Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20399 del 19/03/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20399 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto da : Bianco Antonio, n. a Napoli il 14/10/1945;

avverso la sentenza del Tribunale di Napoli in data 30/10/2013;

udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale G. Romano, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio con
determinazione della pena;

RITENUTO IN FATTO

1. Bianco Antonio ha proposto ricorso avverso la sentenza del Tribunale di Napoli
di condanna per il reato di cui agli artt. 54 e 1161 cod. nav. per avere occupato
con cime, gavitelli e catenarie a cui assicurava natanti di terze persone un’area
di mq. 50 ricadente nel demanio marittimo in assenza di titolo autorizzativo.

Data Udienza: 19/03/2015

2. Con un primo motivo lamenta la violazione degli artt. 54 e 1161 cod. nav.;
richiamando la giurisprudenza di legittimità sul punto della distinzione tra punti
d’approdo che, in quanto strutture di notevoli dimensioni, necessitano di
autorizzazione preventiva, e punti di ormeggio, che, caratterizzati dall’uso di
cime, gavitelli e corpi morti, presentano il requisito della facile removibílità,
deduce quanto alla seconda ipotesi, integrata nella specie, l’insussistenza della

3. Con un secondo motivo lamenta l’irrogazione di pena pecuniaria intervenuta
adottando quale pena base una pena di euro 700 superiore al limite massimo
edittale di euro 516 in violazione dell’art. 1161 cod. nav. e dell’art. 132 c.p..

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il primo motivo è infondato.
Questa Corte ha a più riprese affermato che integra occupazione del demanio
marittimo la condotta di ormeggio di un’imbarcazione comunque effettuata con
sistemi stabili come corpi morti, impianti fissi e gavitelli (da ultimo,
argomentando a contrario,

Sez. 3, n. 49328 del 14/11/2013, D’Errico, Rv.

257349; nonché Sez.3, n. 11098 del 20/09/2000, Simeoni, Rv. 217638; Sez. 3,
n. 2953 del 12/02/1999, P.M. in proc. Caricchio, Rv. 213164); infatti la
occupazione abusiva di cui all’art. 1161 cod. nav. consiste nell’acquisire o
mantenere, senza titolo, il possesso di uno spazio demaniale marittimo in modo
corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale di godimento,
sicché, per la configurabilità del reato, non è necessario che le attività di ostacolo
all’uso pubblico vengano realizzate in modo da escludere la fruibilità da parte di
potenziali utenti, ma è sufficiente che esse siano idonee a comprimere detto uso,
in quanto il bene giuridico tutelato dalla norma è costituito dall’interesse della
collettività di usare pienamente il bene demaniale. Del resto, una interpretazione
sistematica e costituzionalmente orientata della fattispecie di occupazione
abusiva di cui alla norma in esame rimanda necessariamente ad una situazione
di possesso del luogo sostanzialmente stabile o comunque duratura e non
facilmente rimuovibile (come quando è appunto realizzata attraverso la
collocazione di un corpo morto) oppure ad una presenza notevolmente invasiva,
così da disturbare il normale godimento pubblico dell’area (cfr., in motivazione,
Sez. 3, n. 33471 del 05/07/2006, Campione, Rv. 235123).
Ciò posto, la sentenza impugnata ha dato atto che la condotta di specie è
consistita nell’ormeggio di cinque barche effettuato in modo fisso con cime,
2

condotta di occupazione abusiva.

I

gavitelli e catene poste sul fondo del mare con conseguente puntuale
applicazione da parte del giudice, ai fini della valutazione in ordine
all’integrazione del reato, dei principi appena ricordati.

5. Il secondo motivo è invece fondato.
A fronte di una pena edittale che, nel massimo, è stabilita in euro 516 di

700, da ritenersi, conseguentemente, illegale.
Va allora precisato che l’errore del giudice di merito che abbia determinato la
pena muovendo da un limite superiore al massimo edittale comporta che questa
Corte debba procedere ad annullare la sentenza affetta da detto errore e a
sostituire, al limite di pena base erroneo, il massimo di pena irrogabile, al quale,
evidentemente, il giudice del merito ha inteso riferirsi; va infatti evidenziato
che, mentre, da un lato, non appare possibile limitare l’intervento alla sola
rettifica della pena ex art. 619 c.p.p. atteso che tale strumento è espressamente
circoscritto per legge agli errori di “denominazione o di computo” (in ragione di
ciò non potendosi condividere il remoto arresto di Sez. 6, n. 3024 del
13/02/1991, Bellucco ed altro, Rv. 186597 formatosi sull’omologa disposizione
dell’art. 538 del c.p.p. del 1930), dall’altro, l’operazione in questione non appare
involgere margini di discrezionalità che ostino all’applicazione dell’art. 620,
comma 1, lett. I), c.p.p..
Conseguentemente, atteso che il giudice di merito ha operato a suo tempo, sulla
pena base, una diminuzione, per effetto delle riconosciute circostanze attenuanti
generiche, inferiore alla misura di 1/3 quale entità massima di legge (da euro
700 la pena è stata infatti portata ad euro 500), la pena va rifissata, muovendo
da euro 516 e per effetto di diminuzione da mantenere nella stessa misura
proporzionale adottata dalla sentenza impugnata, in euro 368 di ammenda.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione
della pena che fissa in euro 368,00 di ammenda. Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma il 19 marzo 2015

Il Presidente

ammenda, la sentenza impugnata ha adottato quale pena base quella di euro

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