Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20446 del 21/04/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 20446 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: MAGI RAFFAELLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VACCARO VINCENZO N. IL 12/05/1976
avverso la sentenza n. 777/2012 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
04/12/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/04/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. E Scex_c( e cc Um”
che ha concluso per t s,e,
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 21/04/2015

IN FATTO E IN DIRITTO

1. Con sentenza emessa in data 4 dicembre 2013 la Corte di Appello di Trieste
ha confermato l’affermazione di penale responsabilità di Vaccaro Vincenzo,
derivante dalla decisione del GUP del Tribunale di Pordenone del 29 marzo 2012.
Con tali conformi decisioni di merito Vaccaro Vincenzo è stato ritenuto
responsabile di più reati, riuniti dal vincolo della continuazione e consistenti in
due violazioni dell’art. 9 co.2 legge n.1423 del 1956 per fatti avvenuti in data 11

oltraggio a pubblico ufficiale per fatto avvenuto il 16 giugno 2010, con condanna
alla pena di anni uno di reclusione.

2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione – a mezzo del
difensore – Vaccaro Vincenzo, articolando distinti motivi.
Il ricorrente non propone ricorso avverso la statuizione di condanna per il reato
di cui all’art. 9 co.2 legge n.1423 del 1956 commesso in data 11 giugno 2010,
posto che i motivi sono riferiti alla affermazione di responsabilità per i soli fatti
avvenuti il 16 giugno 2010.
Con il primo motivo – particolarmente ampio e dettagliato – si deduce vizio di
motivazione della sentenza impugnata in riferimento alla ritenuta applicabilità, in
tale seconda occasione temporale, dell’art. 9 legge n.1423 del 1956, posto che le
condotte delittuose commesse in tale data non potevano dar luogo ad ulteriore
incriminazione per la violazione della generica prescrizione di «rispettare le
leggi» di cui all’art. 5 legge n.1423 del ’56.
Ad avviso del ricorrente, il sistema penale – orientato al rispetto del principio di
tassatività e determinatezza delle fattispecie – non consente di realizzare una
«doppia incriminazione» in rapporto al medesimo fatto. Nel caso in esame vi
sarebbe pertanto un concorso solo apparente di norme, posto che la condotta del
Vaccaro è stata ritenuta punibile in rapporto ai delitti di resistenza ed oltraggio che ne esauriscono la offensività – e dunque non poteva dar luogo ad un ulteriore
reato (quello previsto dall’art.9 legge 1423 del ’56, attualmente previsto, con
continuità di incriminazione, dall’art. 75 D.Lgs. n.159 del 2011).
Si contesta, in altre parole, la stessa possibilità di ritenere che una specifica
violazione di legge penale possa dar luogo – nel caso di soggetto sottoposto alla
misura di prevenzione personale – ad un ulteriore reato, per violazione della
generica prescrizione di rispettare le leggi, gravante su tutti i consociati, dato
che in tal caso viene valorizzato in modo non conforme ai principi costituzionali e
sovranazionali una semplice qualità soggettiva dell’autore.

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giugno 2010 ed in data 16 giugno 2010, nonchè dei delitti di resistenza e

Peraltro, la stessa legge in tema di misure di prevenzione prevede che in taluni
casi la qualità soggettiva di persona sottoposta in via definitiva a misura di
prevenzione comporti, in caso di commissione di specifici reati, un aggravamento
di pena, il che porta a ritenere che solo in dette occasioni la realizzazione di un
illecito viene ritenuta indicativa di più elevata pericolosità.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione della sentenza
impugnata in riferimento alla ritenuta responsabilità per il delitto di resistenza a
pubblico ufficiale.
Maresciallo Botter (.. devi stare attento quando entri nel tuo garage .. omm’ e
merda.. ti faccio vedere chi sono io..)

non erano finalizzate ad impedire il

compimento dell’atto (un verbale per infrazioni al codice della strada elevato a
carico della moglie del Vaccaro) e pertanto non potevano dar luogo alla
condanna per il delitto di resistenza, al più dovendo essere inquadrate nella
fattispecie di minaccia aggravata.
Si contesta, pertanto, la motivazione espressa dalla Corte territoriale su tale
aspetto, proposto con i motivi di appello. L’atto del pubblico ufficiale era stato già
compiuto e l’espressione verbale, pur disdicevole, era una mera rimostranza per
quanto accaduto.
Con il terzo motivo si deduce vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta
sussistenza del reato di oltraggio.
Non è chiaro il luogo ove vennero poste in essere le espressioni irriguardose e
ciò determina incertezza sulla ricorrenza dì tutti i presupposti per la punibilità.
Con il quarto motivo si deduce ulteriore vizio di motivazione in riferimento al
diniego delle circostanze attenuanti generiche.
La motivazione non chiarisce in modo adeguato le ragioni del diniego e si pone in
contrasto con il principio di necessaria individualizzazione del trattamento
sanzionatorio.

3. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato, per le ragioni che seguono.
3.1 La pur ampia e incisiva esposizione difensiva contenuta nel primo motivo di
ricorso non tiene conto – in modo adeguato – delle ricadute di quanto deciso dalla
Corte Costituzionale con la nota sentenza numero 282 del 7 luglio 2010.
Con detta sentenza il giudice delle leggi, posto di fronte al tema della violazione
dei principi di tassatività e di uguaglianza proprio in riferimento alla formulazione
del previgente art. 9 co.2 legge n.1423 del ’56 nella parte in cui viene
incriminata – per il soggetto sottoposto a misura di prevenzione personale – la
inosservanza della prescrizione di «vivere onestamente e rispettare le leggi» (in
tale parte la norma è riportata nell’attuale testo dell’art. 8 co.4 D.Lgs. n.159 del
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Le espressioni verbali riportate nella imputazione e rivolte dal ricorrente al

2011) ha affermato che in una valutazione gobale delle finalità e dei presupposti
della norma incriminatrice, che descrive un «reato proprio», tali principi non
risultano violati, posto che il destinatario del precetto (solo apparentemente
generico) è esclusivamente il soggetto le cui pregresse manifestazioni di
pericolosità hanno imposto l’applicazione della misura di prevenzione.
In tal senso, la violazione della prescrizione del «rispetto della legge» altro non è
che l’emersione di un ulteriore sintomo di mancato riadattamento sociale che
viene considerato, data la precedente imposizione della misura, come autonomo

violata anche altra norma precettiva) relativa alla specifica condotta posta in
essere (tra le molte, Sez. I n. 40819 del 14.10.2010, rv 248466).
La condotta illecita, in tal caso, oltre a violare la norma incriminatrice di parte
speciale (posta a presidio di beni giuridici di volta in volta considerati meritevoli
di tutela) finisce con il violare – in concorso formale – la norma incriminatrice di
cui all’art. 9, posta a tutela della corretta osservanza di una specifica misura
prevista dalla legge allo scopo di inibire la reiterazione di comportamenti
pericolosi (alfine il bene protetto risulta essere quello tutelato, di volta in volta,
dalla misura di prevenzione personale in rapporto alle diverse categorie
criminologiche di cui all’attuale art. 4 D.Lgs. n.159 del 2011).
Non vi è dubbio che il profilo contestato dal ricorrente – violazione del principio
del ne bis in idem sostanziale – sia in parte diverso da quelli esaminati in detta
decisione e non vi è dubbio circa la rilevanza di detto principio anche in sede
sovranazionale (si veda, da ultima, la decisione emessa il 4 marzo 2014 dalla
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo II Sez. nel caso Grande Stevens contro Italia,
ove è stata ritenuta sussistente la violazione dell’art. 4 del protocollo aggiuntivo
n.7 alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali).
Tuttavia, va qui rilevato che la differenza delle «ragioni» poste a base della
incriminazione tra la condotta corrispondente alla violazione di una norma
incriminatrice (nel caso in esame gli articoli 337 e 341 bis cod.pen.) e la
violazione dello specifico dovere ricadente sul sorvegliato speciale (art. 9)
consentono di ravvisare una «diversità» del comportamento penalmente
rilevante (e dunque del fatto) nelle occasioni in rilievo.
Si tratta, in altre parole, di condotta plurilesiva – lì dove posta in essere dal
sorvegliato speciale – posto che da un lato si viola il precetto tutelato dalla
specifica norma incriminatrice e dall’altro si contravviene al dovere correlato alla
sottoposizione al regime di controllo tipico della misura di prevenzione.
In ciò, per il vero, il ricorrente segnala che in taluni casi la particolare «qualità
soggettiva» dell’autore del fatto (persona sottoposta a misura di prevenzione
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reato, al di là della incriminazione (ove si tratti di un reato, potendo esser stata

