disciplina) che ricostruisce il contenuto delle disposizioni interne in termini
diversi – e aderenti ai parametri costituzionali e convenzionali – rispetto a
quelli posti a base (nell’esame del diritto interno rilevante) del giudizio che ha
dato luogo al riconoscimento della violazione nel caso De Tommaso.
Come noto, il sistema italiano delle misure di prevenzione personali e
patrimoniali è stato sottoposto ad un intenso scrutinio di compatibilità con i
principi della Convenzione EDU – da parte della giurisdizione interna di merito
e di legittimità – in virtù dei contenuti della decisione emessa dalla Grande
Camera Corte EDU in data 23.02.2017 nel caso De Tommaso c. Italia. Va
ricordato che la Corte di Strasburgo, esaminando il ricorso del De Tommaso soggetto cui era stata applicata da parte del Tribunale di Bari nel 2008 una
misura di prevenzione personale ai sensi dell’art. 1 I.n.1423 del 1956 (cd.
pericolosità generica) – ha ritenuto sussistente la violazione dell’art. 2 Prot. 4
Conv. EDU (disposizione che tutela la libertà di circolazione).
In particolare, la violazione è stata ricollegata al giudizio negativo sui

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5. I ricorsi sono infondati quando non inammissibili.

contenuti della previsione regolatrice interna, essendosi rilevato un deficit di
chiarezza tale da determinare scarsa prevedibilità – in capo ai destinatari delle conseguenze sfavorevoli delle proprie azioni, con eccesso di
discrezionalità del giudice in sede di delibazione dei presupposti applicativi
delle misure di prevenzione. Il giudizio negativo sulla qualità della legge
espresso – per la prima volta nel caso delle misure di prevenzione personali
italiane – dalla Grande Camera Corte EDU ha determinato complesse ricadute
sul piano interpretativo interno, attesa la natura della decisione emessa dal

una erronea applicazione delle disposizioni, tuttora vigenti (v. art. 1 d.Lgs.
n.159/2011), ma si pone il tema della compatibilità tra la previsione di legge
interna e il complessivo sistema di garanzie espresso dalle disposizioni
convenzionali.
Come segnalato dal ricorrente, alcune autorità giurisdizionali di merito (v. C.
App. Napoli, ord. del 14.3.2017) hanno ritenuto di sollevare questione di
legittimità costituzionale della disposizione interna – in tema di pericolosità
generica – per ipotizzato contrasto con l’art. 117 co.1 Cost. ed in relazione a
quanto previsto dall’art. 2 Prot. 4 e dell’art. 1 Prot. Add. Conv.; per tale
ragione è stato richiesto il differimento della presente decisione, al fine di
attendere l’esito del giudizio di costituzionalità.
5.2. Al riguardo, nella richiamata sentenza della Cassazione penale
n.2385/2018, condivisa dal Collegio, dopo il positivo scrutinio della rilevanza
(in quella sede) del proposto incidente di legittimità costituzionale (pur
considerando che la decisione G.C. Corte EDU De Tommaso è relativa ad un
giudizio interno riguardante la sola misura di prevenzione personale), si è
condivisibilmente affermata la manifesta infondatezza della questione.
Invero, quanto al primo aspetto (rilevanza), si è affermato che (come più
volte chiarito in sede di legittimità, cfr. per tutte Cass. Sez. Un. 4880/2015 ric.
Spinelli) l’applicazione della misura patrimoniale della confisca richiede,
anche in ipotesi di cd. confisca disgiunta, il preliminare inquadramento del
soggetto destinatario dell’ablazione in una delle categorie tipiche di
pericolosità (descritte dal legislatore agli articoli 1 e 4 del d.Lgs. n.159/2011)
e l’analisi del rapporto storico intercorso tra le condotte tenute dal soggetto e
l’epoca delle acquisizioni patrimoniali oggetto di potenziale confisca; dunque,
la necessaria attribuzione ad un soggetto, anche in chiave retrospettiva e non
più attuale, della connotazione negativa di pericoloso, coinvolge
necessariamente la verifica della legittimità costituzionale delle norme che

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‘primo interprete’ della Convenzione, nel cui ambito non ci si limita a rilevare

determinano quella qualifica, anche laddove non venga richiesta
l’applicazione della sorveglianza speciale (misura personale) ma quella della
sola misura patrimoniale della confisca.
5.3. Tuttavia, tanto premesso quanto alla rilevanza, la richiamata pronuncia
della Sez. VI, non diversamente da altre decisioni intervenute di recente sul
tema, emesse dalla medesima sezione ( Sez. VI sent. n. 43446/2017) o da
altra (Sez. I sent. n. 349/2018), ha concluso per la manifesta infondatezza
della questione (approdando dunque a conclusioni diverse rispetto a quelle

giurisprudenza di legittimità si è da tempo attestata su una linea
interpretativa (si citano S.U. 13426/2010; Sez. I n. 31209/2015 e Sez. VI n.
53003/2017) orientata a porre l’accento su spunti tassativizzanti contenuti
nelle previsioni di legge in questione (lì dove viene qualificata l’attività
indicativa di pericolosità come delittuosa, sia ove consista in traffici, ove
rappresenti la fonte di profitti destinati al mantenimento del tenore di vita),
aspetto che consente di ritenere superata la lettura delle medesime
disposizioni censurata, per eccesso di discrezionalità, nella decisione Corte
EDU De Tommaso. In tale visione, il fondamento della preliminare
«iscrizione» del soggetto in una delle categorie normative di pericolosità
resta ancorato – sulla scia di talune pronunzie della Corte Costituzionale (n.
23 del 1964 e n. 177 del 1980) – ad una dimensione cognitiva autonoma del
giudice della prevenzione, tesa all’apprezzamento di «fatti» corrispondenti ad
ipotesi tipiche di reato che rechino in sè l’attitudine alla produzione di profitti
illeciti, sì da «escludere apprezzamenti incontrollabili e condizionati da
imperscrutabili intuizioni soggettive». Viene inoltre rammentato che, oltre a
richiamare la natura delittuosa dei traffici svolti o del profitto conseguito, le
disposizioni in punto di pericolosità generica di cui all’art. 1 co.1 lett. a – b
d.lgs. n.159/2011 richiedono l’apprezzamento della abitualità delle condotte
generatrici.
La considerazione circa l’avvenuta stabilizzazione di simile linea
interpretativa consente dunque, secondo la richiamata decisione, condivisa
dal Collegio, di affermare la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale in quanto originata da un presupposto che non
corrisponde all’effettiva applicazione della disciplina vigente, la quale, in tale
prospettiva, si sottrae alla censura di aspecificità e imprevedibilità degli esiti,
formulata dalla Corte di Stasburgo in relazione ad un canone di
apprezzamento largamente superato.

