Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20451 del 27/03/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20451 Anno 2018
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
ABBATIELLO PAOLO nato il 08/05/1966 a Napoli, rappresentato e assistito
dall’avv. Giuseppe Biondi e dall’avv. Edoardo Cardillo, di fiducia
GRANATA DANIELE nato il 30/05/1987 a Napoli, rappresentato e assistito
dall’avv. Carlo Ercolino, di fiducia
avverso la sentenza n. 2205/2016 del 03/10/2016 della CORTE APPELLO di
NAPOLI, quinta sezione penale
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA PELLEGRINO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
FRANCESCO SALZANO che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito il difensore, avv. Gilda Martire, comparsa in sostituzione dell’avv. Giuseppe
Biondi, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso di ABBATIELLO Paolo.

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Data Udienza: 27/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 03/10/2016, la Corte di Appello di Napoli confermava
la sentenza di primo grado con la quale Abbatiello Paolo e Granata Daniele erano
stati condannati per il reato di estorsione aggravato ex art. 7 D.L. 152/1991.
Avverso la sentenza in parola, ricorre per cassazione il difensore di Granata,
eccependo l’omessa motivazione della sentenza impugnata in riferimento al
mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod.

2. Propongono ricorso contro la citata sentenza anche i difensori di
Abbatiello, lamentando come la Corte di appello non avesse operato la prevista
riduzione di un terzo della pena in ragione del giudizio abbreviato scelto
dall’imputato.
2.1. I difensori osservano inoltre l’illogicità della sentenza, palesata dal
raffronto tra la stessa ed altri atti di indagine: ad Abbatiello era stato attribuito il
ruolo di esponente del clan Vanella Grassi, quando la persona offesa Orefice Biagio
aveva riferito che Cortese Ciro gli aveva detto che “loro della Vanella-Grassi non
c’entravano nulla con la richiesta estorsiva che mi stava facendo Paoluccio” e di
essere consapevole che Paoluccio (cioè Abbatiello) era un esponente del clan
Licciardi; la Corte territoriale aveva quindi utilizzato in maniera apodittica la non
veritiera affiliazione di AblAtiello al clan Vannella Grassi al fine di ritenere
sussistente un legame criminale tra il ricorrente e i soggetti intranei al clan
Vannella Grassi, che erano intervenuti autonomamente nel perpetrare le ritenute
richieste estorsive ai danni delle persone offese.
2.2. I difensori eccepiscono, poi, che la Corte di appello aveva ritenuto
infondate le richieste di rinnovazione dibattimentale relative alla inattendibilità
delle persone offese sul presupposto che gli imputati avessero confermato, con le
loro dichiarazioni, lo svolgimento dei fatti, quando invece Abbatiello non aveva
inteso rendere alcuna dichiarazione all’autorità procedente; la richiesta di
integrazione probatoria relativa all’escussione delle persone offese Orefice Biagio
e Orefice Giuseppe, all’acquisizione dei certificati del casellario giudiziale e dei
carichi pendenti degli stessi, ed alla acquisizione del verbale di interrogatorio reso
dal collaboratore di giustizia Lo Russo Salvatore nonché alla documentazione
allegata alla querela sporta da Orefice Biagio (atti che avrebbero dovuto essere
presenti nel fascicolo, ma non rinvenuti) era stata respinta perché non utile ai fini
della decisione, quando proprio la scarsa attendibilità delle persone offese aveva
indotto il primo giudice ad assolvere i coimputati Iair Massimo e Napoli Giovanni.
2.3. I difensori lamentano che erroneamente il ricorrente era stato
considerato concorrente nelle richieste estorsive perpetrate successivamente al 15

pen.

aprile 2015 da coimputati con lui non collegati, né a lui criminalmente ricollegabili;
vi era una assoluta carenza di elementi investigativi che consentissero di conferire
credito all’assunto motivazionale che Abbatiello avesse partecipato alla fase
iniziale in cui si era articolata la vicenda estorsiva rispetto alla fase finale della
riscossione di quanto richiesto condotta da altre persone, dal momento che la
presunta richiesta estorsiva del ricorrente non era legata in alcun modo a quella
perpetrata da soggetti intervenuti dopo di lui ed in modo del tutto autonomo.
2.4. I difensori rilevano che la Corte di appello aveva del tutto omesso di

