Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20417 del 04/02/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20417 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Pinto Franco, nato a Acquappesa il 14/09/1959
avverso la ordinanza del 03/07/2014 del Tribunale della libertà di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Vito
D’Annbrosio, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito per il ricorrente

Data Udienza: 04/02/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Franco Pinto ricorre per cassazione impugnando l’ordinanza indicata in
epigrafe con la quale il tribunale della libertà di Catanzaro, sull’appello cautelare
proposto dal pubblico ministero, ha riformato l’ordinanza emessa del Tribunale di
Paola ripristinando nei confronti del ricorrente la misura della custodia cautelare
in carcere, che era stata sostituita con quella degli arresti domiciliari.

difensori, un unico ed articolato motivo di gravame – reiterato anche con
successivo ricorso, che abbraccia più questioni – qui enunciato, ai sensi dell’art.
173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la stesura
della motivazione.
Con esso il ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 606, comma 1,
lettere b) ed e), codice di procedura penale per inosservanza della legge penale
e processuale nonché mancanza di motivazione desunta dal testo dell’ordinanza
impugnata.
Assume il ricorrente che il tribunale di Paola, con ordinanza del 12 marzo
2014, aveva sostituito la misura della custodia cautelare in carcere con quella
degli arresti donniciliari da eseguirsi in una Albano Laziale sul presupposto che
l’intervenuta pronuncia della sentenza di primo grado, il luogo di esecuzione
degli arresti domiciliari, distante circa 500 km dal territorio in cui erano stati
consumati fatti delittuosi, e la lunga carcerazione preventiva costituivano
elementi sintomatici di un affievolimento delle esigenze cautelari, tali da
giustificare il contenimento del pericolo di recidiva attraverso la custodia
domestica.
Il pubblico ministero ha appellato questa decisione e la prima censura che il
ricorrente solleva nei confronti dell’ordinanza impugnata concerne la violazione
del principio devolutivo, poiché nonostante l’appellante avesse evidenziato il solo
pericolo di fuga, quale esigenza cautelare da salvaguardare, il tribunale della
libertà ha fondato invece la propria decisione solo sul pericolo di reiterazione di
delitti della stessa specie di quelli per i quali si procede.
Sostiene il ricorrente che, valutata questa prima questione, il tribunale della
libertà si sarebbe dovuto limitare a dichiarare l’inammissibilità del gravame
senza la possibilità di scrutinarlo nel merito.
La seconda censura concerne la mancata enunciazione delle ragioni sulla cui
base il giudice dell’impugnazione è giunto alla conclusione di ritenere inadeguata
la misura cautelare domiciliare, evidenziandosi una carenza assoluta di
motivazione, desumibile dal testo del provvedimento impugnato, laddove il
giudice dell’appello cautelare si è limitato a sottolineare che “la necessità di

2. Per la cassazione dell’impugnata ordinanza, il ricorrente solleva, tramite i

pervenire all’applicazione della misura coercitiva massima trova un preciso e non
contestabile riferimento, oltre che nei richiamati precedenti del Pinto, nella
descrizione della condotta criminosa attribuita allo stesso imputato nel
procedimento principale (…)”.
Secondo il ricorrente sarebbe evidente la carenza assoluta di motivazione
sul punto, in quanto l’ordinanza del tribunale di Paola, oggetto di gravame da
parte del pubblico ministero, aveva ampiamente considerato tali aspetti e proprio
in ragione della necessità di contenere il pericolo di recidiva derivante dalla

arresti donniciliari in un territorio lontano centinaia di chilometri dal luogo dei
commessi reati, impedendo ciò qualsiasi contatto del ricorrente con altri soggetti.
Il motivo di ricorso si diffonde poi nel segnalare le coordinate tracciate dalla
giurisprudenza costituzionale e da quella di legittimità in materia di limitazione
della libertà personale nel processo penale, con particolare riguardo al principio
dell’extrema ratio