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elaborate da GC Corte EDU nel caso De Tommaso), evidenziando come la

5.4. Detta decisione si pone in sostanziale continuità con numerosi arresti
delle Sezioni semplici della Corte di Cassazione (tra cui Sez. II n.
16348/2012; Sez. II n. 26235/2015 ; Sez. I n. 31209/2015 ; Sez. I n.
43720/2015 ; Sez. I n. 16038/2016 ; Sez. V n. 6067/2017; Sez. VI n.
36258/2017; Sez. I n. 54119/2017; Sez. VI 53003/2017; Sez. I n. 349/2018)
– nonchè con i contenuti di due arresti delle Sezioni Unite intervenuti di
recente su temi, all’evidenza, correlati (si tratta di Sez. Un. 40076/2017, ric.
Paternò e Sez. Un. 111/2018 ric. Gattuso), e consente dunque al Collegio

costituzionalità sollevato dalla Corte partenopea, così superandosi la
preliminare questione del differimento richiesto dalla difesa del proposto.
6. Sempre in via preliminare occorre dichiarare l’inammissibilità dei vari
motivi proposti dal Delvecchio Savino, nei due atti di ricorso proposti nel suo
interesse, che riguardano però profili relativi ai soli terzi interessati.
6.1. Al proposito, va in primo luogo evidenziato che, secondo la condivisa
giurisprudenza di legittimità, in materia di misure di prevenzione patrimoniali,
il sequestro e la confisca possono avere ad oggetto i beni del coniuge, dei figli
e degli altri conviventi del proposto, dovendosi ritenere la sussistenza di una
presunzione di “disponibilità” di tali beni da parte del prevenuto -senza
necessità di specifici accertamenti- in assenza di elementi contrari (Sez. 5, n.
8922 del 26/10/2015, Rv. 266142).
Ciò posto, nella fattispecie si rileva che i beni oggetto del decreto impugnato
sono stati confiscati (anche) nei confronti di soggetti (moglie, figli e società
da questi amministrate) che hanno proposto, come visto, propri ricorsi,
giudicati inammissibili per le esposte ragioni, con conseguente definitività
della relativa pronuncia.
Quindi, l’impugnazione del proposto per una misura di prevenzione
patrimoniale avverso il decreto di confisca di un bene intestato a terzi, manca
del requisito dell’interesse, quando il proposto, come è nel caso d specie,
assume una posizione processuale non contrastante rispetto a quella di chi ha
subito la confisca. In questo caso, legittimato al ricorso è solo l’intestatario,
unico soggetto avente diritto all’eventuale restituzione del bene, mentre il
ricorso del proposto non potrebbe significare altro che riconoscimento di
effettiva disponibilità e, quindi, del presupposto legittimante l’ablazione del
cespite, mancando un qualificato interesse a dedurre una situazione di mera
apparenza Nel senso indicato si rinvengono numerosi arresti giurisprudenziali
(Sez.2, n.17935 del 10/04/2014, Rv. 259258; Sez.5, n.7433 del 27/09/2013,

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di convenire in merito al giudizio di manifesta infondatezza del dubbio di

Rv.259510; Sez.2, n.6208 del 21/10/2010, Rv 249499) ai quali il collegio
aderisce.
7. Comunque, quand’anche potesse rilevarsi la presenza di un interesse
giuridicamente protetto in capo al Delvecchio Savino e, in ogni caso, con
riferimento ai beni a lui intestati, ai sensi dell’art. 4, comma 11 legge 27
dicembre 1956, n. 1423, il decreto con il quale la Corte di Appello decide in
ordine al gravame proposto dalle parti avverso il provvedimento del Tribunale
in materia di misure di prevenzione è ricorribile per cassazione

compreso, per consolidata lezione interpretativa di questa Corte, quello della
motivazione solo nella ipotesi in cui essa sia del tutto omessa ovvero
apparente (sez. 6 n.35044 del 8/3/2007, Rv. 237277; sez. 5 n. 19598 del
8/4/2010, Rv. 247514). Ciò comporta che non possono essere dedotti, con il
ricorso per cassazione, gli altri vizi della motivazione, previsti come motivo di
ricorso dall’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., quali la mancanza
(parziale), la contraddittorietà o la manifesta illogicità (sez. 6 n. 24250 del
4/4/2003, Rv. 225578). Tale limitazione ha già superato il vaglio di
costituzionalità per essere stata ritenuta la relativa questione, sollevata con
riferimento alla presunta violazione degli artt. 3 e 24 Cost., non fondata; nello
specifico la Corte Costituzionale ha rilevato che il procedimento di
prevenzione, il processo penale ed il procedimento per l’applicazione delle
misure di sicurezza sono dotati di proprie peculiarità, sia nel terreno
processuale che nei presupposti sostanziali (Corte Cost. sent. N. 321 del
2004); ciò ha consentito di ribadire il principio, già più volte affermato (Corte
Cost. ord. 132 e 352 del 2003), che le forme di esercizio del diritto di difesa
possono essere diversamente modulate in relazione alle caratteristiche di
ciascun procedimento, allorchè di tale diritto siano comunque assicurati lo
scopo e la funzione.
8. Tanto premesso in linea generale, passando alla trattazione delle specifiche
questioni sollevate, può prendersi le mosse dal ricorso proposto da
DELVECCHIO Savino, a mezzo dell’avv. Giancarlo Chiarello, e in particolare
dal motivo di cui al superiore punto 2.1., relativo a pretesa violazione di legge
e vizio di motivazione per essere stata reiterata la misura di prevenzione
patrimoniale nonostante la preclusione derivante da

precedenti

provvedimenti di restituzione dei beni in favore del proposto, adottati in data
6.7.2000 e 30.5.2001 dal Tribunale di Bari a seguito della perenzione del
sequestro (per scadenza del termine biennale di cui all’art. 2-ter comma 3

