Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20438 del 07/03/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20438 Anno 2018
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: DI PISA FABIO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
DI SALVO GIORGIO nato il 10/10/1951 a PALERMO
CASTRONOVO GIOVANNI nato il 01/06/1941 a PALERMO

avverso la sentenza del 20/02/2017 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO DI PISA
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCA ZACCO che ha
concluso per l’inammissibilità dei ricorsi
RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Palermo, con sentenza in data 11/06/2015, ha condannato DI SALVO
Giorgio e CASTRONOVO Giovanni per i reati di concorso in truffa continuata aggravata (capo a)
e falso (capo b) perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso
fra loro con artifici e raggiri consistiti, il primo, nell’essersi qualificato alle persone offese come
un Avvocato che prestava la propria opera professionale presso la fantomatica segreteria
politica Fuschetti di Roma con un importante ruolo, rilasciando alle pp.00. falsi documenti a
conferma del suo inserimento presso la predetta segreteria ed il secondo promuovendo e
coadiuvando l’ attività del primo (ingenerando nelle medesime pp.00. una falsa
rappresentazione della realtà, inducendo queste ultime in errore, circa le prospettate intenzioni
di poter fare assumere i loro figli presso Enti pubblici e privati), si procuravano un ingiusto

Data Udienza: 07/03/2018

profitto con pari danno per le persone offese CATALANO Girolamo, MARASA Gaetano e
BALISTRERI Antonino che rispettivamente versavano ai predetti le somme di euro 10.000.00,
euro 16.750.00 e 11.000,00, condannando, altresì, gli imputati al risarcimento dei danni in
favore delle parti civili.
1.1. La Corte di Appello di Palermo, con sentenza del 20/02/2017, in parziale riforma
della sentenza appellata dai due imputati, assolveva i predetti dal reato di cui art. 485 cod.
pen. (capo b) perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato ed dichiarava non
doversi procedere in ordine al reato di truffa (capo a.) limitatamente alle condotte in danno di

confermando le statuizioni civili e rideterminando la pena in mesi otto di reclusione ed euro
200,00 di multa.
La corte territoriale, nel confermare la ricostruzione effettuata dal Tribunale, rilevava
che sulla scorta delle univoche e concordanti dichiarazioni delle persone offese che avevano
trovato riscontro nella ulteriore documentazione acquisita, doveva ritenersi comprovata la
responsabilità di entrambi gli imputati in ordine alle condotte truffaldine loro contestate.

2. Avverso detta pronunzia propongono ricorsi per cassazione tutti e due gli imputati.
2.1. CASTRONOVO Giovanni, a mezzo difensore, formula due motivi:
a. violazione di legge e difetto di motivazione.
La difesa del ricorrente lamenta che la corte territoriale, facendo mal governo delle
disposizioni di cui agli artt. 110 e 640 cod. pen., con motivazione illogica ed incorrendo anche
in un travisamento della prova, aveva confermato l’ affermazione della sua responsabilità nel
reato di truffa a titolo di concorso senza considerare che non era emersa alcuna prova idonea a
comprovare il suo coinvolgimento quale concorrente nelle vicende in contestazione atteso,
peraltro, che non era dimostrato che egli avesse conseguito alcun profitto personalmente e
che, contrariamente a quanto affermato dalla corte territoriale, difettava ogni prova in ordine
alla redazione e spedizione da parte delle stesso delle missive provenienti dalla “Segreteria
Foschetti”;
b. violazione di legge e difetto di motivazione quanto al diniego delle chieste circostanze
attenuanti generiche ed in punto di dosimetria della pena.
Si assume che la sentenza, in ordine alla mancata concessione delle circostanze
attenuanti di cui alli art. 62 bis cod. pen., non aveva motivato alcunché limitandosi a
richiamare le valutazioni delle sentenza di primo grado e che la motivazione erano totalmente
carente quanto alla determinazione della pena.
2.2. La difesa di DI SALVO Giorgio deduce tre motivi:
a. violazione ed erronea applicazione dell’ art. 192 cod. pen.
Parte ricorrente lamenta che difettava la prova degli artifici e raggiri contestati in
quanto non risultava che lo stesso avesse mai promesso dei posti di lavoro alle persone offese
ma si era limitato a riferire che si sarebbe interessato per trovare delle occupazioni lavorative
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MARASA Gaetano e BALISTRERI Antonino per essersi il reato estinto per prescrizione,

per i figli delle pp.00. e che i soldi servivano per compiere viaggi a Roma; non era risultato che
effettivamente il ricorrente non avesse amicizie politiche e non avesse effettuato delle trasferte
a Roma; non vi era prova che le lettere provenienti dalla “Segreteria Foschetti” fossero state
inviate dall’ imputato.
Assume, altresì, che i giudici di merito non avevano adeguatamente riscontrato l’
attendibilità delle persone offese e che non via era prova certa delle somme effettivamente
consegnate dalle stesse al ricorrente;
b. violazione dell’ art. 62 bis cod. pen.

circostanze attenuanti generiche in difetto della prova della effettiva entità del danno e,
comunque, non essendo decisiva la ritenuta gravità del danno;
c. violazione dell’ art. 538 cod. proc. pen.
Si deduce che la sentenza erroneamente lo aveva condannato al risarcimento del danno
in favore delle parti civili sebbene non fosse stata raggiunta la prova delle somme
effettivamente versate, non potendosi ritenere decisive le dichiarazioni delle persone offese
portatrici di un profondo rancore nei confronti del DI SALVO.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Entrambi i ricorsi sono inammissibili stante la manifesta infondatezza dei motivi
proposti.
Va premesso che in tema di sindacato del vizio di motivazione non è certo compito del
giudice di legittimità quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici
di merito ne’ quello di “rileggere” gli elementi di fatto posti a fondamento della decisione la cui
valutazione è compito esclusivo del giudice di merito: quando, come nella specie, l’obbligo di
motivazione è stato esaustivamente soddisfatto dal giudice di merito, con valutazione critica di
tutti gli elementi offerti dall’istruttoria dibattimentale e con indicazione, pienamente coerente
sotto il profilo logico- giuridico, degli argomenti dai quali è stato tratto il proprio
convincimento, la decisione non è censurabile in sede di legittimità.

