Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20448 del 21/04/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 20448 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ESCOBAR GODOY LUIS ERNESTO N. IL 10/01/1977
avverso la sentenza n. 6/2014 CORTE ASSISE APPELLO di MILANO,
del 08/04/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/04/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI
Udito il Procuratore Q erakin i – rson. .el Dott. EAV)-pj.
.
che ha concluso per

Rit3422907

Data Udienza: 21/04/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell’8/4/2014, la Corte d’assise di appello di Milano, in
parziale riforma di quella della Corte di assise di Pavia di condanna di Escobar
Godoy Luis Ernesto per i reati di omicidio e di porto in luogo pubblico di un
coltello a serramanico, riduceva la pena ad anni nove e mesi quattro di
reclusione.
Escobar è imputato (unitamente a Peraza Carlos Eduardo, assolto in primo

dell’omicidio volontario di Segura Deras Oscar Armando, colpito ripetutamente
con la fibbia di una cintura al capo, poi con una bottiglia di vetro e infine con un
coltello avente lama della lunghezza di almeno 15 centimetri; il coltello aveva
procurato alla vittima una profonda ferita al fianco sinistro della lunghezza di 16
cm., con conseguente shock emorragico in ragione dei numerosi organi colpiti.
Escobar e la sua fidanzata, da poco giunti a Pavia da El Salvador, erano
ospitati a casa dell’amico Segura Deras Oscar Armando e della sua convivente
Duran Orellana Xenia Carolina. Quella sera, Segura aveva litigato con la
fidanzata e si era ubriacato; quando ella si era allontanata da casa, aveva
iniziato a prendersela con gli ospiti che erano rinchiusi nella camera da letto,
addirittura cercando di sfondare la porta. Era intervenuta un pattuglia del 113
che, peraltro, aveva trovato tutto in ordine. Tuttavia, l’aggressione era ripresa ed
Escobar e la fidanzata erano scesi in strada, dove li aveva trovati l’amico Peraza
Carlos Eduardo, che Escobar aveva chiamato per telefono.
A quel punto, Escobar aveva deciso di risalire in casa; l’amico gli aveva
consegnato un coltello a serramanico che aveva con sé (ma Escobar non lo
avrebbe usato). Quando Segura aveva aperto la porta, Escobar lo aveva colpito
alla testa con la cintura che aveva arrotolato intorno alla mano; nella
colluttazione che ne era seguita, l’imputato aveva colpito più volte il
connazionale con le bottiglie di birra che si trovavano in cucina e, infine, gli
aveva assestato il colpo mortale con un coltello trovato in loco.
Escobar, che poco dopo aveva fermato una volante della polizia e aveva
raccontato i fatti agli agenti, non aveva mai negato di essere l’autore
dell’accoltellamento.

La Corte territoriale escludeva la ricorrenza di una legittima difesa,
mancando l’attualità del pericolo e la necessità di una reazione offensiva: in
effetti, dopo che Escobar e la fidanzata erano riusciti a fuggire dall’abitazione,
l’uomo aveva deciso di rientrarvi, sapendo che Segura era armato di un coltello e
che aveva atteggiamenti aggressivi nei suoi confronti. La necessità di recuperare

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grado e, a seguito dell’appello del P.M., anche dalla Corte territoriale)

i vestiti per la fidanzata e i propri documenti non giustificava, ai fini della
scriminante, il rientro nell’abitazione, essendo evidente la sproporzione tra costi
e benefici.
La Corte respingeva, altresì, il motivo di appello con cui l’imputato chiedeva
la riqualificazione della condotta come omicidio preterintenzionale. La sentenza
sottolineava l’irrilevanza dei motivi che avevano indotto Escobar a rientrare nella
propria abitazione; rimarcava che, se l’azione non poteva dirsi premeditata,
sussisteva, comunque, il dolo omicidiario, ancorché d’impeto. Ciò si ricavava

dimensioni, penetrato per 16 centimetri, a dimostrazione di un colpo inferto con
una violenza tale da trapassare la parete toracica e penetrare in profondità, con
andamento obliquo, dall’alto verso il basso, nella cavità addominale, cagionando
la discontinuazione dell’intestino, dello stomaco e dei vasi addominali. La Corte
osservava che l’elevata capacità offensiva del coltello, l’inaudita forza inferta,
l’essere stato conficcato il coltello nel torace della vittima da distanza ravvicinata
e la zona corporea attinta non lasciavano spazio a dubbi per la configurabilità in
concreto, in capo all’imputato, sia della componente rappresentativa che di
quella volitiva del dolo omicidiario.