‘o

esclusivamente per violazione di legge, vizio, quest’ultimo, nel quale è

della legge 575/1965); infatti, posto che nel secondo dei richiamati
provvedimenti, applicativo della misura di prevenzione personale, nulla è
stato disposto a proposito della confisca, dovrebbe ritenersi formato
giudicato negativo sul punto; né sarebbe sopravvenuta alcuna nuova
circostanza indiziaria utile a superare il giudicato.
8.1. L’argomento è manifestamente infondato; invero, nella fattispecie, come
ampiamente chiarito dalla Corte di appello (cfr. pagg. 18 e segg.), in
occasione del precedente provvedimento per l’applicazione della misura

perduto efficacia per perenzione (come da decreto del 6.7.2000) e il
provvedimento del 30.5.2001, applicativo della sola misura personale, nulla
ha detto a proposito della confisca, non pronunciandosi in alcun modo sulla
stessa, neppure implicitamente. A fronte di tale puntuale e nitida risposta del
giudice del merito, nulla di specifico, a confutazione dell’assunto, viene
dedotto nel motivo in esame, che dunque risulta del tutto generico.
Del resto, questa Corte (Sez. 5, n. 4063 del 25/09/2000, Rv. 217848) già ha
affermato, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, che la perdita di
efficacia del provvedimento di sequestro (a causa della omessa adozione nei
termini del conseguente provvedimento di confisca), non preclude la
possibilità di sottoporre i medesimi beni ad un nuovo, successivo sequestro,
disposto nell’ambito di altro procedimento di prevenzione, instaurato “ex
novo” e finalizzato alla confisca degli stessi.
Inoltre, atteso il richiamato limite alla sindacabilità in cassazione dei
provvedimenti in questione, e considerata la correttezza in punto di diritto
dell’opzione ermeneutica in base alla quale, nella fattispecie, non si è formato
giudicato (e, comunque, che quest’ultimo si potrebbe astrattamente formare
solo su ciò che viene effettivamente deciso con il provvedimento
giurisdizionale mentre, in quello del 30.5.2001, dalle incontrastate risultanze
del provvedimento impugnato emerge che nulla si è detto sulla confisca), la
censura si risolve in una inammissibile critica alla motivazione che, per
quanto detto, appare essere indubbiamente effettiva.
In ogni caso, anche a volersi, per mera ipotesi, ravvisare nel richiamato
provvedimento 30.5.2001 una pronuncia in merito alla confisca (nel senso di
escluderla), nella fattispecie troverebbe applicazione il principio già affermato
da Sez. 1, n. 33077 del 21/09/2006, Rv. 235144, secondo la quale, in tema
di procedimento di prevenzione, la preclusione derivante da giudicato non
opera come per la decisione di merito, in quanto la decisione di prevenzione

11

i7

personale e patrimoniale, il sequestro in precedenza disposto aveva già

non accerta la sussistenza di un fatto reato o la responsabilità di un soggetto,
sicchè, non essendo preclusa la instaurazione di un nuovo procedimento di
prevenzione sulla base di elementi non considerati nei passaggi
argomentativi e nei presupposti di fatto di una precedente decisione, è
consentita l’applicazione del sequestro e della confisca di beni sulla base di
una nuova considerazione della situazione fattuale sotto il profilo personale e
patrimoniale (in tal senso, anche S.U. 13 dicembre 2000 n. 36, ric. Madonia,
dep. 7 febbraio 2001, non massimata sul punto). E, per come emerge

merito hanno ravvisato la pericolosità personale del proposto è ben più ampio
(arrivando sino al 2009) rispetto a quello considerato nel provvedimento di
applicazione della misura personale risalente al 2001.
8.2. Quanto al motivo di cui al punto 2.2., attinente al preteso difetto assoluto
dei presupposti di operatività della disposta misura ablativa, difettando (al di
fuori del richiamato provvedimento del 2001) il riscontro di successive
verifiche di potenziale pericolosità sociale (con il connesso difetto della
correlazione temporale tra l’acquisizione dei beni e la pericolosità sociale del
proposto), devesi rilevare che l’argomento è inammissibile per i citati limiti
del sindacato di legittimità in materia e comunque manifestamente infondato;
infatti, ferma restando la correttezza dell’opzione ermeneutica in base alla
quale, nelle misure di prevenzione patrimoniale la pericolosità deve
sussistere nel momento della acquisizione dei beni (e non necessariamente al
momento della applicazione della misura), alle pagg. 22-41 del
provvedimento di primo grado, richiamate da quello di appello (cfr pag. 20),
vengono puntualmente riportati gli argomenti in fatto sui quali si fonda il
giudizio di pericolosità sociale, generica e qualificata, sino al 2009, con
motivazione effettiva, dunque non sindacabile nella presente sede.
8.3. Quanto al contenuto delle note di udienza depositate dall’avv. Chiarello,
unitamente all’avv. Enzo Musco, in relazione alla pretesa violazione del
principio del ne bis in idem, già si è detto che la misura qui opposta prende in
considerazione vicende processuali successive a quelle considerate nella
misura del 2001, abbracciando condotte che si proiettano sino al 2009;
quanto al tema della pericolosità sociale del proposto (anche in relazione alla
recente sentenza della Corte EDU del 23.2.2017, relativa a ipotesi di
pericolosità generica, peraltro fondata su condotte trasgressive mininnali,
differenti da quelle in esame, dove la pericolosità qualità si fonda su plurime
condanne per gravi reati), parimenti si è già evidenziato come il

12

nitidamente dal provvedimento impugnato, il periodo nel quale i giudici del

provvedimento impugnato la individua per un lunghissimo arco temporale
(dal 1977 al 2009), con motivazione effettiva e qui non sindacabile, così
dimostrando il perdurare di una pericolosità attuale durante tutto il periodo di
acquisizione dei beni; quanto al tema della sproporzione tra beni posseduti e
redditi, il provvedimento impugnato, alle pagg. 20 e 21, anche tramite il
richiamo delle pagg. 66 e segg. di quello del primo grado e della perizia del dr.
Civita, evidenzia come tale requisito sia stato chiaramente riscontrato
rispetto ai redditi dichiarati, posta l’irrilevanza dei redditi evasi al fisco (Sez.