causalmente rilevante asseritamente fornito dall’imputato, giungendo a
configurare un ritenuto mediato interessamento sulle asserite richieste estorsive
cronologicamente successive al 15 aprile 2015, che non trovava riscontro in alcun
atto di indagine.
2.5. Ulteriore motivo di ricorso è la ritenuta sussistenza degli elementi di
fatto dai quali desumere la ricorrenza dell’aggravante di cui all’art. 7 I. n. 203/1991
e l’omessa risposta motivazionale sul punto di gravame difensivo relativo
all’insussistenza dell’aggravante; la richiesta di Abbatiello non era infatti stata
avvertita dalla persona offesa con quel timore reverenziale, quella condizione di
assoggettamento e di omertà che costituivano quel quid pluris che poteva
legittimare l’applicazione dell’aggravante di specie.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. E’ parzialmente fondato soltanto il ricorso di Abbatiello per le ragioni che
si andranno ad esporre.
2. Relativamente al ricorso di Granata, l’art. 62 cod. pen., n. 6 prevede come è noto – l’attenuante dell’avere “riparato, prima del giudizio, interamente il
danno, mediante il risarcimento di esso e, quando sia possibile, mediante le
restituzioni (…)”: la norma, secondo la corretta lettura che se ne deve dare,
stabilisce, quindi, che la riparazione del danno deve essere integrale e, quindi,
effettiva. Nella fattispecie, il giudice di primo grado non la ha ritenuta tale in
quanto il danno morale conseguente alla oppressione camorrista sulle attività
economiche è stato ritenuto difficilmente calcolabile e comunque superiore alla
somma offerta; a fronte di tale motivazione, richiamata dal giudice di appello, il
ricorrente non si confronta, ma si limita ad osservare che la somma offerta si
rapportava alla reale disponibilità economica dell’imputato, senza considerare che
l’art. 62 n. 6 cod. pen. richiede l’integralità della riparazione, per cui l’attenuante
è configurabile solo quando il colpevole abbia risarcito sia il danno patrimoniale

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considerare le doglianze difensive relative all’interruzione dell’apporto

(che può avvenire, in parte, anche con la semplice restituzione ove sia possibile)
sia il danno non patrimoniale.
Da qui la manifesta infondatezza del ricorso.
3. Passando ai motivi di ricorso di Abbatiello, si deve rilevare come appaia
fondato il primo motivo di ricorso: la Corte di appello, infatti, nel determinare la
pena, ha operato la riduzione di un terzo prevista per il rito abbreviato da anni
quattro di reclusione ed C 2.000,00 di multa ad anni tre di reclusione ed C 1.500,00
di multa, mentre il calcolo corretto avrebbe dovuto portare ad una pena finale di

errore si può provvedere ai sensi dell’art. 619 comma 2 cod. proc. pen.
Infondati sono invece gli altri motivi.
3.1. Del tutto irrilevante, infatti, è l’affiliazione di Abbatiello al clan Licciardi
anziché a quello Vanella-Grassi, posto che, contrariamente a quanto esposto in
ricorso, tale dato non viene in alcun modo utilizzato dalla Corte di appello per
ritenere sussistente un legame tra il ricorrente e i soggetti che formularono, dopo
il suo arresto, le richieste estorsive; la Corte territoriale ha ritenuto, infatti, il
ricorrente responsabile di estorsione in base al suo inserimento causalmente
significativo nel primo segmento dell’azione delittuosa, e cioè nel momento della
iniziale richiesta estorsiva operate il 15 aprile 2015.
3.2. Altrettanto irrilevante è l’errore della Corte sul fatto che la affermata
attendibilità delle persone offese sarebbe confermata dalle dichiarazioni degli
imputati, mentre in realtà il solo Granata aveva reso dichiarazioni, posto che la
valutazione della Corte sulla suddetta attendibilità è contenuta nelle prime righe
di pagina 8 della sentenza impugnata e si basa sulla ritenuta linearità, completezza
e verosimiglianza del narrato e sulla riscontrata assenza di intenti calunniatori.
3.3. Quanto alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, va
ricordato che l’istituto di cui all’art. 6d3 cod. proc. pen. costituisce un’eccezione
alla presunzione di completezza dell’istruzione dibattimentale di primo grado
dipendente dal principio di oralità del giudizio di appello, cosicché si ritiene che ad
esso possa farsi ricorso, su richiesta di parte o d’ufficio, solamente quando il
giudice lo ritenga indispensabile ai fini del decidere (v. Sez. 2, n. 41808 del
27/9/2013, Monguardo, Rv. 256968 ed altre precedenti in termini, nonché Sez. U,
n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820), sussistendo tale
evenienza unicamente quando i dati probatori già acquisiti siano incerti, nonché
quando l’incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare
le eventuali incertezze ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo ad inficiare ogni
altra risultanza (Sez. 6, n. 20095 del 26/2/2013, Ferrara, Rv. 256228).
Si è ulteriormente osservato che, per il carattere eccezionale dell’istituto, è
richiesta una motivazione specifica solo nel caso in cui il giudice disponga la

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anni due e mesi otto di reclusione ed C 1.334,00 di multa; alla correzione di tale

rinnovazione, poiché in tal caso lo stesso è tenuto a rendere conto del corretto uso
del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter
decidere allo stato degli atti, mentre in caso di rigetto è ammessa anche una
motivazione implicita, ricavabile dalla stessa struttura argomentativa posta a
sostegno della pronuncia di merito nella quale sia evidenziata la sussistenza di
elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla
responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il
dibattimento (Sez. 6, n. 11907 del 13/12/2013, dep. 2014, Coppola, Rv. 259893;

