Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20450 del 27/03/2018

Penale Sent. Sez. 2 Num. 20450 Anno 2018
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: PARDO IGNAZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A.

avverso la sentenza del 06/06/2017 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere IGNAZIO PARDO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCO
SALZANO
che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 27/03/2018

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.1 La CORTE APPELLO di MILANO, con sentenza in data 06/06/2017, confermava la condanna alla
pena ritenuta di giustizia pronunciata dal TRIBUNALE di COMO in data 11/02/2016, nei confronti di
A.A. in relazione al reato di cui all’ art. 640 CP
1.2 Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
– violazione di legge in relazione alla individuazione degli artifizi e raggiri nella condotta
dell’imputato poiché mai la persona offesa era stata tratta in inganno;
– vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità dell’imputato.
2.1 Il ricorso è inammissibile perché manifestamente non fondato.

osservazioni svolte dalla corte di appello a pagina 6 della motivazione con le quali omette di
confrontarsi. Il giudice di appello, quanto alla contestata sussistenza degli artifizi e raggiri, ha
specificato l’assoluta anomalia della operazione di cessione dei titoli Petrobrs caratterizzata
dall’essere stata accompagnata da una perizia giurata sulla solvibilità dei titoli, evidentemente non
corrispondente al vero ed, in relazione all’inganno, ha altresì sottolineato come la vittima fosse
stata indotta così a versare la considerevole somma di euro 100.000.
2.2 II secondo motivo è manifestamente generico poiché si limita a deduzioni astratte a fronte della
motivazione del giudice di appello.
Va ricordato come il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per
cassazione, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, e cioè di condanna in primo e secondo grado,
sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di
gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i
giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in
forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro
della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio
probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Rv 256837).
Inoltre ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della
sentenza di appello di conferma si salda con quella di primo grado, per formare un unico
complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure
proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti
riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella
valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del

Quanto al primo motivo, lo stesso appare reiterativo e generico a fronte delle specifiche

16/07/2013, Rv. 257595). Nel caso in esame non si ravvisa né il presupposto della valutazione da
parte del giudice di appello di un differente materiale probatorio utilizzato per rispondere alle
doglianze proposte avverso la sentenza di primo grado né, tantomeno, il dedotto macroscopico
travisamento dei fatti denunciabile con il ricorso per cassazione. In particolare, il giudice di merito,
ha già risposto con adeguata motivazione a tutte le osservazioni della difesa dell’imputato che in
sostanza ripropongono motivi di fatto, osservando che il compendio probatorio a carico del
ricorrente è costituito da plurimi elementi attraverso i quali viene ricostruita l’operazione compiuta
caratterizzata dall’evidente contenuto truffaldino poiché costituita dalla cessioni di titoli scaduti a
fronte del pagamento di un rilevante prezzo.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento
della somma, che ritiene equa, di euro duemila a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.
Sentenza a motivazione semplificata.

Così deciso il 27/03/2018
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