Rv. 266312 ; Sez. 6, n. 43446 del 15/06/2017, Rv. 271221 ); quanto al tema
della esistenza dell’interposizione fittizia dei sigg.ri Michele e Luigi Delvecchio,
Angela Maria Rizzi e delle società D3 Immobiliare e Edil Sa.Ba., già si è detto
del difetto di interesse al riguardo in capo al proposto, mentre per tale profilo,
laddove sollevato dai terzi, si dirà in seguito.
9. In relazione all’ulteriore ricorso proposto da DELVECCHIO Savino, RIZZI
Angela Maria, D3 IMMOBILIARE s.r.l. ed EDIL SA.BA . s.r.l. (queste ultime due
in persona del legale rappresentante), a mezzo dell’avv. Luciano Mascolo ,
deve in primo luogo essere esaminata la questione della pretesa
incompetenza funzionale del Tribunale di Trani, piuttosto che quello di Bari,
ad emettere la misura di prevenzione patrimoniale di causa, avendo
quest’ultimo ufficio adottato, con il provvedimento del 2001 sopra richiamato,
nei confronti di Delvecchio Savino, una misura di prevenzione personale, che
determinerebbe il perpetuarsi della sua competenza funzionale per effetto
dell’esplicita previsione di cui all’art. 24 comma 3 del D. Lgs. 159/2011.
L’argomento è infondato; invero, il citato comma 3 riproduce il previgente
articolo 2 ter, comma 6, della legge 575/1975, che prevedeva la competenza
a disporre una misura patrimoniale, disgiunta da quella personale, in capo al
medesimo tribunale che aveva disposto quest’ultima. Ma tutto ciò, nel
previgente sistema, in base alla chiarezza della dizione normativa previgente,
era limitato al periodo di applicazione di quest’ultima, aspetto che ne
costituiva la ratio (possibilità di valorizzare, nel provvedimento patrimoniale,
il medesimo accertamento di pericolosità già effettuato in sede di misura
personale ancora in attuazione).
Non è questa, invece, la situazione di causa, nella quale la misura personale
disposta dal Tribunale di Bari nel 2001 ha avuto la durata di due anni (e
dunque, all’atto della richiesta della misura in questione, nel 2013, era
oramai cessata da un decennio) e l’accertamento di pericolosità effettuato nel

13

U, n. 33451 del 29/05/2014, Rv. 260244; Sez. 6, n. 4908 del 12/01/2016,

2015 dal Tribunale di Trani si fonda su presupposti ulteriori e su condotte
successive (sino al 2009).
Del tutto irragionevole, quindi, appare la lettura della norma in questione
(l’art. 24 comma 3 del D. Lgs. 159/2011) nel senso proposto dal ricorrente
che, ignorando la genesi della previsione, vorrebbe rinvenire nella stessa una
sorta di perpetuazione della competenza, del medesimo tribunale che ha
disposto la misura personale, in ogni caso di applicazione successiva e
disgiunta di una misura patrimoniale, senza limiti di tempo e di rilevanza del

Secondo l’opzione ermeneutica proposta dal ricorrente, la norma in parola
avrebbe la capacità di sovvertire la generale previsione dell’art. 5 del D.Lgs.
n. 159 del 2011, richiamato per le misure patrimoniali dall’art. 23 e
riproducente il testo dell’art. 4 della L. n. 1423 del 1956 e l’art. 2 della L. n.
575 del 1965 ( secondo il quale, nei confronti delle persone indicate
all’articolo 4, le misure di prevenzione personali e reali possono essere
proposte dai soggetti legittimati in relazione alla dimora dell’interessato,
intendendosi per tale, nella ormai consolidata interpretazione di questa Corte
in materia di prevenzione, il luogo in cui il proposto abbia tenuto
comportamenti sintomatici della sua pericolosità). E’ infatti evidente che
detta interpretazione avrebbe la capacità, del tutto irragionevole, di rompere
l’ordinario legame tra luogo ove si esplica la pericolosità e giudice del
territorio, in ogni caso in cui si sia avuta una precedente misura personale, e
ciò in ogni tempo e a fronte di qualunque mutamento del luogo di esplicazione
della pericolosità.
Assai più convincente, invece, risulta l’interpretazione secondo la quale,
anche nella attuale formulazione, la previsione in parola deve essere letta nel
senso reso palese dalla previgente formulazione (articolo 2 ter, comma 6,
della legge 575/1975).
9.1. Con il secondo motivo del ricorso in esame (cfr. punto 2.4.) si lamenta la
illegittimità della confisca per la sopravvenuta inefficacia del sequestro,
essendo la confisca intervenuta oltre il termine di 18 mesi previsto dalla legge;
illegittimo, perchè retroattivo e non notificato alle parti, sarebbe il
provvedimento di proroga semestrale di detto termine (che si dice concessa
dal Tribunale in data 15.3.2015, ma decorrente dal 15.12.2014,data della
relativa richiesta del PM).
Rileva il Collegio in primo luogo che l’assunto pare smentito in fatto dal
provvedimento del primo giudice, che a pag. 11 parla di una proroga

14

luogo di esplicazione della pericolosità.

semestrale dei termini di efficacia dei sequestri emesso all’udienza del
16.12.2014 e decorrente dal 26.3.2015, con atto notificato al proposto , ai
terzi, ai difensori e al PM. A fronte di ciò nonpare che il ricorrente abbia
adeguatamente confutato l’assunto con produzioni idonee.
Ma comunque l’argomento è manifestamente infondato in diritto. Infatti,
secondo la previsione normativa vigente al tempo di applicazione delle
misura (introdotto dall’art. 189 lett. a) della legge 24 dicembre 2012, n. 228,
entrata in vigore antecedentemente alla richiesta della misura di causa), la

