Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20427 del 21/03/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20427 Anno 2018
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: CORBETTA STEFANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Vali Gheorghita, nato in Romania il 16/10/1966

avverso la sentenza del 29/03/2017 del tribunale di Torino

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Corbetta;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Gianluigi Pratola, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avv. Luca Goffredo del foro di Roma, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento de ricorso.

Data Udienza: 21/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Il tribunale di Torino, ai sensi degli artt. 129, 469 cod. proc. pen.,
mandava assolto Gheorghita Vali dal reato di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen., 18
e 29 d.lgs. n. 276 del 2003 perché il fatto non è più previsto dalla legge come
reato, disponendo la trasmissione degli atti alla competente autorità
amministrativa ai sensi dell’art. 9 d.lgs. n. 8 del 2016.

propone ricorso per cassazione, affidato due motivi.
2.1. Con il primo motivo di deduce questione di legittimità costituzionale
degli art. 8 e 9 d.lgs. n. 8 del 2016. Ad avviso del ricorrente, le norme in esame
si porrebbero in contrasto con gli artt. 3, 25, 117 Cost., nella parte in cui
prevedono l’applicabilità della sanzioni amministrative anche a fatti commessi
prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 8 del 2016; secondo la prospettazione
difensiva, l’abrogazione della fattispecie penale introdurrebbe un percorso
sanzionatorio nuovo e sopravvenuto, che non potrebbe trovare applicazione in
virtù dei principi affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 193 del
2016.
2.2. Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata, nella parte in
cui ha omesso qualsiasi valutazione in ordine alla prescrizione del reato, che, ad
avviso del remittente, sarebbe maturata prima dell’entrata in vigore della legge
di depenalizzazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile, stante la manifesta infondatezza dei motivi.

2. La questione di illegittimità costituzionale degli art. 8 e 9 d.lgs. n. 8 del
2016 è priva di rilevanza nel giudizio davanti alla Corte di cassazione.
Secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale (tra le più recenti, cfr.
ordinanze n. 184 del 2017, n. 259 del 2016, n. 161 del 2015), non è, infatti,
rilevante la questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto un
contenuto normativo che attiene al compimento di un atto processuale inserito in
una fase successiva a quella in cui versa il giudizio a quo, non dovendo questa
Corte, infatti, fare applicazione della norma censurata.
Un principio del genere trova applicazione anche nel caso in cui la norma
impugnata sia già stata applicata avanti ad altro giudice, senza che la questione
sia stata eccepita in quella sede. E difatti, quanto all’art. 9 d.lgs. n. 8 del 2016,

2

2. Avverso l’indicata sentenza l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia,

essendo già stata disposta dal tribunale la trasmissione degli atti alla competente
autorità amministrativa, la questione è ormai priva di rilevanza, in quanto essa
avrebbe dovuto essere sollevata davanti al tribunale, prima che applicasse la
norma censurata.
Lo stesso, a fortiori, vale per l’art. 8 d.lgs. n. 8 del 2016, in quanto la
questione di legittimità costituzionale, ove ritenuta non manifestamente
infondata, sarà, in ipotesi, rilevante nell’eventuale giudizio di impugnazione,

3. Parimenti manifestamente infondato è il secondo motivo.
Invero, per costante giurisprudenza di legittimità, il ricorrente che invochi
nel giudizio di cassazione la prescrizione del reato, assumendo per la prima volta
in questa sede che la data di consumazione è antecedente rispetto a quella
contestata, ha l’onere di riscontrare le sue affermazioni fornendo elementi
incontrovertibili, idonei da soli a confermare che il reato è stato consumato in
data anteriore a quella contestata, e non smentiti né smentibili da altri elementi
di prova acquisiti al processo (così, da ultimo, Sez. 4, n. 47744 del 10/09/2015
– dep. 02/12/2015, Acacia Scarpetti, Rv. 265330; in senso conforme cfr. Sez. 3,
n. 27061 del 05/03/2014 – dep. 23/06/2014, Laiso, Rv. 259181; Sez. 5, n.
46481 del 20/06/2014 – dep. 11/11/2014, Martinelli e altri, Rv. 261525).
Orbene, poiché nel capo di imputazione la data di consumazione del reato è
indicata nel 11 dicembre 2013, e il ricorrente non ha né indicato, né allegato,
come avrebbe dovuto, alcun elemento a sostegno dell’eventuale retrodatazione
di tale data, il termine massimo di prescrizione, pari a anni quattro, alla data
della deliberazione della sentenza impugnata non era decorso.
Di conseguenza, l’intervenuta depenalizzazione impedisce, alla radice, la
declaratoria di estinzione per prescrizione di un fatto che non è più previsto dalla
legge come reato.

4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.,
non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al
pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in
dispositivo.

3

davanti al giudice civile, avverso la sanzione amministrativa inflitta.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 21/03/2018.

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