Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20415 del 04/02/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20415 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
La Spina Roberto, nato a Taormina il 12/12/1985
avverso la ordinanza del 10/04/2014 del Tribunale della libertà di Catania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Vito
D’Ambrosio, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente

Data Udienza: 04/02/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Roberto La Spina ricorre per cassazione impugnando l’ordinanza indicata
in epigrafe con la quale il tribunale della libertà dì Catania ha confermato quella
del Gip dello stesso Tribunale emessa in data 19 marzo 2014, con la quale è
stata applicata al ricorrente la misura della custodia cautelare in carcere perché
gravemente indiziato del delitto previsto dall’articolo 73 d.p.r 9 ottobre 1990 n.
309 in relazione a plurimi episodi di detenzione a fine di spaccio e di cessione di

2. Per la cassazione dell’impugnata ordinanza, il ricorrente solleva, tramite il
difensore, quattro motivi di gravame, qui enunciati, ai sensi dell’art. 173 disp.
att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la stesura della
motivazione.
2.1. Con il primo motivo deduce la contraddittorietà della motivazione e
l’omessa valutazione elementi decisivi per il giudizio in merito alla eccepita
decorrenza dei termini delle indagini preliminari, da cui sarebbe derivata la
inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ed ambientali disposte con i decreti
numeri 1073 del 2012, 1228 del 2012,101 del 2013 per violazione degli articoli
405 e 407 n. 3 codice di procedura penale in relazione all’articolo 606, comma 1,
lettera c) ed e) codice di procedura penale.
Premette il ricorrente che il tribunale del riesame ha affermato che l’eccepita
inutilizzabilità delle intercettazioni non opera nell’ipotesi in esame sul rilievo che i
decreti sono stati emessi nel novembre del 2012 e risultando perciò tempestivi
rispetto all’ultima iscrizione nel registro delle notizie di reato avvenuta il 28
ottobre 2012.
Assume il ricorrente che tuttavia il collegio cautelare ha omesso di
considerare che le indagini sarebbero state illegittimamente protratte tra la data
della 28 agosto 2012 (data di scadenza delle indagini con riferimento alla notizia
di reato iscritta il 28 febbraio 2012) e quella del 21 ottobre 2012, data in cui a
seguito delle conversazioni intercettate il pubblico ministero avrebbe proceduto
alla iscrizione della ricorrente nel registro degli indagati per l’ipotesi di reato di
usura.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la contraddittorietà e
l’illogicità della motivazione in merito all’eccepita inutilizzabilità delle
intercettazioni per mancanza di indizi di reato ai sensi dell’articolo 267 codice di
procedura penale in relazione all’articolo 606, comma 1, lettera c) ed e) codice di
procedura penale.

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sostanza stupefacente del tipo marijuana e cocaina.

Sostiene che il tribunale cautelare ha ritenuto utilizzabili gli esiti delle
intercettazioni ritenendo la sussistenza di gravi indizi di reato configurati
erroneamente sulla base delle sole dichiarazioni rese dalla presunta parte offesa.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la mancanza di motivazione
sotto il profilo della motivazione apparente in merito alla sussistenza di gravi
indizi di colpevolezza e alla qualificazione giuridica dei fatti oggetto della
contestazione cautelare (articolo 606, comma 1, lettera e), codice di procedura
penale).

ritenuta sussumibilità di tutte le ipotesi criminose contestate al ricorrente
nell’alveo della disciplina di cui al quinto comma dell’articolo 73 d.p.r. 9 ottobre
1990 n. 309, epilogo che avrebbe precluso l’applicazione della misura.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente prospetta la mancanza di motivazione
in merito alla sussistenza delle esigenze cautelari ed alla scelta della misura
adottata (articolo 606, comma 1, lettera e) codice di procedura penale).
Si argomenta che nessuna considerazione ha mostrato giudice del riesame
nel valutare il tempo trascorso dai fatti oggetto di contestazione in relazione
all’unica esigenza cautelare indicata nella misura restrittiva ossia quella di cui
all’articolo 274 lettera c) codice di procedura penale.
Alcun cenno avrebbe poi fatto il tribunale del riesame in relazione alle
argomentazioni espresse dalla difesa circa la sommaria e inadeguata valutazione
delle misure cautelari meno afflittive concedibili al ricorrente anche in
considerazione del dichiarato stato di tossicodipendenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato e presentato
fuori dai casi consentiti.