che “il provvedimento di sequestro perde efficacia se il Tribunale non deposita
il decreto che pronuncia la confisca entro un anno e sei mesi dalla data di
immissione in possesso dei beni da parte dell’amministratore giudiziario…”;
da ciò appare evidente che, a partire dall’entrata in vigore della richiamata
novella, la sanzione di perdita di efficacia non coinvolge più la confisca (come
era invece previsto nella originaria formulazione della norma in questione) ,
ma riguarda solo il sequestro, vincolo oramai sostituito dal provvedimento
ablativo.
E comunque, come segnalato anche dalla Procura Generale presso questa
Corte, il motivo risulta in ogni caso del tutto generico, posto che non si indica
affatto, a fronte di una pluralità di beni sequestrati , la data di immissione in
possesso dell’amministratore giudiziario rispetto a ciascun bene.
9.2. Con il terzo motivo (cfr. punto 2.5.) si lamenta la violazione di legge in
relazione alla omessa tempestiva citazione dei terzi rispetto all’udienza di
convalida del sequestro in data 14.10.2013, essendo non configurabile la
ritenuta sanatoria della nullità ravvisata nella comparizione degli interessati
senza sollevare eccezioni. Anche tale argomento è del tutto infondato, come
segnalato dalla Corte territoriale a pag. 17 del provvedimento impugnato,
essendosi le parti difese nel merito senza sollevare alcuna obiezione sul punto.
Infatti, oltre al rilievo che la pretesa violazione riguarda una fase, quella del
sequestro, oramai superata dal provvedimento ablativo, secondo la condivisa
giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, n. 40880 del 17/10/2002, Rv. 223021),
il procedimento di prevenzione ha istituzionalmente i suoi necessari referenti
nel pubblico ministero e nel proposto, sicché l’omessa citazione del terzo, al
quale sono intestati i beni ritenuti nella disponibilità del proposto, sia che si
tratti di una mancata partecipazione sin dall’inizio del procedimento o di una
mancata partecipazione solo, ad alcune fasi del medesimo, non ne comporta
la nullità e non invalida l’applicazione della misura di prevenzione

15

norma invocata dal ricorrente (art. 24 comma 2 D. Lgs. 159/2011) prevedeva

patrimoniale, ferma restando la facoltà dell’estraneo di esplicare le sue difese
mediante incidente di esecuzione (evenienza che nella specie non si è
verificata). Peraltro, va pure considerato, come rilevato dal P.G. e dalla Corte
territoriale, che la questione non è stata sollevata dinanzi al Tribunale e deve
comunque ritenersi sanata. Nello stesso senso si è pure affermato (Sez. 1, n.
28032 del 22/06/2007, Rv. 236930) che nel procedimento di prevenzione per
l’applicazione di misure reali, l’omessa citazione del terzo non determina la
nullità del procedimento, ma una semplice irregolarità che non inficia il

la facoltà

dell’extraneus” di esplicare successivamente le sue difese,

provocando un incidente di esecuzione (Fattispecie in tema di sequestro di
beni intestati a terzi, prossimi congiunti di persona assoggettata alla misura
di prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza con
obbligo di soggiorno nel comune di residenza).
Ancora più netta sul punto risulta la decisione di questa Corte , richiamata dal
PG nella memoria di replica del 5.4.2017, condivisa dal Collegio, secondo cui
mentre l’omessa notifica dell’avviso di udienza al proposto e al suo
difensore determina una nullità di ordine generale, assoluta e insanabile ai
sensi dell’art. 178 c.p.p., lett. a) e art. 179 c.p.p., l’omessa “chiamata” del
terzo non comporta la nullità del procedimento, ma un’irregolarità che non
inficia il procedimento medesimo e, quindi, l’applicazione della misura di
prevenzione, fatta salva, come detto, la facoltà dell’extraneus di esplicare le
sue difese (postume) con incidente di esecuzione (fra molte, Sez. 1, 18 marzo
2008, n. 16709, Rv. 204908). Ai terzi è consentito, nel procedimento di
prevenzione, di svolgere le loro deduzioni con l’assistenza di un difensore,
nonché chiedere l’acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione
sulla confisca (D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 23, comma 4). Vale inoltre la pena
sottolineare che la presenza del difensore del terzo non è necessaria, ma
eventuale, come si desume dal tenore letterale della locuzione verbale
“possono”, usata dall’art. citato, comma 3 con riferimento all’assistenza del
difensore (cfr. Sez. 1, sentenza n. 13035 del 2015).
9.3. Con il quarto motivo (punto 2.6.) del ricorso in esame si lamenta
violazione di legge in relazione alla nullità del giudizio dinanzi al Tribunale per
mutamento del collegio che ha deciso la causa, differente da quello che ha
disposto l’istruttoria. Al riguardo, considerata la natura processuale del
motivo, il Collegio ha proceduto alla verifica degli atti, rilevando che i
mutamenti della composizione del Tribunale sono intervenuti in sole tre

16

procedimento medesimo, e quindi l’applicazione della misura, ferma restando

udienze precedenti alla discussione, mentre tutte le prove sono state poste a
disposizione del collegio che ha poi raccolto la discussione e deciso la
controversia. Il motivo è dunque infondato. Infatti, la condivisa
giurisprudenza di legittimità in materia afferma (Sez. 1, n. 42114 del
22/04/2013, Rv. 256884) che nel procedimento camerale di prevenzione il
principio della immutabilità del giudice non è violato nel caso in cui la confisca
dei beni sia disposta da un collegio diverso da quello che aveva provveduto al
sequestro, dando così avvio al procedimento, giacché l’immutabilità del

della discussione della causa.
Nello stesso senso Sez. 6, n. 5912 del 08/01/2009, Rv. 243060, secondo cui
nelle procedure camerali di prevenzione non si verifica immutazione del
giudice agli effetti dell’art. 525 cod. proc. pen. quando la trattazione e
discussione si svolga dinnanzi al medesimo collegio, anche se vengano
utilizzati per la decisione atti in precedenza ricevuti o ammessi davanti un
collegio in diversa composizione, ma noti alle parti (Conforme, Rv232891).
9.4. Con il motivo di cui al punto 2.7. si lamenta di nuovo la violazione di
legge in relazione al principio del divieto di ne bis in idem, degli artt. 649, 669
e 739 cod.proc.pen., rispetto alla decisione sulla misura di prevenzione
personale del 2001 che non ha disposto quella patrimoniale, difettando
comunque novità o nuovi elementi nella titolarità dei patrimoni.
Come già esposto in precedenza (si vedano le considerazioni riportate al
punto 8.2.), l’argomento è infondato.
9.5. Con il motivo di cui al punto 2.8. si reitera la questione della violazione di
legge relativa alla pericolosità del proposto, difettando correlazione
temporale tra questa e gli acquisti e trattandosi di elemento non attuale al
momento della adozione del provvedimento, anche alla luce della assoluzione
del proposto dall’accusa di partecipazione all’associazione nota come clan
Cannito che sorreggeva la configurabilità della pericolosità qualificata.
Il motivo è infondato. Come affermato da Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, Rv.
262604, la possibilità di applicazione disgiunta della confisca dalla misura di
prevenzione personale, così come emerge dalle riforme normative operate
dalla legge 24 luglio 2008 n. 125 e dalla legge 15 luglio 2009 n. 94, non ha
introdotto nel nostro ordinamento una “actio in rem”, restando presupposto
ineludibile di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale la
pericolosità del soggetto inciso, in particolare la circostanza che questi fosse
tale al momento dell’acquisto del bene. Nello stesso senso, Sez. 2, n. 24276

