Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20401 del 26/03/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20401 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FILIPPI FRANCA N. IL 20/03/1935
GIULIANI ANGIOLO N. IL 05/11/1954
avverso la sentenza n. 2795/2010 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
28/10/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/03/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Generale in p rsona del Dot1,2Z
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

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Data Udienza: 26/03/2015


• 28726/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 28 ottobre 2013 la Corte d’appello di Firenze, a seguito di appello
proposto da Filippi Franca e Giuliani Angiolo avverso sentenza del 28 settembre 2009 con cui il
Tribunale di Livorno li aveva condannati ciascuno alla pena di 15 giorni di arresto (convertiti in
pena pecuniaria) e C 8000 di ammenda per il reato di cui all’articolo 44, primo comma, lettera

confermando il resto.
2. Ha presentato ricorso il difensore della Filippi, sulla base di quattro motivi: il primo
denuncia carenza di motivazione sulla assunta inattendibilità delle testimonianze richiamate
nell’atto d’appello; il secondo denuncia illogicità delle “ragioni aggiuntive” che il giudice
d’appello avrebbe inserito a supporto della sentenza di primo grado; il terzo denuncia
violazione degli articoli 157 ss. c.p. e 531 c.p.p. nonchè vizio motivazionale in relazione alla
mancata dichiarazione di estinzione del reato per maturata prescrizione; il quarto, infine,
denuncia violazione degli articoli 477 e 598 c.p.p., 111 Cost. e 6 CEDU quanto alla durata del
rinvio di udienza a seguito di adesione ad astensione OUA del difensore del coimputato durante
il giudizio di appello.
Ha presentato altresì ricorso il difensore del Giuliani, adducendo tre motivi coincidenti con i
primi tre del ricorso del difensore della Filippi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. I primi tre motivi del ricorso Filippi coincidono con i motivi del ricorso Giuliani per cui
possono essere accorpati nel vaglio.
3.1 Il primo motivo, dunque, lamenta mancanza di motivazione sulle ragioni per cui “non
sono state ritenute attendibili le testimonianze richiamate nell’atto d’appello” riguardo la
provvisorietà o stabilità delle tensostrutture – dal momento che la loro provvisorietà non
avrebbe necessitato il permesso di costruire, conducendo così alla assoluzione -. Secondo il
motivo, la precarietà della struttura sarebbe stata dimostrata dalle testimonianze di Begni e
Marianucci – testi del PM – nonché dal teste di difesa Ruggero.
La doglianza non trova riscontro nella motivazione della sentenza d’appello, perché questa,
dopo avere rilevato che sulla precarietà delle opere “del tutto condivisibili appaiono le
argomentazioni svolte dal Giudice di primo grado, che vanno dunque integralmente
confermate”, aggiunge che “la stabilità dell’esigenza cui le due strutture assolvevano

b), d.p.r. 380/2001, revocava il beneficio della sospensione condizionale della pena alla Filippi,

confermata dal fatto che alla data di svolgimento dell’udienza istruttoria dibattimentale (28.9.
2009) esse erano ancora presenti e, secondo quanto riferito dal teste Marianucci, ancora si era
in attesa dei permessi per costruire la struttura muraria sostitutiva”; inoltre evidenzia la corte
territoriale che la presentazione di richiesta di sanatoria per tali strutture in data 30 ottobre
2009 “suffraga ulteriormente l’ipotesi che si trattasse di opere destinate a durare per un
periodo indeterminato per soddisfare esigenze stabili dell’impresa (inerenti lo stoccaggio della
merce)”, sottolineando infine che “lo stesso UPG che ha eseguito l’accertamento ha riferito che
le due tensostrutture erano poggiate su binari appositamente installati sul terreno e il teste