2. Quanto alla prima doglianza, il motivo di ricorso non si confronta con la
motivazione resa in proposito dal tribunale cautelare, che ha evidenziato come la
notizia di reato, sulla cui base sono stati emessi i decreti di intercettazione sul
presupposto della esistenza di gravi indizi di reato, è stata iscritta nel registro di
cui all’articolo 335 codice di procedura penale in data 22 novembre 2012
allorquando il pubblico ministero ha integrato l’originaria iscrizione per il reato
previsto dall’articolo 644 codice penale con quella di cui all’articolo 73 d.p.r. 309
del 1990.
Ne consegue che i decreti dispositivi delle intercettazioni sono stati emessi
nel corso del regolare espletamento delle indagini preliminari, a nulla rilevando

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Rileva che nessuna motivazione il tribunale cautelare ha reso in merito alla

che, con riferimento ad altre iscrizioni, fossero scaduti i termini per
l’espletamento delle indagini stesse.
Peraltro, il tribunale cautelare ha anche affermato che, alla data del 28
febbraio 2012, nel registro delle notizie di reato non era stato iscritto il nome del
ricorrente ma erano stati iscritti esclusivamente i nomi dei fratelli Crimi, con la
conseguenza che non poteva essere seguita l’impostazione difensiva, che ha
eccepito l’inutilizzabilità di atti di indagine, non essendo iniziato a decorrere il
dies a quo di espletamento delle indagini preliminari, proprio in mancanza della

Nel pervenire a tale conclusione, il tribunale distrettuale si è attenuto alla
giurisprudenza di questa Corte in base alla quale il termine di durata massima
delle indagini preliminari, alla cui scadenza consegue l’inutilizzabilità degli atti di
indagine successivi, non decorre dal momento in cui sia stata genericamente
iscritta la notizia di reato nel registro di cui all’articolo 335 codice di procedura
penale, ma soltanto dalla data successiva nella quale sia avvenuta l’iscrizione
delle generalità della persona cui il reato sia stato attribuito (Sez. 6, n. 25385
del 19/03/2012, P.M. in proc. G., Rv. 253100).
Peraltro il pubblico ministero, quando nel corso delle indagini preliminari
acquisisce una nuova notizia di reato nei confronti dì una persona già iscritta per
altri fatti nel registro di cui all’articolo 335 codice di procedura penale, deve
procedere ad una nuova tempestiva iscrizione, essendo ciascuna notizia di reato
dotata, anche se connessa ad altre, di indubbia autonomia, con la conseguenza
che altrettanto autonomamente decorre per ognuna di esse, e sempre che sia
stato anche iscritto il nome della persona cui il reato è attribuito, il termine di
espletamento delle indagini preliminari.
Non è pertanto neppure esatto il rilievo formulato dal ricorrente secondo il
quale il termine di espletamento delle indagini preliminari in relazione alla notizia
di reato iscritta in data 28 febbraio 2012, siccome non tempestivamente
prorogato, avrebbe reso inutilizzabili gli atti di indagine preliminare nei suoi
confronti, in quanto il nome del ricorrente nel registro delle notizie di reato è
stato invece iscritto, in relazione all’articolo 644 codice penale, notizia di reato
già attribuita ai coindagati, solo in data 28 ottobre 2012.
Infine, è onere del ricorrente indicare gli atti di indagine colpiti dalla
sanzione dell’inutilizzabilità in quanto il vizio affligge esclusivamente gli atti
compiuti a termini di investigazione scaduti e non quelli che siano stati
legittimamente compiuti tra la data di iscrizione della notizia di reato ed il
termine ordinario o tempestivamente prorogato di espletamento delle indagini
preliminari. Nel caso di specie, poi, i decreti dispositivi delle intercettazioni,
indicati dal ricorrente, sono stati emessi quando erano legittimamente in corso i
termini di indagine necessari per l’espletamento delle investigazioni in relazione
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iscrizione del nome della persona del ricorrente nel registro delle notizie di reato.

al reato di spaccio di sostanze stupefacenti, perciò a nulla rilevando che fossero
scaduti quelli per il reato di usura.
Conclusivamente il motivo di ricorso, oltre ad essere manifestamente
infondato, è aspecifico perché non si confronta con la motivazione resa nel
provvedimento impugnato.

3. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
Il tribunale cautelare ha correttamente affermato il principio in base al quale