17

giudice deve essere assicurata esclusivamente nelle fasi della trattazione e

del 29/04/2014, Rv. 260296 , secondo cui, ai fini dell’applicazione di misura
di prevenzione patrimoniale, è sempre necessario un concreto accertamento
incidentale intorno ai contenuti ed alla datazione della pericolosità personale
del proposto, poiché l’istituto della confisca di prevenzione, pur se utilizzabile
anche in assenza di pericolosità attuale del destinatario del provvedimento al
momento in cui ne è presentata la richiesta, si caratterizza in ogni caso per la
funzione di fronteggiare la pericolosità del prevenuto esistente al momento
dell’acquisizione dei beni oggetto di ablazione e che, come tale, determina la

Ciò posto in punto di diritto, deve rilevarsi che la Corte territoriale, come
osservato anche dal PG presso la Cassazione, alle pagg. 19 e seg.del
provvedimento impugnato, anche tramite il rinvio alle ben più analitiche
considerazioni del Tribunale, ha correttamente evidenziato le manifestazioni
di pericolosità, qualificata e generica, ravvisate in capo al proposto negli anni
compresi tra il 1977 e il 2009 per effetto delle plurime vicende penali sopra
riportate. E, quanto alla questione della ritenuta vicinanza con il clan Cannito
e della integrazione dell’aggravante di cui all’art. 7 del DL 152/1991 nella
forma del favoreggiamento mafioso, il Tribunale, con valutazione condivisa
dalla Corte di appello, ha motivatamente giustificato il giudizio di contiguità
del proposto con il sodalizio mafioso, nella qualità di imprenditore di
riferimento, valorizzando le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e le
risultanze delle indagini (cfr. pag. 40 del provvedimento di primo grado). E ciò
sulla base di una ermeneusi del concetto di “appartenenza” recentemente
suffragato dall’autorevole insegnamento delle SS.UU. di questa Corte che,
con sentenza n. 111 del 30/11/2017, Rv. 271512, hanno confermato che
il concetto di “appartenenza” ad una associazione mafiosa, rilevante per
l’applicazione delle misure di prevenzione, comprende la condotta che,
sebbene non riconducibile alla “partecipazione”, si sostanzia in un’azione,
anche isolata, funzionale agli scopi associativi, con esclusione delle situazioni
di mera contiguità o di vicinanza al gruppo criminale. Nella fattispecie, come
già detto, i giudici del merito tramite la disamina degli apporti investigativi ,
delle rivelazioni dei collaboratori e l’analisi dei reati commessi, hanno
motivatamente affermato la funzionalità del ruolo del Delvecchio rispetto al
citato sodalizio mafioso(cfr. anche pag. 151 del provvedimento di primo
grado, che richiama quanto accertato con sentenza irrevocabile a proposito
del legame tra il clan e una società riconducibile al proposto) .
E quindi, considerato anche che, secondo consolidata giurisprudenza (si veda,

18

(2

pericolosità di questi ultimi.

tra le varie, Sez. 1, n. 20160 del 29/04/2011, Rv. 250278) nel giudizio di
prevenzione, data l’autonomia dal processo penale, la prova indiretta o
indiziaria non deve essere dotata dei caratteri prescritti dall’art. 192 cod. proc.
pen. (e le chiamate in correità o in reità non devono essere necessariamente
qualificate dai riscontri individualizzanti), ai fini dell’accertamento della
pericolosità legittima appare la valutazione operata, con motivazione
effettiva e non manifestamente illogica, dunque insindacabile nella presente
sede.

in relazione alla ritenuta interposizione fittizia nella titolarità delle varie
società, la mancanza della chiamata delle società, nei 30 giorni successivi al
sequestro, a partecipare al giudizio di convalida, l’assenza di presunzioni di
sproporzione dei valori posseduti dal terzo; né ricorrerebbe nella fattispecie
dimostrazione adeguata del potere dispositivo o comunque di ingerenze da
parte del proposto.
In tema, fermo restando il già evidenziato difetto di interesse del proposto in
relazione ai cennati profili (cfr. Sez. 6, n. 15899 del 08/01/2014, Rv. 261531),
in quanto dall’eventuale accoglimento della doglianza non potrebbe mai
derivare la restituzione del bene al ricorrente, per quanto riguarda la
posizione dei terzi interessati deve ritenersi che il motivo relativo al mancato
avviso dell’intervenuto sequestro è manifestamente infondato. Invero, si è
già affermato (Sez. 1, n. 28032 del 22/06/2007, Rv. 236930) che nel
procedimento di prevenzione per l’applicazione di misure reali, l’omessa
citazione del terzo non determina la nullità del procedimento, ma una
semplice irregolarità che non inficia il procedimento medesimo, e quindi
l’applicazione della misura, ferma restando la facoltà

dell'”extraneus” di

esplicare successivamente le sue difese, provocando un incidente di
esecuzione. E, quanto ai temi della esistenza della interposizione fittizia
nonché della diretta disponibilità dei beni in capo al proposto, il
provvedimento impugnato (cfr. pag. 20), anche tramite il rinvio a quello di
primo grado, evidenzia come nella fattispecie si sia fatta applicazione della
presunzione di cui al comma 3 dell’art. 19 del D. Lgs. 159/2011 e che la
considerazione della diretta riconducibilità dei beni al proposto è stata
confermata dagli accertamenti peritali svolti dal dr. Civita; risultanze per nulla
scalfite dalle difese, come esposto alle pagg. 41-46 del provvedimento del
Tribunale. Anche in tal caso, verificata la conformità a diritto della decisione e
l’esistenza di un effettivo apparato motivazionale, non residuano spazi di