10/12/2009, Pacini, Rv. 246859; Sez. 4, n. 47095 del 02/12/2009, Sergio, Rv.
245996).
Per tali ragioni si è anche ritenuto che il giudice di legittimità possa sindacare
la correttezza della motivazione sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento
entro l’ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato e non anche
sulla concreta rilevanza dell’atto o della testimonianza da acquisire (Sez. 4, n.
47095/09 cit.; Sez. 4, n. 37624 del 19/9/2007, Giovannetti, Rv. 237689; Sez. U,
n. 2110 del 23/11/1995, dep. 1996, Fachini, Rv. 203764).
Nel caso in esame, la Corte di appello ha ritenuto irrilevante le richieste della
difesa essendo stato già accertato il rapporto tra le persone offese e Cortese Ciro
(intervenuto nella vicenda quale soggetto cui si sarebbero rivolte le persone
offese), con motivazione che, alla luce di quanto sopra precisato, si sottrae al
sindacato di legittimità.
3.4. Relativamente poi al fatto che la condotta criminosa di Abbatiello si sia
arrestata il 15 aprile 2015, il ricorrente non considera che, ai fini dell’integrazione
del concorso di persone nel reato di estorsione, è sufficiente la coscienza e volontà
di contribuire, con il proprio comportamento, al raggiungimento dello scopo
perseguito da colui che esercita la pretesa illecita; pertanto, perfettamente logica
è la motivazione della Corte di appello secondo la quale Abbatiello avrebbe iniziato,
con il suo comportamento, a porre in essere la richiesta estorsiva, portata poi a
compimento da altri soggetti, non essendovi stata alcuna interruzione, anche alla
luce del breve lasso temporale in cui si sono svolti i fatti, della condotta criminosa.
3.5. Quanto alla sussistenza dell’aggravante, la “ratio” sottostante al citato
art. 7, non è solo quella di punire più severamente coloro che commettono reati
con il fine di agevolare le associazioni mafiose, ma essenzialmente quella di
contrastare in maniera più decisa, attesa la loro maggiore pericolosità e la palesata
determinazione criminosa, l’atteggiamento di coloro che, partecipi o non di reati
associativi, utilizzino metodi mafiosi, cioè si comportino come mafiosi oppure
ostentino, in maniera evidente e provocatoria, una condotta idonea ad esercitare

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Sez. 3, n. 24294 del 07/04/2010, D., Rv. 247872; Sez. 5, n. 15320 del

sui soggetti passivi quella particolare coartazione e quella conseguente
intimidazione che sono proprie delle organizzazioni della specie considerata.
Ora, traslando detti principi nel caso in esame, appare di tutta evidenza che
le modalità delle azioni descritte, come evidenziato dal Tribunale e dalla Corte di
appello, portano a dover ravvisare la sussistenza dell’aggravante, posto che gli
specifici riferimenti al fatto che fosse il ricorrente a comandare in paese e che
quindi le persone offese dovevano pagare oppure dovevano andare via,
corrispondeva alla pretesa di controllo del territorio, tipica della organizzazione

utilizzato per la commissione del reato non possono essere desunti dalla mera
reazione della vittima (che potrà essere indotta a comportamenti estremamente
vari che andranno dalla mera assoluta arrendevolezza al tentativo di apprestare
strategie di difesa e, in taluni casi, alla vera e propria resistenza attiva) alla
condotta tenuta dall’indagato, ma vanno valutati, con giudizio ex ante,
esclusivamente con riferimento alla loro idoneità ad esercitare una particolare
coartazione psicologica sulle persone, con i caratteri propri dell’intimidazione
derivante dall’organizzazione criminale evocata (cfr., Sez. 6, n. 21342 del
02/04/2007, Mauro, Rv. 236628).
4. Deve essere pertanto rigettato il ricorso Abbatiello con riferimento alle
questioni diverse dalla quantificazione della pena, mentre – come detto – quello
di Granata deve essere dichiarato inammissibile.
5. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata
al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della
Cassa delle ammende della somma di C 2.000,00 così equitativamente fissata in
ragione dei motivi dedotti

P.Q.M.

Dispone la rettificazione della pena applicata nei confronti di Abbatiello Paolo che
determina in anni due e mesi otto di reclusione ed C 1.334,00 di multa; rigetta nel
resto il ricorso del predetto Abbatiello.
Dichiara inammissibile il ricorso di Granata Daniele e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di C 2.000,00 a favore della
Cassa delle ammende.
Così deciso il 27/03/2018

camorrista; relativamente alle eccezioni della difesa, i caratteri mafiosi del metodo

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