di gravi indizi di reato e non di colpevolezza, con la conseguenza che per
procedere legittimamente ad intercettazione non è necessario che gli indizi siano
a carico di una persona individuata.
Questa Corte ha già affermato che – in tema di presupposti sulla cui base
può essere adottato il provvedimento autorizzatorio delle intercettazioni, benché
l’articolo 267, comma 1, del cod. proc. pen. individui, tra questi, quello dei “gravi
indizi di reato ( o dei “sufficienti indizi”, allorché si verta in ipotesi di reati di
criminalità organizzata: articolo 13 del decreto legge 13 maggio 1991 n. 152,
convertito dalla legge 12 luglio 1991 n. 203 ) – è escluso che a quel
presupposto possa essere attribuito un connotato di tipo “probatorio” in chiave di
prognosi, seppure indiziaria, di colpevolezza, necessitando solo l’esistenza (in
chiave altamente probabilistica; o, nel caso dei reati di criminalità organizzata,
nel più ristretto ambito della sufficienza indiziaria) di un “fatto storico” integrante
una determinata ipotesi di reato, il cui accertamento imponga l’adozione del
mezzo di ricerca della prova, da circoscrivere dì particolari garanzie in ragione
della peculiare invasività del mezzo rispetto all’area dei valori presidiati
dall’articolo 15 della Costituzione. Da ciò deriva che il legislatore, mirando a
prevenire qualsiasi uso non necessario di uno strumento tanto insidioso per la
sfera della libertà e segretezza delle comunicazioni, espressamente prescrive
soltanto un controllo penetrante circa l’esistenza delle esigenze investigative e la
finalizzazione delle intercettazioni al relativo soddisfacimento; senza, quindi,
alcun riferimento alla delibazione, nel merito, di una ipotesi accusatoria, che può
ancora non avere trovato una sua consistenza. In una tale prospettiva, la
motivazione del decreto non deve esprimere una valutazione sulla fondatezza
dell’accusa, ma solo un vaglio di effettiva serietà del progetto investigativo (Sez.
5, n. 41131 del 08/10/2003, Liscai, Rv. 227053 ), conseguendone che la
principale funzione di garanzia della motivazione del decreto risiede
nell’individuazione della specifica vicenda criminosa cui l’autorizzazione stessa si
riferisce, in modo da prevenire il rischio di autorizzazioni in bianco e di impedire
altresì che l’intercettazione da mezzo di ricerca della prova si trasformi in mezzo
per la ricerca della notizia di reato.

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il ricorso alle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni richiede l’esistenza

Nel caso di specie, i decreti erano ampiamente circoscritti all’accertamento
di attività di cessione di sostanze stupefacenti.

4. Il terzo motivo, che genericamente investe la pretesa insussistenza del

fumus criminis, è parimenti inammissibile.
Il tribunale cautelare ha affermato come i gravi indizi di colpevolezza nei
confronti del ricorrente fossero desumibili dai contenuti non equivoci delle
conversazioni captate dal 22 novembre 2012 al 7 febbraio 2013, sulle utenze in

ristretto in regime di arresti domiciliari e dove si recavano sia alcuni acquirenti a
titolo personale e sia i coindagati che acquistavano o comunque ricevevano
quantitativi di sostanza stupefacente per commercializzarla successivamente.
Oltre agli altri elementi specificamente indicati a pagina 4 del provvedimento
impugnato, il tribunale cautelare ha infine evidenziato come la consistenza e la
diffusività dei traffici illeciti intrapresi dal ricorrente trovassero sintomatica
conferma nelle quantità di sostanze stupefacenti trattate e nelle cifre chieste o
incassate, di volta in volta, dal ricorrente o dagli acquirenti, nel corso delle
conversazioni intercettate e ciò esclude in radice che possano ritenersi
configurabili fatti di lieve entità da sussunnere nell’ambito del quinto comma
dell’art. 73 d.p.r. n. 309 del 1990.

5. Quanto infine al quarto motivo di gravame, il Collegio cautelare, con
adeguata e logica motivazione, come tale insuscettibile di sindacato di
legittimità, ha ritenuto sussistente il pericolo di reiterazione criminosa specifica
sul presupposto di un’intensa attività illecita accertata e compiuta dal ricorrente
nonostante lo stesso fosse ristretto nella libertà personale, trovandosi agli arresti
domiciliari, circostanza che ha reso ineludibile, secondo la logica argomentazione
del tribunale, l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere,
quale unica misura diretta a contenere il pericolo di reiteratio criminis.
Compiendo gravi e plurimi reati durante l’esecuzione della misura degli
arresti domiciliari, il ricorrente ha inevitabilmente dimostrato di non essere in
grado autodisciplinarsi e quindi di meritare la fiducia che gli è stata concessa,
posto che tutte le misure cautelari alternative al carcere e il principio di
graduazione stesso fondano sul legittimo affidamento che l’indagato si astenga
dall’attentare alle esigenze processuali o si astenga dal reiterare le condotte
criminose, derivando dalla lesione della fiducia una inevitabile prognosi infausta
circa lo spontaneo adempimento da parte sua degli obblighi e delle prescrizioni
che ad una misura cautelare diversa dal carcere (nella specie arresti donniciliari)
siano collegati e perciò è inconsistente la doglianza circa il fatto che non gli siano

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uso al ricorrente, oltre che presso la sua abitazione, dove lo stesso si trovava

state applicate misure meno afflittive quando neppure gli arresti domiciliari si
sono rilevati idonei a salvaguardare le esigenze cautelari del caso specifico.

6.Sulla base delle precedenti considerazioni il ricorso deve perciò essere
dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte
costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per
ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella

dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.,
l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma,
in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore
dell’istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma 1 ter, disp.
att. cod. proc. pen.
Così deciso il 04/02/2015

determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria

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