Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20406 del 23/01/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20406 Anno 2018
Presidente: ANDREAZZA GASTONE
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Liberali Pier Felice, nato a Pavia il 11/7/1959
avverso la sentenza del 9/5/2017 della Corte d’appello di Milano
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Liberati;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Gianluigi Pratola, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 9 maggio 2017 la Corte d’appello di Milano,
provvedendo sulla impugnazione dell’imputato nei confronti della sentenza del
13 maggio 2016 del Tribunale di Pavia, con cui Pier Felice Liberali era stato
condannato alla pena di due anni di reclusione, in relazione a plurime violazioni
dell’art. 2 d.lgs. 74/2000 (commesse quale titolare della propria impresa
individuale in relazione agli anni di imposta 2007, 2008, 2009, 2010 e 2011), ha
dichiarato non doversi procedere limitatamente alle dichiarazioni relative agli
anni di imposta 2007 e 2008, per essere estinti per prescrizione i relativi reati, e
ha rideterminato in un anno e sei di mesi di reclusione la pena inflitta
all’imputato, confermando nel resto la sentenza impugnata.

Data Udienza: 23/01/2018

2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione,
affidato a due motivi, qui enunciati nei limiti strettamente necessari ai fini della
motivazione.
2.1. Con un primo motivo ha denunciato violazioni di legge processuale e
vizi della motivazione.
Ha lamentato l’insufficienza e l’illogicità manifesta della motivazione, nella
parte relativa alla conferma della sua responsabilità in relazione alle dichiarazioni
fiscali relative agli anni di imposta 2009, 2010 e 2011, non essendo sufficienti gli
elementi acquisiti per poter addivenire a tale conferma, anche in considerazione

del rilievo, compiuto dalla stessa Corte d’appello, della inutilizzabilità delle
dichiarazioni dei testimoni Colombo e Valdonio (legali rappresentanti di due delle
emittenti le fatture ritenute relative a operazioni inesistenti), in quanto non
confermate nel corso del dibattimento. Le altre dichiarazioni testimoniali
considerate dalla Corte d’appello, del Maresciallo Cannpagnuolo e di Diego Freddi
(acquisite ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen.), non potevano, poi, dirsi
sufficienti al fine dell’accertamento dei fatti contestati, in quanto il primo si era
limitato a riferire della attività di indagine svolta, nel corso della quale non erano
state compiute le necessarie approfondite verifiche presso le emittenti le fatture
giudicate relative a operazioni inesistenti; il secondo non era stato esaminato a
causa della sua irreperibilità, con la conseguente necessità di un particolare
vaglio critico delle sue dichiarazioni, che era, invece, stato omesso dalla Corte
d’appello.
Ha, inoltre, denunciato l’indebito utilizzo di atti di indagine relativi ad altri
procedimenti, non acquisiti nelle forme stabilite dall’art. 238 cod. proc. pen., e
dunque inutilizzabili, e ha lamentato l’omessa considerazione della ampia
collaborazione fornita nel corso delle indagini, anche a proposito dei rapporti
intercorsi con le emittenti le fatture utilizzate nelle dichiarazioni fiscali e le
modalità del loro pagamento, ribadendo l’insufficienza dell’accertamento della
fittizietà delle operazioni di cui alle fatture utilizzate nelle proprie dichiarazioni
fiscali, compiuto omettendo di tenere conto che al momento di tale accertamento
alcuni soggetti emittenti avevano cessato l’attività.
2.2. Con un secondo motivo ha lamentato violazione di legge penale e
ulteriore carenza della motivazione, in riferimento alla misura della pena, sia
perché il reato doveva considerarsi unico in relazione a ciascuna dichiarazione,
anche se commesso mediante l’utilizzo di più fatture relative a operazioni
inesistenti, con la conseguente improprietà degli aumenti disposti per la
continuazione; sia per il mancato giudizio di prevalenza delle circostanze
attenuanti generiche sulle circostanze aggravanti contestate, benché richiesto
anche dal pubblico ministero nelle sue conclusioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, pressoché riproduttivo dell’atto d’appello, è inammissibile

2.