Nel respingere l’appello del P.M., la Corte escludeva che il rientro
nell’abitazione fosse attribuibile a volontà vendicativa dell’imputato e riteneva
non provato che Escobar avesse posto in essere nei confronti della vittima un
vero e proprio agguato. Confermava, infine, con ampia motivazione il
riconoscimento operato dal primo giudice dell’attenuante della provocazione e
delle attenuanti generiche nonché l’esclusione della circostanza aggravante della
minorata difesa.

2. Ricorre per cassazione Escobar Godoy Luis Ernesto, deducendo distinti
motivi.
In un primo motivo il ricorrente deduce erronea applicazione della legge
penale per la mancata qualificazione della condotta come omicidio
preterintenzionale.
La risalita di Escobar nell’appartamento era attribuibile alla necessità di
prendere i vestiti per la compagna e i propri documenti, mentre non vi era
volontà di vendicarsi o di uccidere Oscar Segura Deras che, per tutta la notte,
aveva vessato la Aviles e l’Escobar cercando di sfondare la porta della loro
stanza con un grosso coltello.
Non vi era stata, poi, un’aggressione da parte di Escobar nei confronti di
Segura, ma una colluttazione tra i due uomini che si trovavano entrambi in

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dalle caratteristiche della ferita procurata con il coltello: attrezzo di notevoli

posizione eretta. Escobar, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte
territoriale, non aveva posto in essere un agguato nei confronti di Segura Deras:
di presumibile agguato aveva parlato il coimputato Peraza che, peraltro, si
trovava in un punto in cui non poteva vedere i due uomini. Escobar non aveva
con sé il coltello (che portava invece il coimputato), ma solo una cintura stretta
intorno al polso per la propria eventuale difesa: non voleva vendicarsi, ma solo
abbandonare quella casa.
Effettivamente Escobar aveva inferto una coltellata a Segura Deras, ma

poi chiamato il 118 e la Polizia sul posto; l’imputato non si era mai prefigurato
l’evento morte.

In un secondo motivo, il ricorrente deduce vizio della motivazione.
La Corte territoriale, pur escludendo l’ipotesi dell’omicidio preterintenzionale,
aveva dato atto che le risultanze processuali deponevano per un’azione
delittuosa non premeditata, smentendo il P.M. appellante che aveva sostenuto la
tesi di un’azione punitiva nei confronti di Segura Deras. Inoltre, come
sottolineato in motivazione, la dislocazione degli schizzi di sangue non era
espressiva di accanimento dell’imputato sulla vittima, mentre l’atteggiamento di
Segura era stato aggressivo; ancora: la Corte aveva rimarcato che Escobar
aveva fatto di tutto perché la vicenda non degenerasse in tragedia, criticando la
scarsa professionalità degli operatori del 113.
La sentenza di appello era stata, quindi, migliorativa per l’imputato
appellante, con il riconoscimento delle attenuanti generiche e dell’attenuante
della provocazione: ma la Corte, pur ritenendo insussistente l’animus necandi
nell’imputato, non aveva accolto la richiesta di riqualificazione della condotta in
omicidio preterintenzionale.
Il ricorrente conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi e per
essere gli stessi attinenti al fatto.

Il ricorrente non ripropone in questa sede la tesi di una legittima difesa,
respinta dalla Corte territoriale, anche se continua a rimarcare la plausibilità dei
motivi per i quali egli, dopo essere sceso in strada con la fidanzata sfuggendo
alle provocazioni di Segura, aveva deciso di rientrare nell’appartamento.
In realtà – come del resto sottolinea la Corte territoriale – tali motivi sono

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senza alcuna volontà di ucciderlo: non a caso aveva inferto un solo colpo e aveva

irrilevanti ai fini della risoluzione dell’unica decisione censurata: quella
concernente la qualificazione della condotta come omicidio volontario o come
omicidio preterintenzionale.
Si tenga presente che la Corte territoriale ha dato per ammesso che l’azione
di Escobar non era premeditata, che la condotta omicidiaria era stata frutto di un
dolo d’impeto e che non vi era prova di un vero e proprio agguato dell’imputato
nei confronti della vittima; inoltre, ha riconosciuto con ampiezza l’attenuante
della provocazione, ritenendo che “l’effetto provocatorio del comportamento della