nell’applicazione della misura cautelare della custodia

cautelare in carcere e al principio di gradualità nell’applicazione delle misure
cautelari, principi ai quali deve uniformarsi il giudice cautelare nel corso del
processo, per concludere come nel caso di specie fosse evidente la violazione di
legge che affligge il provvedimento impugnato.
Osserva il ricorrente che il raccordo che necessariamente deve intercorrere
fra la misura restrittiva e la funzione cautelare, che le è propria, comporta che la
compressione della libertà personale avvenga secondo un paradigma di rigorosa
gradualità, così da riservare alla più intensa limitazione della medesima il
carattere residuale di extrema ratio, sottolineando come, sotto tale aspetto,
l’ordinanza del tribunale di Paola fosse assolutamente rispettosa del
bilanciamento degli opposti interessi (tutela della libertà individuale e necessità
della salvaguardia degli interessi della collettività) e per tale ragione aveva
sostituito la misura di massimo rigore con gli arresti domiciliari in un luogo
remoto, senza che per il ricorrente fosse possibile coltivare legami con potenziali
concorrenti, escludendo perciò il pericolo di recidiva.
Ne consegue che, ad avviso del ricorrente, il tribunale della libertà ha non ha
assolutamente motivato sulle ragioni in base alle quali, con la misura degli
arresti domiciliari in un luogo così distante e dopo una così lunga carcerazione,
non fosse possibile contenere il pericolo di recidívanza, aggiungendo, con il
secondo ricorso, come il tribunale della libertà avesse tralasciato di considerare
gli aspetti che il tribunale di Paola, titolare del procedimento principale, aveva
invece correttamente ed analiticamente valutato e motivato.

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presenza del Pinto sul luogo di rinvenimento delle armi, aveva concesso gli

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato nei limiti e sulla base delle considerazioni che
seguono.

2. Il tribunale della libertà ha premesso come il ricorrente fosse stato
condannato, in primo grado, dal tribunale di Paola alla pena di nove anni di
reclusione con contestuale dichiarazione di delinquenza abituale.

valutazione compiuta dal tribunale del merito sul fatto che le esigenze cautelari
potessero essere salvaguardate con la misura degli arresti donniciliarí, con
discutibile prognosi peraltro limitata al solo pericolo di recidiva e non anche al
pericolo di fuga, il tribunale cautelare ha osservato che, a parte il condivisibile
rilievo formulato dal pubblico ministero quanto al pericolo di fuga, come esigenza
cautelare concorrente da salvaguardare e del tutto preternnessa dal tribunale del
merito, il ragionamento esplicitato dal primo giudice per giustificare la
sostituzione della misura detentiva carceraria con quella degli arresti domiciliari
non si prestasse ad essere condiviso nella misura in cui focalizzava l’attenzione
su un aspetto (quale quello della rilevante distanza chilometrica tra il luogo di
perpetrazione della condotta criminosa e il luogo degli arresti domiciliari) che,
singolarmente e isolatamente considerato, non poteva assurgere a elemento
significativo di attenuazione di esigenze cautelari, quali quelle attinenti al
pericolo di reiterazione della condotta criminosa, come desumibili dal fatto per il
quale era intervenuta la condanna (ad anni nove di reclusione), dalla personalità
del Pinto (gravato da numerosi ed allarmanti precedenti, quali l’estorsione, la
detenzione di illegale di armi e munizioni, la partecipazione all’associazione
finalizzata al traffico di stupefacenti ed altre violazioni della stessa legge),
elementi che inducevano fondatamente a ritenere sussistente, al massimo grado,
il prefigurato pericolo di reiteratio criminis.
Ha inoltre osservato il giudice dell’appello cautelare come la necessità di
mantenere l’applicazione della misura coercitiva più rigorosa trovasse un preciso
e non contestabile riferimento, oltre che nei precedenti penali del ricorrente,
nella descrizione della condotta criminosa allo stesso attribuita nel processo
principale ed in esito al quale è stata pronunciata condanna per fatti di rilevante
gravità, quali la detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente (nella
specie cocaina abilmente occultata in distinti involucri unitamente strumenti atti
alla pesatura) e alla detenzione illegale di un numero considerevole di armi e di
cartucce (fucile da caccia a canne sovrapposte, calibro 12 con canne mozzate e
calcio segato e matricola abrasa; una pistola semiautomatica marca Beretta
calibro 9×17; una pistola semiautomatica marca Beretta calibro 9 x 17 con
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Sulla specifica doglianza sollevata dal pubblico ministero circa la parziale

matricola abrasa; un silenziatore di metallo; una pistola semi automatica calibro
357 magnum; altro revolver calibro 357 magnum; una pistola calibro 6,35; 40
cartucce calibro 7,65 parabellum, 4 cartucce calibro 380 marca Winchester; 13
cartucce 7,65; 38 cartucce calibro 380; 26 cartucce calibro 357 magnum; 133
cartucce calibro 38 special), tanto da costituire un vero e proprio arsenale,
verosimilmente posto a disposizione della criminalità organizzata e la cui
detenzione, in ragione della varietà e del rilevante numero delle ari illegalmente,
doveva apprezzarsi in punto di plausibile inserimento del ricorrente in canali

venendo così a perdere di significato la fissazione del luogo degli arresti
domiciliari nella regione Lazio e pervenendosi perciò alla conclusione secondo la
quale l’impugnazione pubblico ministero fosse fondata e dunque meritevole di
accoglimento.