Marianucci ha precisato che i binari erano stati realizzati su lastre di cemento quarzato, che,
ovviamente, restano presenti anche qualora la tensostruttura venga richiusa”.
La corte territoriale, quindi, ha adempiuto al suo obbligo motivazionale di risposta alla
doglianza d’appello, con una motivazione che non può definirsi apparente.
Inoltre, anche per l’espresso richiamo alla motivazione della sentenza di primo grado, la
motivazione della sentenza impugnata, che è stata pronunciata sulla base di criteri valutativi
omogenei, giova della integrazione con la sentenza di primo grado, costituendo rispetto a essa
una doppia conforme (sul noto principio della integrazione reciproca che connette l’apparato
motivativo delle pronunce c.d. doppie conformi qualora siano stati adottati, come nel caso di
specie, criteri valutativi omogenei v. Cass. sez. III, 16 luglio 2013 n.44418; Cass. sez. III, 1
dicembre 2011-12 aprile 2012 n. 13926; Cass. sez. II, 10 gennaio 2007 n. 5606; Cass. sez.
III, 1 febbraio 2002, n. 10163; Cass. sez. I, 20 giugno 2000 n. 8868). E il Tribunale di Livorno
aveva fornito una motivazione del tutto adeguata sulla non provvisorietà delle strutture in
questione, rilevando che il teste Marianucci – responsabile della sicurezza sul lavoro della So.
Se. Ma Srl, di cui la Filippi era legale rappresentante, società alla quale erano state vendute e
montate le strutture dalla Simi Srl, di cui il Giuliani era legale rappresentante – aveva
“dichiarato che i due capannoni in questione servivano a proteggere il materiale stoccato dalla
polvere e dagli agenti atmosferici, in attesa che venisse costruito per le medesime funzioni un
manufatto in muratura, per la cui realizzazione era stato avviato il necessario procedimento
amministrativo”, precisando che le strutture venivano periodicamente “aperte per svolgervi
attività di movimentazione merci e di pulizia”; e infatti al loro interno – dotato di energia
elettrica – erano stoccate merci per forniture navali, come aveva dichiarato il teste Begni,
agente della Polizia Municipale di Livorno, che aveva in un sopralluogo del gennaio 2008
rinvenuto le strutture sul piazzale antistante la sede della So. Se. Ma Srl, la quale si occupa di
stoccaggio dei materiali per forniture navali.
Del tutto correttamente, infine, il primo giudice – nelle sue valutazioni espressamente
condivise dal secondo – ha richiamato la giurisprudenza di questa Suprema Corte per cui
necessitano di permesso di costruire non solo i manufatti murari, “ma anche le opere di ogni
genere con le quali si intervenga sul suolo e nel suolo, indipendentemente dal mezzo tecnico

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con il quale è stata assicurata la stabilità del manufatto, che può anche essere soltanto infisso
o appoggiato al suolo, atteso che la stabilità non va confusa con la non rimovibilità della
struttura o con la perpetuità della funzione ad essa assegnata, estrinsecandosi nella oggettiva
destinazione dell’opera a soddisfare bisogni non provvisori” (così Cass. sez. III, 22 marzo 2005
n. 14044, invocata dal Tribunale; del tutto consolidato è peraltro l’insegnamento nonnofilattico
sulla irrilevanza delle caratteristiche costruttive del manufatto ai fini del permesso di costruire,
incidendo invece le esigenze cui è finalizzata l’opera: oltre alla pronuncia già citata, v. Cass.