La difesa del ricorrente assume che ben potevano essere concesse al DI SALVO le

1.1. Occorre, inoltre, ricordare che mentre è consentito dedurre con il ricorso per
cassazione il vizio di “travisamento della prova”, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito
abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova
obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non è affatto permesso dedurre
il vizio del “travisamento del fatto”, stante la preclusione per il giudice di legittimità a
sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti
gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento
di una operazione estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli
elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (così, tra le tante, Sez.
3^, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 5^, n. 39048 del 25/09/2007,
3

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Casavola, Rv. 238215).

2. Orbene la Corte di Appello, nell’esaminare i medesimi motivi di doglianza dedotti con
i presenti ricorsi – con motivazione esaustiva, logica, congrua e del tutto coerente con gli
indicati elementi probatori (dichiarazioni delle pp.00. ritenute pienamente genuine ed
attendibili anche perché riscontrate della scorta della documentazione in atti: copie degli
assegni emessi in favore del DI SALVO e missive inviate dalla Segreteria Foschetti alle persone
offese) ha correttamente ritenuto che fosse stata raggiunta la prova della responsabilità di

2.1. Va, del resto, rilevato che il giudizio sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di
prova è devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e la scelta che essi compiono, per
giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla prevalenza accordata a taluni
elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza od attendibilità degli assunti
difensivi, quando non sia fatta con affermazioni apodittiche o illogiche, si sottrae al controllo di
legittimità della Corte Suprema. Si è in particolare osservato che non è sindacabile in sede di
legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del
giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa
contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti. (Sez. 2, n.
20806 del 05/05/2011 – dep. 25/05/2011, Tosto, Rv. 25036201).
Costituisce, inoltre, principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità
l’affermazione che la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta
una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito
dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia
incorso in manifeste contraddizioni ( cfr. Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014 – dep. 14/01/2015,
Pirajno e altro, Rv. 26173001).
2.2. La sentenza appare immune da censura anche nella parte in cui, nel confermare la
ricostruzione in fatto operata dal giudice di primo grado, ha ritenuto configurabile una
responsabilità a titolo di concorso del CASTRONOVO evidenziando che era stato lo stesso a
mettere in contatto le parti offese con il sedicente “Avvocato DI SALVO” Giorgio “di sua
conoscenza” indicandolo come soggetto “in grado di risolvere i problemi relativi all’inserimento
nel lavoro dei rispettivi figliuoli” e che questi di presentava ad ogni incontro fissato con i
predetti “apparendo” quale “autista, attendente e fedele segretario” del Di SALVO, risultando,
quindi, evidente che egli aveva concorso a pieno titolo nelle condotte truffaldine in
contestazione.
2.3. Va, quindi, osservato che la condotta contestata rientra, anche sotto il profilo
psicologico, certamente nell’ipotesi della truffa essendo risultato che il DI SALVO, spacciatosi
falsamente per un Avvocato in contatto con influenti ambienti della capitale in grado di
attivarsi per assicurare posti di lavoro per i figli delle persone offese, ha posto in essere,
avvalendosi del supporto e della collaborazione del CASTRONOVO, dei raggiri idonei a far
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entrambi i ricorrenti in ordine alle truffe contestate.

cadere in errore le vittime, promettendo, falsamente, occasioni lavorative previa
corresponsione di somme di denaro, ritenendo che entrambi aveva tratto dalle condotte poste
in essere dei vantaggi di tipo patrimoniale.

3. Occorre, infine, precisare che non appare censurabile la sentenza nella parte in cui ha
ritenuto pienamente attendibili le pp.00. anche quanto al profilo relativo alle somme
effettivamente consegnate ed incamerate illecitamente dal DI SALVO a fini truffaldini,
dovendosi, conseguentemente, ritenere del tutto primo di fondamento il motivo proposto dal

4. Con riguardo alle invocate circostanze attenuanti di cui all’art.

62-bis cod. pen. la

Corte di appello ha congruamente motivato circa le ragioni del diniego facendo riferimento alla
gravità delle condotte, alli entità del danno cagionato ed alla intensità del dolo. Va, peraltro,
ribadito che la Suprema Corte ha più volte affermato che Nel motivare il diniego della
concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione
tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è
sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo
tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, sent. n. 28535 del 19/03/2014,
Lule, Rv. 259899).
4.1. I motivi dei ricorsi relativi al trattamento sanzionatorio sono anch’ essi
manifestamente infondati in quanto la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del
giudice di merito che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi
enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel
giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui
determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del
30/09/2013 – 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), ciò che – nel caso di specie – non ricorre.

5. Per le considerazioni esposte, dunque, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché al pagamento in favore
della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dai
ricorsi, si determina equitativamente in euro duemila ciascuno.

P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro duemila ciascuno a favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 07/03/2018
Il Consigliere estensore

DEPOSITATO* CANCELLERIA
SECONDA SEZIONE PEiti

Il Préside te

predetto ricorrente e relativo alla quantificazione del danno.

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