Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20402 del 26/03/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20402 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAPUTO LUIGI N. IL 22/09/1968
avverso la sentenza n. 779/2009 TRIBUNALE di NAPOLI, del
17/05/2010
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/03/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 2′ .
chela concluso per
11A- C.C2,

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 26/03/2015

30333/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 17 maggio 2010 il Tribunale di Napoli ha condannato Caputo Luigi alla
pena di € 2000 di ammenda per il reato di cui agli articoli 5, comma 1, lettera d), e 6 I.
283/1962 per avere, in qualità di legale rappresentante della Panificio Caputo di Caputo Luigi &
C. s.a.s., fornito per la refezione a un circolo didattico un panino annerito per sporcizia

2. Ha presentato appello, poi convertito in ricorso, il difensore, chiedendo l’assoluzione
previa eventuale rinnovazione della istruttoria per la verifica del reperto sequestrato e per una
perizia su di esso, e in subordine poi chiedendo la riduzione della pena al minimo edittale, con
concessione delle attenuanti generiche e dei benefici di legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato.
La doglianza che viene proposta in tesi è chiaramente propria di un atto d’appello, e non
compatibile con un ricorso dinanzi al giudice di legittimità, in quanto lamenta una pretesa
insufficienza della prova del reato – con particolare riguardo a un preteso “vero e proprio atto
di fede nei confronti di quanto riferito dal funzionario Asl” da parte del Tribunale – e quindi,
sulla base di argomenti fattuali, chiede l’assoluzione dell’imputato, previa la valutazione della
“opportunità di rinnovare l’istruttoria dibattimentale al fine di consentire l’esibizione del
reperto, per verificarne la provenienza attraverso l’etichettatura e la sua eventuale
sottoposizione a perizia per controllarne le modalità di apertura ed il tipo di insudiciamento”. Si
tratta, pertanto, di una censura inammissibile in sede di legittimità.
In subordine alla precedente, si adduce che la pena irrogata sarebbe “eccessivamente
severa” e che la personalità dell’imputato, la sua condizione socioeconomica e la sua
incensuratezza, unitamente a una equa valutazione dei criteri di cui all’articolo 133 c.p.,
consentirebbero “il contenimento della pena nel minimo edittale previa concessione delle
attenuanti generiche nella massima espansione” con i benefici di legge. Si tratta ancora di una
valutazione che spetta al giudice di merito, richiesta, inoltre, su una base del tutto generica,
non avendo il ricorrente aggiunto alcunché a quanto appena riportato, e quindi non avendo
specificato perché la personalità dell’imputato e la sua condizione economica, a tacer d’altro,
condurrebbero ad una pena più lieve. Per di più, si nota ad abundantiam, dalla sentenza risulta

dell’impasto interno.

che le attenuanti generiche sono state concesse con diminuzione di un terzo della pena base e
che è stata sospesa la pena. Anche questa censura, dunque, è priva di ogni pregio.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, il
che impedisce la formazione di un valido rapporto processuale di impugnazione ad ogni effetto
– in particolare, la presenza di cause di non punibilità ex articolo 129 c.p.p. non è valutabile
qualora non sia stato instaurato validamente un ulteriore grado di cognizione, come insegna la
giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte (S.U. 22 novembre 2000 n. 32, De Luca);

che il ricorso sia idoneo a introdurre un nuovo grado di giudizio, cioè non risulti affetto da
inammissibilità originaria come invece si è verificato nel caso de quo (ex multis v. pure S.U. 11
novembre 1994-11 febbraio 1995 n.21, Cresci; S.U. 3 novembre 1998 n. 11493, Verga; S.U.
22 giugno 2005 n. 23428, Bracale; Cass. sez. III, 10 novembre 2009 n. 42839, Imperato
Franca) -, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento
delle spese del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte
costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di
ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via
equitativa, di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di C1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 26 marzo 2015

Il Presidente

e quindi, pure l’estinzione del reato per prescrizione è rilevabile anche d’ufficio a condizione

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