37572; Cass. sez. III, 25 febbraio 2009 n. 22054; Cass. sez. III, 3 giugno 2004 n. 37992;
Cass. sez. III, 4 aprile 2003 n. 24898): bisogni che, aveva rilevato il giudice di prime cure, nel
caso in esame non erano provvisori, trattandosi “di strutture permanentemente presenti sul
suolo e solo occasionalmente e temporaneamente aperte per lo svolgimento di operazioni di
movimentazione merci e di pulizia, ma soprattutto costituendo la loro programmata
sostituzione con strutture in muratura evento del tutto futuro e incerto, quanto meno sotto il
profilo dei tempi di realizzazione”.
Non rientrando, infine, nella cognizione del giudice di legittimità la valutazione del contenuto
delle dichiarazioni dei testimoni – come pare, altresì,4itammissibilmente richiedere il motivo in
esame – la censura risulta, in ultima analisi, manifestamente infondata.
3.2 II secondo motivo denuncia manifesta illogicità di quelle che vengono definite le “ragioni
aggiuntive” di cui si sarebbe avvalso il giudice d’appello. Vengono censurati in tal modo alcuni
rilievi del giudice d’appello: il fatto che le strutture erano ancora presenti alla data di
svolgimento dell’udienza istruttoria dibattimentale – che secondo i ricorrenti sarebbe “del tutto
normale” non essendovi certamente alcun obbligo di “ripristinare la situazione quo ante prima
di sentire affermata l’illiceità penale della condotta contestata” -; il fatto che sia stata richiesta
una sanatoria – perché la richiesta non vi sarebbe stata e comunque non avrebbe riscontrato le
ragioni utilizzate dalla sentenza di primo grado -; l’avere ritenuto la corte territoriale che i
binari sarebbero rimasti anche qualora le strutture fossero chiuse.
Visto quanto osservato a proposito il precedente motivo, quello in esame si impernia su
elementi secondari che – a prescindere dalla sussistenza o meno di manifesta illogicità negli
stessi – non hanno alcuna incidenza sugli elementi decisivi presenti nella motivazione che
esterna l’accertamento della destinazione non provvisoria delle strutture de quibus: la quale,
infatti, come si è appena illustrato, si fonda su dati ben diversi e in nessun modo inficiabili
dalle suddette considerazioni. Il motivo quindi è privo di consistenza.
3.3 II terzo motivo adduce la maturata prescrizione del reato quando fu pronunciata la
sentenza di secondo grado perché il relativo termine decorrerebbe dal 18 settembre 2007, dal
momento che agli atti vi sarebbe prova di ciò e la circostanza sarebbe stata confermata dallo
stesso giudice d’appello.

sez. III, 26 novembre 2014-15 gennaio 2015 n. 966; Cass. sez. III, 14 maggio 2013 n.

