Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20455 del 16/01/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 20455 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: MAGI RAFFAELLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ZAMBLERA MAURIZIO N. IL 31/07/1951
avverso l’ordinanza n. 61/2014 TRIBUNALE di TRENTO, del
21/03/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. O.
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Data Udienza: 16/01/2015

IN FATTO E IN DIRITTO

1. Con ordinanza emessa in data 21 marzo 2014 il Tribunale di Trento rigettava
l’opposizione ex art. 667 co.4 cod.proc.pen. (così convertito l’originario ricorso
per cassazione) proposta nell’interesse di Zamblera Maurizio avverso
l’applicazione in sede esecutiva della pena accessoria di cui all’art. 216 co.4 RD
n. 267 del 1942, precisandone la durata in anni dieci.

del difensore – Zamblera Maurizio.
Nel ricorso si deduce, al primo motivo, erronea applicazione della disciplina
regolatrice.
Ad avviso del ricorrente una interpretazione dell’art. 37 cod.pen. e dell’art. 216
co.4 RD n.267 del 1942 costituzionalmente orientata porta a ritenere doverosa la
disapplicazione della norma speciale nella parte in cui prevede l’applicazione
della pena accessoria della inabilitazione per anni dieci all’esercizio di una
impresa commerciale e della incapacità all’esercizio di uffici direttivi presso
qualsiasi impresa per pari durata. Si cita, in proposito, quanto deciso da Sez. V
n. 23720 del 2010.
Al secondo motivo si deduce vizio della procedura incidentale e difetto di
motivazione.
Si ricorda che la pena applicata al ricorrente – a seguito di «patteggiamento
allargato» era di anni quattro e mesi sei di reclusione – e si rappresenta che non
poteva essere utilizzata, per rimediare alla mancata inclusione in dispositivo
della pena accessoria, la procedura della correzione di errore materiale. In ogni
caso in sede di valutazione della ricorrenza dei presupposti di legge non è stata
valutata in maniera adeguata la pericolosità dello Zamblera.
Al terzo motivo si dedeuce ulteriore vizio procedurale.
L’opposizione è stata trattata e decisa dal medesimo giudice che aveva emesso il
provvedimento impugnato con ricorso per cassazione, in violazione delle norme
che tutelano l’imparzialità.

3. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato, per le considerazioni che
seguono.
Quanto al primo motivo, va precisato che la questione relativa alla durata (nella
misura di anni dieci) prevista dalla legge della pena accessoria di cui all’art. 216
co.4 RD n. 267 del 16 marzo 1942 è stata oggetto di recente giudizio di

2

2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione – a mezzo

costituzionalità, conclusosi con la dichiarazione di inammissibilità (Corte Cost. n.
134 del 2012).
In particolare, la Corte Cost. ha affermato che detta questione esorbita – per
come proposta – dalle sue competenze funzionali essendovi più scelte praticabili,
il che implica l’esercizio di discrezionalità legislativa.
Resta fermo, pertanto, il dato normativo di cui al citato articolo 216 della legge
fallimentare che – per il suo contenuto – non consente alcuna discrezionalità da
parte del giudice penale, in sede di applicazione della pena accessoria, per la

Ciò consente di ritenere infondato anche il secondo motivo.
Lì dove la pena accessoria derivi direttamente dalla legge (come nel caso in
esame) è pacifica la sua applicabilità in sede esecutiva ai sensi di quanto previsto
dall’art. 183 disp.att. cod.proc.pen. (tra le altre, Sez. I n. 47519 del 5.11.2008,
rv 242060) e ciò anche nelle ipotesi di definizione del procedimento con sentenza
applicativa della pena, lì dove detta pena sia superiore ad anni due di reclusione.
La norma di attuazione esplicita la condizione di applicabilità successiva al
giudicato, nel senso che la pena accessoria deve essere «predeterminata nella
specie e nella durata» e tale è il caso della interdizione e inabilitazione di cui
all’art. 216 co.3 legge fallimentare, per quanto sinora detto.
Non può pertanto ritenersi decisivo, al fine di escludere il potere di integrazione,
il riferimento nominalistico alla tipologia di procedura adottata (la norma di
riferimento è quella contenuta nell’art. 676 cod.proc.pen.) dovendo prevalere la
qualificazione legale del provvedimento, da ritenersi consentito dal sistema
processuale. Peraltro nel caso in esame vi è stato ampio contraddittorio, proprio
in virtù della avvenuta qualificazione in opposizione del proposto ricorso per
cassazione.
Nessuna motivazione, peraltro, è necessaria in punto di pericolosità, trattandosi
– per l’appunto – di pena accessoria e non già di misura di sicurezza personale.
Del tutto infondato è, infine, il terzo motivo di ricorso posto che è la stessa
legge processuale a prevedere (ai sensi dell’art. 667 co.4 cod.proc.pen.) che
l’opposizione sia trattata e decisa dallo «stesso giudice», il che esclude ogni
violazione in rito.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

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durata di anni dieci.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16 gennaio 2015

Il Presidente

Il Consigliere estensore

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