Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20407 del 26/03/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20407 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FERRARI SABRINA N. IL 14/10/1964
GENTILE ALESSIO N. IL 26/05/1991
avverso la sentenza n. 3685/2014 CORTE APPELLO di ROMA, del
11/07/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/03/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Qenerale in r_c_rsona del Dott.,7 4.- che ha concluso per C-Q- ‘u
C2z1

Udito, per la parte civile, l’Avv
At
Udit i difensor Avv.

cz›

Data Udienza: 26/03/2015

52078/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell’Il luglio 2014 la Corte d’appello di Roma ha respinto l’appello proposto
da Ferrari Sabina e Gentile Alessio avverso sentenza del 6 febbraio 2014 con cui il Tribunale di
Roma li aveva condannati alla pena di due anni e otto mesi di reclusione e C 12.000 di multa
ciascuno per il reato di cui agli articoli 110 c.p. e 73 d.p.r. 309/1990, per avere detenuto ai fini

2. Ha presentato ricorso il difensore della Ferrari, denunciando quale primo motivo vizio
motivazionale e violazione di legge quanto all’elemento soggettivo della imputata – che non
sarebbe stato sussistente – e al suo mancato contributo al reato di detenzione di stupefacenti
che sarebbe stato commesso soltanto dal figlio Gentile Alessio,; quale secondo motivo viene
addotta la violazione dell’articolo 73, quinto comma, d.p.r. 309/1990 per erronea qualificazione
del fatto contestato.
Ha presentato altresì ricorso il difensore del Gentile, che denuncia violazione di legge e vizio
motivazionale in relazione al diniego di applicazione dell’articolo 73, quinto comma, d.p.r.
309/1990.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. I ricorsi sono entrambi manifestamente infondati.
3.1 Il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse della Ferrari adduce anzitutto la
mancanza dell’elemento soggettivo del reato, sostenendo che la Ferrari non avrebbe avuto
consapevolezza della detenzione dello stupefacente da parte del figlio, né d’altronde sussisteva
una posizione di garanzia a suo carico per cui avrebbe dovuto impedire il verificarsi di tale
evento. Inoltre poiché il concorso ex articolo 110 c.p. esige un contributo causale, anche se
minimo, che faciliti la condotta delittuosa, esso non ricorrerebbe nel caso di specie, poiché vi
sarebbe stato tutt’al più un comportamento omissivo di mancata opposizione alla detenzione in
casa di stupefacente da parte di una persona legata all’imputata da stretti vincoli affettivi come
appunto il figlio. Dunque alla Ferrari sarebbe addebitabile soltanto una connivenza non
punibile.
La doglianza è evidentemente fattuale, e corrisponde ad analoga doglianza già proposta
nell’atto d’appello, nella quale si escludeva qualunque coinvolgimento della Ferrari nella
detenzione della sostanza stupefacente nell’appartamento, e in relazione alla quale la corte
territoriale ha fornito una specifica confutazione, supportata da una motivazione del tutt

di spaccio g. 140,46 lordi di cocaina.

congrua ed esente da manifeste illogicità. Osserva infatti la corte che dal compendio probatorio
emerge l’utilizzo dell’appartamento come una vera e propria centrale logistica dell’attività di
spaccio, con diffusa presenza all’interno dell’abitazione di sostanza stupefacente, denaro,
sostanza da taglio, appunti con nomi e cifre, e che la versione difensiva prospettata dalle
dichiarazioni di entrambi gli imputati – per cui lo stupefacente sarebbe stato portato in casa dal
Gentile la notte precedente alla perquisizione senza informare la madre bensì approfittando del
fatto che ella dormiva – confligge con vari elementi raccolti (come il fatto che sotto il

400, il fatto che davanti al suo letto, su un comò, vi fosse una scatola con C 3500, la presenza
di stupefacente e sostanza da taglio in plurimi luoghi dell’abitazione) e dovendosi pertanto
logicamente ritenere che le dichiarazioni del Gentile — incensurato – fossero dirette a
“scagionare la madre pluripregiudicata e rea di avere reiterato la condotta delittuosa pur
trovandosi in regime di arresti donniciliari” (motivazione, pagine 4 ss.).
Il motivo, dunque, risulta privo di pregio.
3.2 n secondo motivo prospetta che erroneo sia stato, alla luce del nuovo quadro normativo
emerso sia dalla novellazione di cui al d.l. 20 marzo 2014 n. 36, convertito in I. 16 maggio
2014 n. 79, sia dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014, omettere di
riqualificare il fatto contestato come riconducibile al quinto comma dell’articolo 73 d.p.r.
309/1990, poiché tale ipotesi autonoma non sarebbe esclusa in modo assoluto dal dato
ponderale di 304 dosi.
È il caso di ricordare che l’articolo 73, quinto comma, d.p.r. 309/1990 dapprima è stato
trasformato da attenuante ad effetto speciale in reato autonomo dall’articolo 2, comma 1,
lettera a), d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con modificazioni nella legge 21 febbraio
2014, n. 10 (cfr. Cass. sez.VI, 26 marzo 2014 n. 14288; Cass. sez.IV, 5 marzo 2014 n. 10514;
Cass. sez.IV, 28 febbraio 2014 n. 13903; Cass. sez.IV, 28 febbraio 2014 n. 10514; Cass.
sez.IV, 17 febbraio 2014 n. 7363; Cass. sez.IV, 29 gennaio 2014 n. 15020; Cass. sez.VI, 16
gennaio 2014 n. 5143), con rideterminazione della forbice edittale da uno a cinque anni di
reclusione e da C 3000 a C 26.000 di multa; il successivo intervento legislativo – posteriore alla
sentenza 32/2014 della Corte Costituzionale, che peraltro non aveva inciso sul quinto comma
dell’articolo 73 (cfr., oltre alla giurisprudenza appena richiamata, Cass. sez.IV, 24 aprile 2014
n. 20225) – rappresentato dall’articolo 1, comma 24 ter, d.l. 20 marzo 2014 n. 36, convertito
con modificazioni nella I. 16 maggio 2014 n. 79, ne ha ulteriormente mitigato la pena (da sei
mesi a quattro anni di reclusione e da C 1032 a C 10.329 di multa).
La sentenza d’appello in questa sede impugnata è stata pronunciata in epoca posteriore al
complessivo restyling del quinto comma dell’articolo 73 (1’11 luglio 2014), e dunque ne è ben
consapevole. La corte territoriale esclude che il fatto contestato sia qualificabile come di lieve
entità dal momento che, allo scopo, occorre “procedere a una valutazione complessiva di tutte
le componenti del fatto in rapporto agli elementi indicati nella norma”, conformemente alla
giurisprudenza di legittimità sviluppatasi sul previgente testo che contemplava una attenuante