personale) è prevista come specifica circostanza aggravante, ad effetto speciale,
del singolo reato consumato. Si tratta, ad esempio, della fattispecie prevista
dall’articolo 71 del D.Lgs. n.159 del 2011 (in passato dall’art. 7 della legge n.575
del 1965).
Ora, ai di là del fatto che nel caso in esame i reati commessi non rientrano nel
novero di quelli indicati, si conviene circa l’impossibilità di coesistenza di tale
circostanza aggravante con l’autonoma incriminazione di cui all’attuale art. 75
D.Lgs. n.159 del 2011. In effetti, in tali ipotesi, la circostanza aggravante (lì

esame la medesima condizione soggettiva e dunque si pone in regime di
sostanziale assorbimento del disvalore espresso dalla violazione della
prescrizione di osservanza ai precetti di cui all’art. 75, impedendo la duplice
contestazione (anche in ragione di quanto previsto dall’art. 84 cod.pen.).
Ma tale dato interpretativo finisce con il confermare – in verità – la ordinaria
punibilità ai sensi dell’art. 75 D.Lgs. n.159 del 2011 (in regime di concorso
formale) lì dove tale previsione manchi. Non si tratta, infatti, di una previsione di
legge che può fondare una considerazione di necessario «assorbimento» del
disvalore della condotta violatrice del precetto di doverosa osservanza della
legge nella sanzione prevista per il singolo reato consumato, essendo invece
espressione dell’esatto contrario (solo quando la condizione soggettiva funge da
circostanza aggravante si determina l’effetto).
Infondato risulta il motivo proposto, anche in rapporto alla denunzia di
irragionevole ‘valorizzazione’ del tipo di autore, posto che la qualità soggettiva
presa in considerazione dal legislatore (come evidenziato nella citata decisione
Corte Cost. dell’anno 2010) è quella di un soggetto già ritenuto pericoloso in
forza di procedimento giurisdizionale e basato sull’apprezzamento di specifici
elementi di fatto (si tratta del procedimento teso alla applicazione della misura di
prevenzione personale).
3.2 Del tutto infondati sono i residui motivi di ricorso.
Il ricorrente ripropone, in larga misura, argomenti in fatto che hanno trovato
adeguata valutazione nel contesto motivazionale della decisione impugnata.
Quanto agli aspetti in diritto, è stato più volte affermato nella presente sede di
legittimità che perchè sia integrato il delitto di resistenza a pubblico ufficiale non
è necessario che sia impedita – in concreto – la libertà di azione del soggetto
pubblico, essendo sufficiente che si usi violenza o minaccia per opporsi al
compimento dell’atto, indipendentemente dall’esito positivo o negativo di tale
azione e dall’effettivo verificarsi di un ostacolo al compimento dell’atto (tra le
altre, Sez. VI n. 46743 del 6.11.2013, rv 257512). Nel caso in esame – data per

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dove il soggetto sia ancora sottoposto alla misura di prevenzione) prende in

indiscutibile la minaccia – la Corte ha congruamente motivato sul nesso esistente
tra la medesima e l’attività svolta dal maresciallo Botter.
Anche la punibilità per la condotta di oltraggio risulta motivata in modo conforme
alle previsioni di legge, data la ricostruzione del fatto già operata nella decisione
di primo grado.
Quanto, infine, alla motivazione con cui la Corte territoriale ha confermato il
diniego delle circostanze attenuanti generiche, la stessa risulta operata in
riferimento alla duplicità di violazioni delle prescrizioni (vi è anche l’episodio

di numerosi precedenti penali .
Tale valutazione non si espone a censure e risulta conforme ai generali criteri
applicativi della norma di cui all’art. 62 bis cod.pen., posto che con la stessa è
stato espresso un giudizio negativo sulla complessiva personalità del reo
(ancorato a dati obiettivi) e ciò – in assenza di emergenze di segno diverso consente di escludere la ricorrenza di circostanze ‘atipiche’ tali da giustificare la
diminuzione della pena.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 21 aprile 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

avvenuto in data 11 giugno 2010) in una con la considerazione della sussistenza

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