Tutto ciò premesso, il nucleo della questione si riduceva ad un quesito molto
semplice: al momento in cui Escobar aveva inferto la coltellata a Segura – unico
colpo mortale – aveva solo la volontà di ferire o piuttosto quella di uccidere il
connazionale?
In effetti – come emerge dalla lettura degli artt. 43 e 584 cod. pen. e come
ripetutamente insegnato da questa Corte – l’elemento soggettivo del delitto di
omicidio preterintenzionale non è costituito da dolo e responsabilità oggettiva né
dal dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la
disposizione di cui all’art. 43 cod. pen. assorbe la prevedibilità di evento più
grave nell’intenzione di risultato (Sez. 5, n. 791 del 18/10/2012 – dep.
08/01/2013, Palazzolo, Rv. 254386); di conseguenza, il criterio distintivo tra
l’omicidio preterintenzionale e l’omicidio volontario risiede nel fatto che, nel
primo caso, la volontà dell’agente esclude ogni previsione dell’evento morte,
mentre, nel secondo, la previsione dell’evento è necessaria e deve essere
accertata in concreto, non essendo sufficiente la semplice prevedibilità dello
stesso (Sez. 1, n. 4425 del 05/12/2013 – dep. 30/01/2014, Cutrufello e altri, Rv.
259014).

Numerose pronunce di questa Corte hanno anche indicato gli elementi sulla
base dei quali il giudice del merito può giungere ad identificare il dolo
dell’agente: osservando che quando la lesione produttiva dell’evento letale sia
recata per mezzo di un’arma, l’accertamento del fine perseguito dall’agente deve
essere attuato tenendo conto del tipo dell’arma, della reiterazione e direzione dei
colpi, della distanza di sparo, della parte vitale del corpo presa di mira e di quella
concretamente attinta (Sez. 5, n. 36135 del 26/05/2011 – dep. 05/10/2011, S. e
altri, Rv. 250935); e più in generale rimarcando che l’accertamento deve
fondarsi su elementi oggettivi desunti dalle concrete modalità della condotta
(Sez. 1, n. 30304 del 30/06/2009 – dep. 21/07/2009, Montagnoli, Rv. 244743;
Sez. 1, n. 35369 del 04/07/2007 – dep. 21/09/2007, Zheng, Rv. 237685).

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vittima ha avuto nella vicenda un ruolo scatenante”.

La Corte territoriale ha applicato in maniera logica e non contraddittoria
questi criteri, rimarcando che la prova certa del dolo omicidiario, ancorché
d’impeto, si ricavava dalle notevoli dimensioni del coltello usato, dalla violenza
“inaudita” con cui l’unico colpo era stato inferto, tale da trapassare la parete
toracica e penetrare in profondità nella cavità addominale, dall’essere stato il
coltello conficcato da distanza ravvicinata nel torace della vittima, zona corporea
sede di organi vitali: tutti elementi oggettivi, ritenuti logicamente di significato
univoco a dimostrare che l’imputato, nel momento in cui aveva sferrato il colpo,

probabile del suo gesto.

Rispetto a tali considerazioni, il ricorrente non contesta alcuna
contraddittorietà con atti del processo, ma si limita a ribadire di non avere avuto
la volontà di uccidere Segura Deras e di non essersi nemmeno prefigurato
l’evento morte: considerazioni meramente in fatto che non scalfiscono la logicità
della motivazione.
Nemmeno l’accento posto sul comportamento

post delictum

appare

rilevante: la Corte aveva infatti sottolineato che il dolo omicidiario era un dolo
d’impeto, cosicché la circostanza che, subito dopo il ferimento, l’imputato avesse
chiamato il 118 e la Polizia (peraltro allontanandosi dall’abitazione e non
cercando di tamponare la ferita sanguinante) non smentiva affatto la
ricostruzione operata.

2. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non
esulando profili di colpa nel ricorso (v. sentenza Corte Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alli Cassa delle
ammende.

Così deciso il 21 aprile

si era rappresentato la morte dell’avversario come conseguenza altamente

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