3. Ciò posto, la motivazione resa dal tribunale cautelare non merita le
censure che le sono state mosse né sotto il profilo della violazione di legge
penale e processuale e neppure sotto il profilo del vizio di motivazione
denunciato.
3.1. Quanto alla lamentata violazione del principio devolutivo, che pure
governa, a condizioni esatte, l’appello cautelare penale, lo stesso tribunale ha
affermato, sul rilievo che l’eccezione era stata già sollevata in sede di merito,
come nell’atto di gravame del pubblico ministero vi fosse la specifica ed espressa
indicazione all’esigenza attinente al pericolo di reiterazione della condotta
criminosa, quale esigenza aggiuntiva e non sostitutiva di quella relativa al
pericolo di fuga.
In altri termini, l’esistenza del pericolo di reiteratio criminis costituiva un
approdo pacifico anche per il tribunale di Paola, che aveva ritenuto contenibile il
bisogno cautelare con la misura degli arresti domiciliari ma con prognosi,
secondo il pubblico ministero, erronea, da un lato, e deficitaria, dall’altro, perché
non aveva neppure considerato che fosse sussistente anche il pericolo di fuga
che, a maggior ragione, avrebbe dovuto, ad avviso del pubblico ministero
appellante, indurre il tribunale di Paola a ritenere che i pericula ex liberate non
potessero essere salvaguardati con la misura degli arresti donniciliari,
quantunque eseguibile in un luogo distante da quello dei commessi reati.
Il tribunale cautelare ha così correttamente interpretato, nella sostanza,
l’appello cautelare e dunque non ha violato il principio del quantum devolutum
tantum appellatum perché la questione dell’inidoneità degli arresti domiciliari a
salvaguardare il pericolo di recidiva era stata, con l’atto di appello, devoluta al
Collegio cautelare, unitamente ad altra questione, ritenuta poi assorbita
nell’economia della decisione in sede di giudizio di impugnazione, relativa ad un

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delinquenziali di più vasto respiro rispetto all’ambito territoriale di origine,

vizio di motivazione perché il Giudice del procedimento principale, nel concedere
gli arresti donniciliari, non aveva motivato, circostanza pacifica e non contestata,
sull’adeguatezza della misura a salvaguardare anche il pericolo di fuga, ritenuto
dal pubblico ministero parimenti sussistente.
3.2. La seconda questione è stata correttamente risolta dal tribunale
cautelare che ha preso in esame, diversamente dal primo giudice, anche l’esito
del procedimento e le modalità del fatto provvisoriamente accertato con la
sentenza di condanna, valutando tali aspetti nella prospettiva dell’esigenza cika

motivazione, che gli arresti domiciliari, sebbene in un luogo distante da quello
della commissione dei fatti, fossero inadeguati a salvaguardare il bisogno
cautelare, che si era piuttosto aggravato anziché attenuato, e quindi
correttamente valorizzando il dato neutro del luogo di esecuzione della misura
rispetto all’imponenza del dato cautelare, costituito da una carriera criminale
sfociata, proprio attraverso la sentenza di condanna, in una dichiarazione di
delinquenza abituale, e costituito altresì da fatti di estrema gravità per il numero
e la qualità delle armi e delle munizioni illegalmente detenute, tanto da
autorizzare la logica deduzione che un tale arsenale fosse più congeniale per
l’esecuzione di una programma delinquenziale rientrante nei fini perseguiti da
organizzazioni criminali, piuttosto che per l’esecuzione di progetti criminosi
affidati all’opera di un singolo delinquente.
Ritenuto, con ineccepibile motivazione, il luogo degli arresti ininfluente ai fini
dell’ipotizzato ridimensionamento delle esigenze cautelari, consegue il rigetto del
ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Manda alla Cancelleria per l’adempimento di cui all’art. 28 regolamento di
esecuzione cod. proc. pen.
Così deciso il 04/02/2015

cautelare, non posta in discussione da alcuno, ritenendo, con logica ed adeguata

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