Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20442 del 27/03/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20442 Anno 2018
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di Fracassi Roberto, n. a Viterbo il 13/08/1971,
rappresentato ed assistito dall’avv. Carmelo Natalino Ratano, di fiducia, avverso
la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Roma, seconda sezione penale, n.
9577/2014, in data 29/02/2016;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Andrea Pellegrino;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Francesco Salzano, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. Carmelo Natalino Ratano, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 29/02/2016, la Corte d’appello di Roma confermava
la pronuncia di condanna alla pena di giustizia in relazione al reato di
danneggiamento resa in primo grado, all’esito di giudizio abbreviato, nei
confronti di Roberto Fracassi dal giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Viterbo in data 25/10/2013.

Data Udienza: 27/03/2018

2. Avverso detta sentenza, nell’interesse di Roberto Fracassi, viene proposto
ricorso per cassazione per lamentare:
– violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 429 lett. f)
cod. proc. pen., per nullità del decreto di citazione in appello non contenendo lo
stesso l’avvertimento all’imputato che non comparendo sarebbe stato giudicato
in contumacia (primo motivo);
– violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 111 Cost. e
125, comma 3 cod. proc. pen. con riferimento alla mancata risposta al motivo di
gravame che aveva censurato come la sentenza di primo grado avesse utilizzato

motivo);
– vizio di motivazione in ordine all’affermazione della penale responsabilità,
non comprendendosi il percorso logico-decisionale seguito dalla Corte territoriale
in assenza di qualunque dichiarazione dell’imputato e in presenza del dato
incontrovertibile della carenza di prova in ordine sia al danno che alla sua
imputabilità al Fracassi (terzo motivo).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
2. In relazione al primo motivo, evidenzia il Collegio che, secondo il
consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, non costituisce
causa di nullità del decreto di citazione al giudizio di appello l’omesso
avvertimento all’imputato che non comparendo sarà giudicato in contumacia,
ancora oggi previsto dall’art. 429, comma 1, lett. f), cod. proc. pen., atteso che
l’istituto della contumacia è stato eliminato dalla legge 28 aprile 2014, n. 67 e la
differenza tra lo stesso e l’istituto dell’assenza, quanto al procedimento di
dichiarazione ed agli effetti, non consente la “riformulazione” dell’avviso che,
comunque, avrebbe semplicemente la funzione di informare l’imputato che la sua
assenza non incolpevole non preclude l’ordinario svolgimento del processo (Sez.
6, n. 49525 del 03/10/2017, F., Rv. 271497). In ogni caso, va ricordato come la
medesima giurisprudenza abbia riconosciuto che nel giudizio di appello contro le
sentenze pronunciate con rito abbreviato non trovi applicazione l’istituto della
contumacia dell’imputato, che, in caso di assenza, è rappresentato dal suo
difensore, in quanto il giudizio deve essere celebrato – in ragione del rinvio
dell’art. 443, comma quarto, cod. proc. pen. all’art. 599 dello stesso codice nella forma del procedimento in camera di consiglio, anche nelle ipotesi in cui
l’impugnazione avverso la decisione di primo grado concerne l’affermazione di

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a fini probatori i contenuti della querela sporta da Luigi Giovanni Meini (secondo

penale responsabilità (cfr. Sez. 2, n. 23749 del 08/05/2015, Bracchi, Rv.
264228).
3. Come il primo, anche il secondo motivo risulta manifestamente infondato.
Soccorre anche in questo caso l’insegnamento della giurisprudenza di
legittimità secondo cui ai fini della decisione del giudizio abbreviato, la
querela può essere utilizzata come mezzo di prova anche in relazione al suo
contenuto, in quanto la scelta dell’imputato di procedere con tale rito alternativo
rende utilizzabili tutti gli atti, legalmente compiuti o formati, che siano stati

D’Amico, Rv. 261006).
4. Medesime conclusioni di inammissibilità vanno tratte anche in relazione al
terzo motivo.
Evidenzia al riguardo il Collegio come il ricorrente abbia proposto censure in
fatto, sicuramente inammissibili nel giudizio di legittimità, attenendo a “vizi”
diversi dalla mancanza di motivazione, dalla sua “manifesta illogicità”, dalla sua
contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o
affermato quando mancante) su aspetti essenziali astrattamente idonei ad
imporre diversa conclusione del processo. Inammissibili sono, pertanto, tutte le
doglianze che “attaccano” la “persuasività”, l’inadeguatezza, la mancanza di
“rigore” o di “puntualità”, la stessa “illogicità” quando non “manifesta”, così come
quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da
attribuire alle diverse prove ovvero che evidenziano ragioni in fatto per giungere
a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore
della valenza probatoria del singolo elemento. Tutto ciò è “fatto”, riservato al
giudice del merito. Quando il giudice del merito ha espresso il proprio
apprezzamento, la ricostruzione del fatto e la qualificazione giuridica delle
condotte di reato è definita, e le sole censure possibili nel giudizio di legittimità
sono quelle dei soli tre tassativi vizi indicati dall’art. 606, comma 1, lett. e) cod.
proc. pen., ciascuno dotato di peculiare oggetto e struttura: sicchè è altro
costante insegnamento di questa Suprema Corte che la deduzione alternativa di
vizi, invece assolutamente differenti, è per sè indice di genericità del motivo di
ricorso e, in definitiva, “segno” della natura di merito della doglianza che ad essi
solo strumentalmente tenta di agganciarsi (cfr., Sez. 6, n. 13809 del
17/03/2015, 0., Rv. 262965).
5. Alla pronuncia consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma che, valutata la
causa di inammissibilità, si stima equo determinare in euro duemila da
devolversi a favore della Cassa delle ammende

3

acquisiti al fascicolo del pubblico ministero (Sez. 5, n. 46473 del 22/04/2014,

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali nonché della somma di euro duemila a favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 27/03/2018.

ANDREA PELLEGRINO

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Il Pre tdnte
ANT NI

STIPINO

Il Consigliere estensore

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