materasso della Ferrari erano stati trovati appunti di nomi e di cifre nonché banconote per C

con effetto speciale, e pertanto ritenuto che qualità e quantità delle sostanze fossero nel caso
di specie ostative alla riconoscibilità dell’ipotesi attenuata, “trattandosi della detenzione di
quasi un etto e mezzo di sostanza stupefacente tipo cocaina corrispondente, in base al grado di
purezza…, a 304 dosi singole ad effetto stupefacente”.
L’impostazione interpretativa adottata dalla corte territoriale è indubbiamente conforme alla
giurisprudenza di legittimità anteriore allo jus novum in questione (v. p. es. Cass. sez. IV, 22
dicembre 2011-20 febbraio 2012 n. 6732:

“In tema di sostanze stupefacenti, ai fini della

concedibilità o del diniego della circostanza attenuante del fatto di lieve entità di cui all’art. 73,

elementi normativamente indicati, quindi, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e
circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e
qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo
conseguentemente escludere il riconoscimento dell’attenuante quando anche uno solo di questi
elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di ‘lieve entità.”; sulla
stessa linea Cass. sez. VI, 19 settembre 2013 n. 39977, Cass. sez. IV, 12 novembre 2010 n.
43399, S.U. 24 giugno 2010 n. 35737 e Cass. sez. IV, 29 settembre 2005 n. 38879) ed è stata
confermata – condivisibilmente, poiché la novellazione, come sopra si è visto, ha inciso sulla
qualifica di fattispecie autonoma anziché attenuante e sul trattamento sanzionatorio, ma non
sulla identificazione del presupposto fattuale – anche dopo che il quinto comma dell’articolo 73
è divenuto una fattispecie autonoma (Cass. sez.III, 19 marzo 2014 n. 27064:

“In tema di

stupefacenti, la fattispecie del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. n.
309 del 1990, anche all’esito della formulazione normativa introdotta dall’art. 2 del D.L. n. 146
del 2013 (conv. in legge n. 10 del 2014), può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima
offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli
altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze
dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti
negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio.”).
Non apportando il motivo in esame alcun elemento adeguato a contrastare concretamente e
logicamente la suddetta impostazione fondata sulla complessiva percezione della condotta
criminosa, il motivo stesso è da considerarsi, quindi, destituito di ogni fondamento.
In conclusione, manifestamente infondato risulta il ricorso proposto nell’interesse della
Ferrari.
4. Il ricorso proposto nell’interesse del Gentile verte anch’esso sulla tematica appena
esaminata a proposito del secondo motivo del ricorso Ferrari, adducendo che è stata rinnovata
profondamente la disciplina del fatto di lieve entità e che la sentenza impugnata, nel ritenerla
non configurabile, sarebbe “incorsa in una evidente illogicità motivazionale” per avere,
nonostante la lacuna motivazionale che affliggerebbe al riguardo la prima sentenza e che
avrebbe compromesso l’esercizio del diritto di difesa del Gentile, ritenuto di condividere
l’esclusione del quinto comma dell’articolo 73 operata dal giudice di prime cure. In concreto

comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990, il giudice è tenuto a valutare complessivamente tutti gli

peraltro, non è dato comprendere dalle argomentazioni che costituiscono il motivo in esame
quale sarebbe stata la lesione al diritto di difesa dell’imputato derivante dalla pretesa
mancanza di motivazione della sentenza di primo grado che la motivazione della Corte
d’appello non avrebbe potuto sanare, e quindi non avrebbe in effetti sanato, con la sua
motivazione. La corte territoriale, invero, ha esaminato attraverso una motivazione nella quale
non sono riscontrabili passaggi illogici la questione dell’applicabilità del quinto comma sia in
riferimento al primo motivo del appello proposto nell’interesse del Gentile sia in riferimento al

punto di diritto – come si è evidenziato più sopra a proposito del ricorso Ferrari – e
successivamente, dopo avere chiarito la corretta interpretazione della norma, in punto di fatto
– evidenziando che trattavasi di un etto e mezzo di cocaina da cui potevano ricavarsi 304 dosi
singole -. Richiamando, quindi, quanto sopra esposto proposito dell’ulteriore ricorso, deve
concludersi per la manifesta infondatezza anche del ricorso presentato nell’interesse del
Gentile.
In conclusione, ogni ricorso deve essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza,
con conseguente condanna di ogni ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle
spese del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte
costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di
ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità”, si dispone che ogni ricorrente versi la somma, determinata in via
equitativa, di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
della somma di €1000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 26 marzo 2015

Il Consigliere Esten re

Il Presidente

secondo motivo del appello proposto nell’interesse della Ferrari, motivando adeguatamente in

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