L’accertamento del dies a quo del termine prescrizionale interpretando gli elementi probatori
agli atti costituisce un accertamento di fatto, non rientrando quindi nell’ambito della cognizione
del giudice di legittimità la verifica delle asserite prove che l’opera sarebbe stata ultimata,
come adduce il motivo in esame, il 18 settembre 2007; né può sostenersi che il giudice
d’appello abbia riconosciuto il 18 settembre 2007 come dies a quo laddove – come prospettano
i ricorrenti – nega una rinnovazione parziale dell’istruttoria dibattimentale. In tale passo,
infatti, il giudice d’appello conferma la prova che le strutture siano state montate dalla società
di cui l’imputato Giuliani era il legale rappresentante – a fronte di una prospettazione difensiva
nel senso che detta società si sarebbe limitata solo a fornirle – senza dichiarare che il
montaggio avvenne, appunto, il 18 settembre 2007. Ben più significativo, semmai, sarebbe il
riferimento che il giudice d’appello fa alla fattura emessa dalla società del Giuliani il 30
settembre 2007: il termine prescrizionale giungerebbe a maturazione, allora, al 30 settembre
2012, dovendosi peraltro aggiungere, come riconoscono i ricorrenti, la sospensione di un anno,
un mese e nove giorni (dall’udienza del 23 marzo 2012 all’udienza del 2 maggio 2013), così
pervenendosi, chiaramente, a una maturazione posteriore alla data della sentenza di secondo
grado (28 ottobre 2013). In conclusione, anche questo motivo risulta privo di alcun pregio.
3.4 La manifesta infondatezza di tutti i motivi del ricorso Giuliani ne comporta la dichiarazione
di inammissibilità, il che impedisce la formazione di un valido rapporto processuale di
impugnazione ad ogni effetto – in particolare, la presenza di cause di non punibilità ex articolo
129 c.p.p. non è valutabile qualora non sia stato instaurato validamente un ulteriore grado di
cognizione, come insegna la giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte (S.U. 22
novembre 2000 n. 32, De Luca); e quindi, pure l’estinzione del reato per prescrizione è
rilevabile (anche d’ufficio) a condizione che il ricorso sia idoneo a introdurre un nuovo grado di
giudizio, cioè non risulti affetto da inammissibilità originaria come invece si è verificato nel
caso de quo (ex multis v. pure S.U. 11 novembre 1994-11 febbraio 1995 n.21, Cresci; S.U. 3
novembre 1998 n. 11493, Verga; S.U. 22 giugno 2005 n. 23428, Bracale; Cass. sez. III, 10
novembre 2009 n. 42839, Imperato Franca) -, con conseguente condanna del ricorrente, ai
sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000,
n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che *il ricorso sia stato presentato senza
“versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il
ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1000,00 in favore della Cassa
delle ammende.
4.1 Per quanto concerne, infine, il quarto motivo del ricorso Filippi, questo si impernia sulla
pretesa violazione di legge che sarebbe stata commessa dalla corte territoriale rinviando
l’udienza dal 23 marzo 2012 al 2 maggio 2013 a seguito di adesione alla astensione indetta
dall’OUA per i giorni dal 15 al 23 marzo 2012.
Ammette il ricorrente che il difensore della Filippi, “pur dichiarando di non aderire alla
astensione, non aveva espressamente manifestato la richiesta di stralciare la posizione della

propria assistita” perché fosse decisa appunto all’udienza del 23 marzo 2012. Però, ad avviso
del ricorrente, non era prevedibile il rinvio di oltre un anno dato che il codice di rito, all’articolo
477, dispone il rinvio per il giorno seguente non festivo o al massimo entro dieci giorni. Il
rinvio sarebbe stato quindi operato per un tempo non ragionevole, come insegnerebbe la
stessa giurisprudenza di legittimità nelle pronunce in materia di ragionevole durata del
processo. Ciò comporterebbe, dunque, l’annullamento della sentenza impugnata.
Se è vero che il articolo 477 c.p.p. stabilisce al primo comma che “quando non è

esso venga proseguito nel giorno seguente non festivo” e al secondo comma attribuisce al
giudice il potere di sospendere il dibattimento “soltanto per ragioni di assoluta necessità e per
un termine massimo che, computate tutte le dilazioni, non oltrepassi i dieci giorni, esclusi i
festivi”, è altrettanto vero che tale norma, consciamente inserita dal legislatore in un contesto
di notorio sovraccarico giurisdizionale, indica termini ordinatori (da ultimo (Cass. sez. F, 25
agosto 2009 n. 33518), la cui violazione non è presidiata quindi da alcuna nullità (v. Cass.
sez.I, 17 febbraio 1997 n. 2233 – per cui detti termini