Mediante il primo motivo il ricorrente, pur prospettando, peraltro

genericamente e senza un autentico confronto critico con la motivazione della
sentenza impugnata, violazioni di legge e vizi della motivazione, censura, in
realtà, l’accertamento di fatto compiuto concordemente dai giudici di merito,
circa la fittizietà delle operazioni di cui alle fatture utilizzate dall’imputato nelle

una doglianza non consentita nel giudizio di legittimità.
Alla Corte di cassazione è preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la
propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti
gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua
cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argonnentativo che la sorregge
ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez.
U., n. 12 del 31/05/2000, 3akani, Rv. 216260; Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011,
Tosto, Rv. 250362). Resta, dunque, esclusa, pur dopo la modifica dell’art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen. la possibilità di una nuova valutazione delle
risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito,
attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o
una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o
comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015,
G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M.,
non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6,
n. 25255 del 14/02/2012, Mnervini, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 in data
11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Inoltre, è opportuno ribadire che il ricorso per cassazione fondato sugli stessi
motivi proposti in sede di impugnazione e motivatamente respinti da parte del
giudice del gravame deve ritenersi inammissibile, sia per l’insindacabilità delle
valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la
genericità delle doglianze che, solo apparentemente, denunciano un errore logico
o giuridico determinato (in termini v. Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo e
altri, Rv. 260608; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altro, Rv. 243838;
Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Giagnorio, Rv. 231708).
Nel caso in esame la Corte d’appello, nel disattendere le censure
dell’imputato, sostanzialmente riprodotte mediante il ricorso per cassazione, ha
ribadito la rilevanza e la concludenza degli elementi indiziari posti a fondamento
dell’accertamento della inesistenza delle operazioni di cui alle fatture utilizzate
dall’imputato nelle sue dichiarazioni fiscali degli anni 2009, 2010 e 2011,

sue dichiarazioni fiscali degli anni 2009, 2010 e 2011, proponendo, in tal modo,

consistenti nella accertata non operatività dei soggetti emittenti (risultati privi di
dipendenti e di beni strumentali e con sedi fittizie, evasori totali e con
dichiarazioni di volumi d’affari ritenuti irrisori), nelle dichiarazioni rese da Diego
Freddi (che nel corso delle indagini preliminari aveva dichiarato di essere
dipendente della S.r.l. United Business, riconducibile all’imputato, e di aver
operato come grafico, assemblando fotografie acquisite da operatori
specializzati, apponendo il logo della S.a.s. Zero Promotions, della S.r.l. Koha e
della S.r.l. Over Gear, onde renderne l’apparenza della attività, allo scopo di far
ritenere che le fatture dalle stesse emesse fossero riferibili a società attive) e

A fronte di tale accertamento, che risulta coerente con gli elementi a
disposizione e logico, in quanto fondato su consolidate massime di esperienza, il
tprzpure prospetta in modo generico violazioni di legge e vizi della motivazione,
ma propone, in realtà, una rivalutazione degli elementi a disposizione, onde
sentir affermare l’insussistenza dei fatti, non consentita nel giudizio di legittimità,
con la conseguente inammissibilità dalla censura
2. Il secondo motivo, peraltro anch’esso privo di specificità intrinseca e del
necessario confronto con la motivazione della sentenza impugnata, è
manifestamente infondato.
Va premesso che correttamente la Corte d’appello ha rettificato l’errore
materiale contenuto nel dispositivo della sentenza di primo grado, nel quale la
pena complessiva inflitta all’imputato era stata erroneamente indicata in un anno
di reclusione, in quanto, come evidenziato dalla Corte d’appello e come risulta
dagli atti, nel dispositivo letto in udienza (che ha la prevalenza, in quanto
costituisce il mezzo con il quale è immediatamente estrinsecata la volontà del
giudice) era stata indicata tale pena, cosicché l’indicazione di quella diversa di un
anno di reclusione nel dispositivo del sentenza è stato, correttamente, ritenuto
riconducibile a un errore materiale, emendato dalla Corte d’appello.
Ciò premesso deve rilevarsi la manifesta infondatezza delle doglianze del
ricorrente, in quanto non vi era luogo ad alcun giudizio di bilanciamento tra le
circostanze attenuanti generiche e circostanze aggravanti, non essendone stata
contestata alcuna, ed essendo stati operati aumenti di pena per la continuazione
solamente in relazione alle annualità 2010 e 2011, essendo stato ritenuto più
grave il reato relativo alla annualità 2009, ma non anche per condotte relative a
ciascuna annualità, cosicché le doglianze del ricorrente sul punto risultano del
tutto prive di fondamento.

nella mancata dimostrazione del pagamento di dette fatture.

4. Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile, stante la
genericità e il contenuto non consentito del primo motivo e la manifesta
infondatezza del secondo motivo.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod.
proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente
(Corte Cost. sentenza 7 – 13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del
procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle
Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 23/1/2018

misura di euro 2.000,00.

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