Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20411 del 15/02/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20411 Anno 2018
Presidente: ANDREAZZA GASTONE
Relatore: ZUNICA FABIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Pupa Florian, nato in Albania il 03-07-1987,
avverso la sentenza del 30-06-2015 della Corte di appello di Ancona;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Fabio Zunica;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.
Fulvio Baldi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 15/02/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 24 ottobre 2013, il G.U.P. del Tribunale di Pesaro,
all’esito di rito abbreviato, condannava Florian Pupa (e il coimputato Bardhyl
Pupa) alla pena di anni 1, mesi 8 di reclusione ed C 4.000 di multa in ordine a
vari episodi del reato di cui all’art. 73 del d.P.R. 309/90, ritenuta l’ipotesi di cui al
comma V, commessi in Gabicce Mare fino al 5 aprile 2013, giorno dell’arresto.
Con sentenza del 30 giugno 2015, la Corte di appello di Ancona, in
parziale riforma della pronuncia di primo grado, rideterminava la pena in anni 1,

denaro e dei cellulari sequestrati agli imputati.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello marchigiana, Pupa, tramite il
difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
Con il primo lamenta la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, evidenziando che la Corte
di appello, pur riformando parzialmente la decisione di primo grado applicando la
più favorevole disciplina in tema di stupefacenti introdotta nel 2014, tuttavia ha
individuato la pena base per il delitto di cui all’art. 73 comma 5 del d.P.R. 309/90
in misura molto distante dal minimo edittale, sebbene le circostanze del caso
concreto non giustificassero alcun discostamento dalla pena minima e senza
comunque che fossero stati esplicitati i criteri di commisurazione della pena.
Con il secondo motivo, il ricorrente contesta l’erronea applicazione dell’art. 81
cod. pen. e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione rispetto all’aumento per la continuazione operato in primo grado in
maniera immotivata ed eccessiva, con statuizione confermata in appello.
Con il terzo motivo, infine, viene censurata la mancata concessione del beneficio
della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale,
osservandosi che, pur rimanendone distinto, l’istituto in esame presenta molti
elementi in comune con la sospensione condizionale della pena, che il primo
giudice aveva peraltro concesso all’imputato; a fronte di ciò, il diniego del
beneficio sarebbe stato operato dalla Corte con motivazione illogica e
contraddittoria e senza il necessario richiamo agli elementi ex art. 133 cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.
2. Con riferimento ai primi due motivi, che possono essere trattati in
maniera congiunta concernendo entrambi la determinazione della pena, occorre
evidenziare in primo luogo che la Corte di appello ha proceduto alla riduzione
della pena inflitta in primo grado, diminuendola da 1 anno, 8 mesi di reclusione

2

C5

mesi 2 e giorni 20 di reclusione ed C 800 di multa, revocando la confisca del

ed C 4.000 di multa, pena inflitta dal G.U.P. di Pesaro, a 1 anno, 2 mesi e 20
giorni ed C 800, in applicazione del più favorevole regime normativo introdotto
dal d.l. 20 marzo 2014 n. 36, convertito dalla legge 16 maggio 2014 n. 79.
In particolare la pena base è stata determinata nella sentenza impugnata in anni
2 di reclusione ed C 1.200 di multa (in primo grado la pena base era di anni 3 ed
C 6.000) e il discostamento dal minimo edittale è stato giustificato dalla
considerazione sia della personalità dell’imputato, gravato da un precedente per
guida in stato di ebbrezza, sia soprattutto delle modalità della condotta illecita,

2013, e consistita in una pluralità di cessioni a una molteplicità di persone di
sostanze stupefacenti tra loro diverse, tra cui anche eroina e cocaina.
Deve quindi escludersi che la Corte di appello abbia operato un generico richiamo
agli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., avendo la sentenza impugnata
fondato la propria valutazione su aspetti inerenti la specifica vicenda trattata,
attraverso un percorso argomentativo coerente e tutt’altro che irrazionale.
L’adeguatezza della motivazione sulla determinazione del minimo edittale vale
peraltro a neutralizzare l’ulteriore censura difensiva sugli aumenti fissati per la
continuazione, dovendosi richiamare al riguardo il prevalente e condiviso
orientamento di questa Corte (cfr. ex multis Sez. 2, n. 18944 del 22/03/2017
Rv. 270361, Sez. 3, n. 44931 del 02/12/2016, Rv. 271787 e Sez. 5, n. 29847
del 30/04/2015, Rv. 264551), secondo cui, in tema di determinazione della pena
nel reato continuato, non sussiste obbligo di specifica motivazione per ogni
singolo aumento, essendo sufficiente indicare le ragioni a sostegno della
quantificazione della pena-base, come appunto è avvenuto nel caso di specie.
4. Infondato è anche il terzo motivo, essendo stato fondato il diniego del
beneficio della non menzione sulla gravità del fatto, desunta dalla reiterazione
per mesi delle condotte, dal numero apprezzabile delle cessioni operate in favore
di una pluralità di acquirenti e dalla diversa tipologia delle sostanze cedute.
La motivazione della Corte territoriale, in quanto ancorata a concreti parametri di
riferimento, non appare censurabile in questa sede, avendo peraltro la stessa
difesa sottolineato il differente ambito operativo tra l’istituto della non menzione
di cui all’art. 175 cod. pen. e quello della sospensione condizionale della pena ex
art. 163 ss. cod. pen., per cui la concessione di quest’ultima, che si caratterizza
per la prognosi positiva sui futuri comportamenti dell’agente, non può essere
ritenuta contraddittoria rispetto al mancato riconoscimento del primo beneficio.
5. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve
essere quindi rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art.
616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.

3

protrattasi per un tempo non trascurabile, ovvero dall’ottobre 2012 al marzo

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15/02/2018

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