“hanno carattere meramente

ordinatorio, onde la loro inosservanza non determina alcuna nullità o decadenza” e il rispetto di
essi, peraltro, “non può essere disgiunto dalla valutazione dell’attività che globalmente grava
sull’ufficio giudiziario, la cui entità non sempre consente lo svolgimento del processo con le
cadenze temporali prefigurate dall’art. 477”; conforme Cass. sez.I, 18 febbraio 1994 n. 888; e
v. pure Cass. sez.I, 17 febbraio 1994 n. 866 – per cui “il termine di dieci giorni previsto dall’art.
477 c.p.p. è di natura ordinatoria, in quanto per la sua inosservanza non è prevista alcuna
nullità proprio perché il rinvio di ciascun processo deve essere compatibile con le esigenze di
ruolo, comprendente numerosi altri processi, magari da trattare con pari urgenza” -).
La determinazione dei tempi di rinvio è poi frutto di una valutazione della concreta situazione
del ruolo da parte del giudice di merito sulla quale il giudice di legittimità non può interferire
(oltre alla giurisprudenza appena citata sulle esigenze di ruolo, v. Cass. sez.I, 9 dicembre 2008
n. 47789 – per cui appunto “il rinvio dell’udienza deve essere disposto sulla base delle singole
evenienze processuali e delle esigenze di ruolo e la determinazione della sua durata attiene al
potere ordinatorio del giudice di merito, che si sottrae al sindacato della Corte di cassazione” e Cass. sez.II, 26 settembre 2007 n. 39784 – per cui “il rinvio di udienza va modulato in
relazione alle singole evenienze processuali ed alle esigenze di ruolo, e la determinazione della
sua durata attiene al potere ordinatorio del giudice di merito, che si sottrae al sindacato della
Cassazione, a nulla potendo rilevare la durata più o meno breve dei rinvii di udienza precedenti
o successivi, poiché sarebbe incongruo pretendere una cadenza fissa delle varie udienze”).
4.2 Né, d’altronde, nel caso di specie appare configurabile alcuna lesione del diritto alla
ragionevole durata del processo, essendo stata una volontaria e libera scelta del difensore
della imputata la sua omessa celebrazione all’udienza del 23 marzo 2013. Infatti la
giurisprudenza di questa Suprema Corte riconosce alla difesa dell’interessato, qualora la
condotta del difensore di un altro coimputato generi il rinvio del processo, il diritto di sfuggire

assolutamente possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza, il presidente dispone che

agli effetti di tale condotta (inclusa l’estensione della sospensione prescrizionale) a condizione
soltanto che sia assunta una posizione inequivoca di opposizione al rinvio (v. da ultimo Cass.
sez. F, 26 luglio 2013 n. 49132: “La sospensione del corso della prescrizione si estende a tutti i
coimputati del medesimo processo allorché costoro, ove non abbiano dato causa essi stessi al
differimento, non si siano opposti al rinvio del dibattimento ovvero non abbiano sollecitato (se
praticabile) l’eventuale separazione degli atti a ciascuno di essi riferibili”; conforme Cass. sez.
F, 11 settembre 2007 n. 34896; e v. pure Cass. sez. V, 5 aprile 2005 n. 38078). Non

accettato il rinvio, con ogni conseguenza sia quanto alla durata del processo sia in materia di
prescrizione. Né d’altronde è sostenibile che la durata del rinvio non fosse prevedibile
dovendosi invece prevedere i tempi ottimali descritti nell’articolo 477 c.p.p., come prospetta la
ricorrente: è del tutto notorio che, a motivo dell’elevato numero dei processi pendenti, il
giudice di merito non è in grado, ordinariamente, di rinviare nei limiti “raccomandati” – così
possono allo stato definirsi in quanto, come si è visto, non tutelati da sanzione alcuna dall’articolo suddetto.
Anche il quarto motivo del ricorso in esame risulta dunque manifestamente infondato.
Alla manifesta infondatezza consegue, allora, pure per il ricorso presentato dal difensore della
imputata la dichiarazione di inammissibilità, con ogni conseguenza in termini di mancata
instaurazione di un grado che consenta il rilievo di cause di non punibilità ex articolo 129
c.p.p., in termini di condanna della ricorrente alle spese e, infine, di condanna alla sanzione di
C 1000 a favore della Cassa delle ammende, così come illustrato più sopra a proposito del
ricorso, parimenti inammissibile, presentato dal difensore del coimputato Giuliani.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
della somma di €1000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 26 marzo 2015

Il Consiglie Estensore

Il Presidente

opponendosi dunque, né chiedendo lo stralcio della posizione della sua assistita, il difensore ha

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