Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20405 del 26/03/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20405 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MELOTTO GIUSEPPE N. IL 14/01/1935
avverso la sentenza n. 3/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del
01/04/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/03/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott
che ha concluso per Q r
QiiT

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 26/03/2015

38866/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del l’aprile 2014 la Corte d’appello di Milano ha respinto l’appello proposto
da Melotto Vincenzo avverso sentenza del 3 luglio 2013 con cui il Tribunale di Monza, sezione
distaccata di Desio, l’aveva condannato alla pena di tre mesi e quattordici giorni di reclusione e
C 340 di multa per il reato di cui agli articoli 81 cpv. c.p. e 2 I. 638/1983 per avere omesso di

settembre 2007 al gennaio 2008, per un totale di C 9477.
2. Ha presentato ricorso l’imputato, adducendo vizio motivazionale della sentenza impugnata
derivante da una omessa o errata valutazione delle argomentazioni difensive.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Nell’unico motivo il ricorrente lamenta, ex articolo 606, primo comma, lettera e), c.p.p., la
mancanza o manifesta illogicità della motivazione per omessa o errata valutazione delle
argomentazioni difensive, non avendo il giudice d’appello considerato il fatto che il giudice di
primo grado avrebbe dovuto accertare che l’imputato avesse effettivamente retribuito i
lavoratori, laddove l’imputato stesso aveva dichiarato che, dal mese di settembre 2007, a
causa di mancati pagamenti da parte dei clienti, non aveva più pagato gli stipendi ai suoi
dipendenti e i modelli DM 10 erano stati erroneamente trasmessi dal commercialista, che egli
non aveva tempestivamente avvisato.
Il motivo, come si evince agevolmente dalla sintesi appena tracciata, ha in realtà un
contenuto fattuale, in quanto contesta l’esistenza della prova del reato e in particolare adduce
che i modelli DM 10 erano stati spediti in conseguenza di un disguido, mentre i lavoratori non
venivano effettivamente retribuiti. D’altronde, esso ripropone un’analoga doglianza addotta
davanti al giudice d’appello, il quale l’ha confutata con una motivazione congrua ed esente da
manifeste illogicità, in particolare osservando che la pretesa erronea trasmissione da parte del
commercialista dei modelli all’Inps come frutto di un mancato avviso al commercialista da
parte dell’imputato costituiva “un’allegazione generica e priva di riscontri”, inidonea ad
oltrepassare il significato della prova documentale dei modelli DM 10 “da parte di chi agiva per
conto dell’imprenditore”, essendo del resto “arduo ipotizzare che il professionista abbia svolto il
suo mandato in assenza di una effettiva attività di impresa dell’imputato, per di più disponendo
di dati irreali”. Consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, peraltro, qualifica come

versare all’Inps le ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei suoi dipendenti dal

sufficiente a dimostrare il reato di cui si tratta la trasmissione dei modelli DM 10 (v. Cass. sez.
III, 10 aprile 2013 n. 37145, per cui

“in tema di omesso versamento delle ritenute

previdenziali ed assistenziali, gli appositi modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai
dipendenti e gli obblighi contributivi verso l’istituto previdenziale (cosiddetti modelli DM 10),
hanno natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro e la loro presentazione
equivale all’attestazione di aver corrisposto le retribuzioni in relazione alle quali è stato omesso
il versamento dei contributi”;

sempre tra i più recenti arresti, v. pure Cass. sez. III, 5

ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro, l’onere incombente sul
pubblico ministero di dimostrare l’avvenuta corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori
dipendenti è assolto con la produzione del modello DM 10, con la conseguenza che grava
sull’imputato il compito di provare, in difformità dalla situazione rappresentata nelle denunce
retributive inoltrate, l’assenza del materiale esborso delle somme”; cfr. inoltre Cass. sez. III, 2
dicembre 2009 n. 46451), salvo, in corrispqndenza con i principi generali che limitano
tassativamente le prove legali – e prova legale il modello DM 10 ovviamente non è – che non
siano emersi elementi probatori contrari atti a smentire l’avvenuta corresponsione delle
retribuzioni (Cass. sez. III, 15 luglio 2014 n. 37330): e tali elementi contrari, come si è appena
visto, la corte territoriale, attraverso una motivazione adeguata e non affetta da alcun vizio, ha
escluso siano sussistenti nel caso di specie.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza,
con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese
del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale
emessa in data 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il
ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di
Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di €1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 26 marzo 2015

Il Consigliere Este or

Il Presidente

dicembre 2013-19 febbraio 2014 n. 7772, per cui “in materia di omesso versamento delle

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