Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20400 del 26/03/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20400 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PILADE UMBERTO N. IL 13/03/1968
avverso la sentenza n. 1945/2013 CORTE APPELLO di CATANIA, del
08/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/03/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore 9.9erale in persona,del Dott. A
che ha concluso per C’

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 26/03/2015

28101/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell’8 novembre 2013 la Corte d’appello di Catania ha respinto l’appello
proposto da Pilade Umberto avverso sentenza del 15 febbraio 2012 con cui il Tribunale di
Siracusa lo aveva condannato alla pena di sei mesi di arresto e C 5000 di ammenda per il reato
di cui all’articolo 169, lettera a), d.lgs. 42/2004 per il rifacimento di prospetti in un palazzo

2. Ha presentato ricorso il difensore, sulla base di tre motivi. Il primo motivo denuncia
violazione di legge e vizio motivazionale in relazione agli articoli 192 e 533 c.p.p. per illogica
motivazione su doglianze presentate nell’atto d’appello. Il secondo motivo denuncia mancanza
di motivazione sulla doglianza d’appello relativa al diniego della sospensione condizionale
nonchè violazione dell’articolo 164, quarto comma, c.p. Il terzo motivo denuncia violazione
dell’articolo 157 c.p., in quanto il reato si sarebbe prescritto anteriormente alla pronuncia della
sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato.
3.1 n primo motivo fa riferimento alle doglianze d’appello relative alla responsabilità
dell’imputato per il reato a lui ascritto, ma consiste, sostanzialmente, in una loro riproposizione
fondata su rilievi fattuali, non accessibili alla cognizione del giudice di legittimità. D’altronde, il
giudice d’appello ha affrontato in modo congruo il motivo per cui l’appellante chiedeva
l’assoluzione, ovvero l’asserto che non vi fosse prova che i lavori erano in corso e che proprio
l’imputato li avesse realizzati, condividendo espressamente quanto già rimarcato dal giudice di
prime cure – al cui apparato motivazionale ha potuto integrarsi, trattandosi di una c.d. doppia
conforme fondata su omogenei criteri valutativi (in tal senso v. Cass. sez. III, 16 luglio 2013
n.44418; Cass. sez. III, 1 dicembre 2011-12 aprile 2012 n. 13926; Cass. sez. II, 10 gennaio
2007 n. 5606; Cass. sez. III, 1 febbraio 2002, n. 10163; Cass. sez. I, 20 giugno 2000 n. 8868)
-, in relazione, in particolare, alle deposizioni testimoniali degli agenti di Polizia Municipale e
alla documentazione acquisita, sia in relazione al fatto che i lavori erano “recentissimi”, sia in
relazione al fatto che la collocazione temporale dei lavori risultava “pienamente compatibile
con l’epoca di acquisto della proprietà dell’immobile” da parte dell’imputato. Il motivo,
pertanto, risulta privo di pregio.
3.2 n secondo motivo lamenta mancanza di motivazione sulla doglianza d’appello relativa al
diniego della sospensione condizionale della pena, e denuncia altresì la violazione, da parte

sottoposto a vincolo monumentale.

della corte territoriale, dell’articolo 164, quarto comma, c.p., sotto quest’ultimo profilo
adducendo che l’imputato avrebbe potuto fruire della sospensione condizionale poiché la pena
inflitta, sommata a quella irrogata in precedente condanna, non avrebbe oltrepassato i limiti di
cui all’articolo 163 c.p.
Anche questo motivo risulta privo di consistenza, perché la corte territoriale ha motivato
sulla doglianza relativa alla sospensione condizionale della pena, confermando la scelta di
diniego del primo giudice con un ragionamento non riconducibile ad una motivazione

beneficio oggetto di valutazione discrezionale (cfr. p.es . Cass. sez. I, 10 giugno 2008 n.
26633) – cui corrisponde, essendo stato chiesto il beneficio, un obbligo di motivazione, nel
caso in esame, adempiuto – da parte del giudice di merito, non è configurabile alcuna
violazione dell’articolo 164, quarto comma, c.p., del resto non risultando il diniego

de quo

fondato su un asserito superamento dei limiti ex articolo 163 c.p., bensì su elementi diversi
(l’assenza di dati specifici a supporto della doglianza d’appello e l’effetto non fruttuoso della
precedente concessione del beneficio) orientati non sulla impossibilità di rispettare detti limiti,
031″.
bensì su una prognosi non favorevole relativair condotta dell’imputato.
3.3 II terzo motivo adduce violazione dell’articolo 157 c.p. perché all’epoca della decisione
impugnata il reato si sarebbe già prescritto, essendo stato accertato il 22 luglio 2008. Anche
questa doglianza risulta infondata, poiché dagli atti emerge che in primo grado vi fu una
sospensione della prescrizione dal 16 marzo al 6 luglio 2011 per astensione del difensore, già
di per sé sufficiente, quindi, a escludere la maturazione della prescrizione prima della sentenza
d’appello, pronunciata 18 novembre 2013; e per di più emerge una ulteriore sospensione,
sempre in primo grado, che per l’impegno professionale del difensore ha condotto al rinvio dal
6 luglio al 20 novembre 2011.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, il
che impedisce la formazione di un valido rapporto processuale di impugnazione ad ogni effetto
– in particolare, la presenza di cause di non punibilità ex articolo 129 c.p.p. non è valutabile
qualora non sia stato instaurato validamente un ulteriore grado di cognizione, come insegna la
giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte (S.U. 22 novembre 2000 n. 32, De Luca);
e quindi, pure l’estinzione del reato per prescrizione è rilevabile anche d’ufficio a condizione
che il ricorso sia idoneo a introdurre un nuovo grado di giudizio, cioè non risulti affetto da
inammissibilità originaria come invece si è verificato nel caso de quo (ex multis v. pure S.U. 11
novembre 1994 11 febbraio 1995 n.21, Cresci; S.U. 3 novembre 1998 n. 11493, Verga; S.U.

22 giugno 2005 n. 23428, Bracale; Cass. sez. III, 10 novembre 2009 n. 42839, Imperato
Franca) – con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento
delle spese del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte
costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di
ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della

apparente e comunque esente da manifeste illogicità. Pertanto, essendo la concessione del

causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via

equitativa, di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

Così deciso in Roma il 26 marzo 2015

Il Presidente

e della somma di €1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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