19

9.6 . Con il motivo di cui al punto 2.9. si lamentano plurime violazioni di legge

censura in sede di legittimità.
10. Con autonomo ricorso RIZZI Angela Maria nonchè DELVECCHIO Michele e
DELVECCHIO Luigi, in proprio e per le società D3 IMMOBILIARE s.r.l. ed Edil
SA.BA . srl , a mezzo dell’avv. Giancarlo Chiarello, lamentano in primo luogo
(cfr. punto 2.10.) la violazione di legge in relazione ai presupposti di
operatività della misura ablativa nei confronti degli stessi, essendo provvisti
di redditi e disponibilità finanziarie autonome e compatibili con gli
investimenti operati con la costituzione delle due società, in assenza di altri

sostenibile che l’eventuale apporto iniziale di capitali forniti dal proposto
abbia avuto la capacità di inquinare l’intera attività aziendale, che ha invece
prosperato sulla base delle risorse finanziarie e lavorative offerte dai
ricorrenti .
L’argomento è manifestamente infondato per quanto esposto al punto che
precede (9.6.). Già sono stati richiamati l’operare della presunzione di legge
relativa ai beni intestati agli stretti congiunti del proposto, gli accertamenti
peritali del dr. Civita, l’assenza di redditi autonomi di moglie e figli del
proposto idonei a giustificare l’acquisto dei beni e delle quote societarie loro
intestati (cfr. pag. 21 del provvedimento impugnato). Dunque, non solo non
risulta vinta la presunzione legale di cui si è detto, ma anzi è stata ravvisata
prova positiva della interposizione fittizia, come esposto al punto 8.3. laddove
è stata anche evidenziata l’irrilevanza, ai fini delle rivendicazioni dei terzi, dei
presunti redditi evasi al fisco (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Rv. 260244;
Sez. 6, n. 4908 del 12/01/2016, Rv. 266312 ; Sez. 6, n. 43446 del
15/06/2017, Rv. 271221 ).
11.

Con ulteriore ricorso, DELVECCHIO Luigi, DELVECCHIO Michele e

DELVECCHIO Valentino, nonché la NUOVA RECUPERO s.r.I., a mezzo dell’avv.
Tommaso Divincenzo, lamentano in principalità la violazione di legge e la
nullità del decreto di convalida del sequestro per violazione dei termini a
difesa rispetto alla relativa udienza, in quanto l’avviso di fissazione della
stessa è stato notificato solo pochi minuti prima dell’incombente. Come già
accennato, l’argomento è manifestamente infondato. Invero, questa Corte ha
già affermato (Sez. 2, n. 40880 del 17/10/2002, Rv. 223021), con
riferimento alla ben più grave ipotesi della omessa citazione del terzo
interessato, che il procedimento di prevenzione ha istituzionalmente i suoi
necessari referenti nel pubblico ministero e nel proposto, sicché l’omessa
citazione del terzo, al quale sono intestati i beni ritenuti nella disponibilità del

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elementi idonei a dimostrare la dominante presenza del proposto. Né sarebbe

proposto, sia che si tratti di una mancata partecipazione sin dall’inizio del
procedimento o di una mancata partecipazione solo, ad alcune fasi del
medesimo, non ne comporta la nullità e non invalida l’applicazione della
misura di prevenzione patrimoniale, ferma restando la facoltà dell’estraneo di
esplicare le sue difese mediante incidente di esecuzione.
Per giunta, la questione deve ritenersi sanata, come già evidenziato al punto
9.2. (Sez. 1, sentenza n. 13035 del 2015); in ogni caso, la questione è
relativa alla fase del sequestro, e dunque è oramai superata dall’intervenuta

17).
11.1. Con il motivo evidenziato al punto 2.12. si lamenta l’ omessa pronuncia
rispetto all’eccezione di mancata nomina di difensore (di ufficio o di fiducia)
per Delvecchio Valentino. L’argomento è manifestamente infondato. Come
noto, l’art. 23, comma quarto D.Lgs. n. 159 del 2011, non prevede la
necessità di nominare al terzo un difensore di ufficio in sostituzione del
difensore di fiducia assente. La presenza del difensore del terzo non è infatti
necessaria, ma eventuale, come si desume dal tenore letterale della
locuzione verbale “possono”, usata dall’art. citato, comma 3 con riferimento
all’assistenza del difensore (cfr. Sez. 1, sentenza n. 13035/2015, con la quale
questa Corte ha anche giudicato come manifestatamente infondata la
questione di legittimità costituzionale di detta norma in relazione all’art. 24
Cost., essendo previsti in tale disposizione strumenti adeguati alla
partecipazione ed alla difesa della posizione di detti soggetti (cfr. Rv.
263414).
Tanto premesso, va richiamato il consolidato insegnamento (cfr. Sez. 3, n.
21029 del 03/02/2015, Rv. 263980) secondo cui, in tema di impugnazioni, il
mancato esame, da parte del giudice di secondo grado, di un motivo di
appello, non comporta l’annullamento della sentenza quando la censura, se
esaminata, non sarebbe stata in astratto suscettibile di accoglimento, in
quanto l’omessa motivazione sul punto non arreca alcun pregiudizio alla
parte e, se trattasi di questione di diritto, all’omissione può porre rimedio, ai
sensi dell’art. 619 cod. proc. pen., la Corte di cassazione quale giudice di
legittimità.
11.2. Con il motivo di cui al punto 2.13. si reitera la censura in tema di
violazione del principio di immutabilità del giudice nel giudizio dinanzi al
Tribunale; al riguardo, già si è richiamato il consolidato insegnamento (Sez. 1,
n. 43882 del 21/10/2005, Rv. 232891) secondo il quale nel procedimento

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confisca, come ben evidenziato anche dal provvedimento impugnato (cfr. pag.

camerale di prevenzione deve essere assicurata la immutabilità del giudice
nelle fasi della trattazione e della discussione della causa, mentre, ai fini della
decisione, possono essere utilizzati atti precedentemente ammessi o acquisiti
innanzi al giudice in diversa composizione. Esattamente ciò che risulta
avvenuto nella fattispecie. E, quanto ai limiti di operatività della previsione di
cui all’art. 525 cod.proc.pen. nel giudizio camerale, si veda quanto detto al
punto 9.3.; in particolare, Sez. 6, n. 5912 del 08/01/2009, Rv. 243060,
secondo cui , nelle procedure camerali di prevenzione non si verifica

trattazione e discussione si svolga dinnanzi al medesimo collegio, anche se
vengano utilizzati per la decisione atti in precedenza ricevuti o ammessi
davanti un collegio in diversa composizione, ma noti alle parti.
11.3. Con il motivo di cui al punto 2.14., relativo a pretesa violazione del
principio del contraddittorio nel giudizio dinanzi al Tribunale, avendo il
Presidente di quel collegio disposto una integrazione della perizia effettuato
in quel grado ed acquisita le relativa risposta del ctu al di fuori del
contraddittorio. Come correttamente osservato dal PG presso la Corte di
cassazione, deve in primo luogo considerarsi che nella fattispecie tutte le
prove e le integrazioni raccolte sono state poste tempestivamente a
disposizione delle parti anteriormente alla discussione (è lo stesso ricorrente
che a pag. 10 del ricorso afferma che l’integrazione peritale è stata depositata
agli atti all’udienza del 15.12.2014; la discussione si è conclusa all’udienza
camerale del 19.1.2015, cfr. pag. 11 del provvedimento di primo grado).
Dunque nessuna violazione del contraddittorio può configuararsi . E, in
tematica analoga, questa Corte ha già affermato (Sez. 5, n. 14049 del
04/02/2016, Rv. 266674) che non è applicabile al procedimento di
prevenzione il principio di immediatezza della deliberazione sancito dall’art.
525 cod. proc. pen., in quanto il Collegio non solo può riservarsi la decisione
e deliberare in un momento successivo, previa informale convocazione dei
suoi componenti, ma può, anche successivamente alla riserva della decisione,
acquisire, su richiesta del pubblico ministero, elementi di giudizio
sopravvenuti, con la sola prescrizione, in tal caso, del rispetto del
contraddittorio, che è valore di garanzia ineludibile anche nel procedimento di
prevenzione. Contraddittorio che nel caso in esame, come detto, risulta
essere stato garantito.
11.4. Con il motivo di cui al punto 2.15. si lamenta violazione dei termini di
legge per la emanazione della confisca, non essendo mai stato notificato alle

22

immutazione del giudice agli effetti dell’art. 525 cod. proc. pen. quando la

parti il provvedimento di proroga appositamente concesso dal Tribunale. Al
riguardo pare sufficiente richiamare quanto già esposto al punto 9.1.;
peraltro, dal testo del ricorso (cfr. pag. 12) si evince che il decreto di proroga
dei termini (del 16.12.2014) è stato depositato agli atti anteriormente alla
discussione (iniziata il 12.1.2015) e dunque che lo stesso sia stato comunque
conoscibile per le parti.
11.5. Con il motivo di cui al punto 2.16. si lamenta il vizio di motivazione in
ordine alla richiesta di rinnovazione degli accertamenti peritali e di audizione

alle disponibilità dei soggetti interessati;trattasi di motivo non consentito in
quanto, come riconosciuto dallo stesso ricorrente, il giudice del merito ha
provveduto a motivare la decisione, con argomenti effettivi, dunque non
sindacabili in sede di legittimità; né è ravvisabile la violazione di legge di cui
all’art. 606 comma 1 lett. d) cod.proc.pen., posto che, anche a tale proposito
deve rilevarsi che il giudice di appello (cfr. pag. 21) ha motivatamente
disatteso le richieste di integrazione istruttoria avanzate dai terzi in parola,
con il richiamo all’operatività della presunzione di legge ex art. 19 comma 3 D
Lgs. 159/2011 e alla genericità delle deduzioni istruttorie. A fronte di
motivazione effettiva e non apparente, non residuano spazi di sindacato di
legittimità al riguardo.
11.6. Con il motivo di cui al punto 2.17. si reiterano gli argomenti già trattati
in tema di pericolosità del proposto, asseritamente solo generica. Al riguardo
debbono richiamarsi le considerazioni già esposte ai punti 8.2 e 8.3..
11.7. Con il motivo di cui al punto 2.18. si reiterano gli argomenti in tema di
violazione del principio del ne bis in idem, per i quali può farsi rinvio ai punti
8 e 8.1.
11.8. Con memoria difensiva i ricorrenti in parola inseriscono la questione
della estraneità temporale della Nuova Recupero s.r.I., sorta nel 2012,
rispetto all’arco temporale 1977-2009 nel quale viene collocata la pericolosità
sociale del proposto. Anche a prescindere dalla questione relativa alla novità
o meno del motivo nei termini in cui è proposto, deve ancora ribadirsi quanto
affermato a proposito dei limiti del sindacato di legittimità in materia. Infatti,
i giudici del merito hanno accertato che i capitali utilizzati nella acquisizione e
negli investimenti relativi alla Nuova Recupero s.r.l. sono riconducibili al
proposto e, su tale base hanno legittimamente affermato che essi
costituiscono il reimpiego di patrimonio di cui non è dimostrata la legittima
provenienza in ambito nel quale opera la più volte richiamata presunzione di

23

dei testi dei testi in relazione ai beni costituenti entità sproporzionata rispetto

cui all’art. 24 citato.
12. In relazione agli argomenti di cui al punto 4.1., contenuti nella memoria
depositata in data 27.2.2018 (nell’interesse di DELVECCHIO Luigi,
DELVECCHIO Michele e DELVECCHIO Valentino, nonché la NUOVA RECUPERO
s.r.I., a mezzo dell’avv. Tommaso Divincenzo) , si debbono richiamare le
considerazioni sopra esposte a proposito del tipo di pericolosità sociale
ravvisata in capo al proposto, anche qualificata, e alla rilevata relazione
temporale tra fase acquisitiva dei beni e manifestazioni della pericolosità.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

rigetta il ricorso, le parti private che lo hanno proposto devono essere
condannate al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali
Così deliberato in camera di consiglio, il 15.3.2018.

Il Consigliere estensore

t
estipino

13.

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