Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20397 del 12/03/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20397 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: AMORESANO SILVIO

DEPOSITATA IN CANCELLERIA

SENTENZA

IL

sul ricorso proposto da:
Chiloiro Robinson, nato a Taranto il 05/05/1968
avverso la sentenza di 10/03/2014
della Corte di Appello di Lecce, sez. dist. di Taranto
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano;
udito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Enrico Delehaye,
che ha concluso, chiedendo dichiararsi la prescrizione per
l’anno 2006, e applicarsi, per l’anno 2007, l’ipotesi di lieve
entità, con rideterminazione della pena;
udito il difensore,avv.Maurizio Giannone in sost.avv.Raffaele
Errico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

1

1 8 MAC, 2015

Data Udienza: 12/03/2015

1.La Corte di Appello di Lecce, sez. dist. di Taranto, con sentenza del 10/03/2014, in parziale
riforma della sentenza del G.u.p. del Tribunale di Taranto, resa il 21/12/2011, con la quale
Robinson Chiloiro era stato condannato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche e applicata la diminuente per la scelta del rito abbreviato, per il reato di cui agli
artt. 81 cod.pen., 2 D.L.vo 74/2000 (per avere, quale rappresentante legale della “Chiloiro
Robinson & C. srl”, al fine di evadere le imposte, indicato nelle dichiarazioni fiscali relative agli
anni 2005, 2006 e 2007, elementi passivi fittizi, avvalendosi di numerose fatture emesse da
ditte “cartiere”), dichiarava non doversi procedere in ordine al reato ascritto, limitatamente al
fatto di cui all’anno di imposta 2005, perché estinto per prescrizione e rideterminava la pena in
mesi 11 e giorni 10 di reclusione.
Nel disattendere i motivi di appello, rilevava la Corte territoriale che dagli atti emergesse
pacificamente la fittizietà delle operazioni di cui alle fatture utilizzate nelle dichiarazioni.
Irrilevanti erano, poi, le sentenze adottate dalla Commissione Tributaria Provinciale di
Taranto, trattandosi di provvedimenti non irrevocabili e che, comunque, non erano idonei a
contrastare quanto accertato dal primo giudice, essendosi la Commissione tributaria limitata a
ridurre i costi fittizi portati in detrazione.
In ordine, infine, alla questione della diversa qualificazione giuridica, sollevata
con la
memoria depositata soltanto all’udienza camerale, le argomentazioni difensive erano fondate
su una diversa prospettazione dei fatti, ricavata dalle sentenze della Commissione Tributaria ed
introdotta surrettiziamente nel processo.
Si trattava di un motivo nuovo, dedotto per la prima volta in sede di discussione e con la
memoria, per cui doveva essere dichiarato inammissibile.
2. Ricorre per cassazione Robinson Chiloiro, a mezzo del difensore, denunciando con il primo
motivo la inosservanza dell’art.597 cod.proc.pen. e la mancanza, contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti di cui alla
contestazione.
Con i motivi di appello, si contestava l’affermazione di responsabilità, e, poi, con la memoria
depositata all’udienza camerale del 10/03/2014, si evidenziava che il fatto andava qualificato
ex art.2 comma 3 D.L.vo 74/2000, risultando l’ammontare degli elementi passivi,
asseritamente fittizi, inferiore ad euro 154.937,07.
La Corte territoriale riteneva le deduzioni, in ordine alla qualificazione giuridica,
inammissibili, in quanto non contenute nei motivi di appello e fondate su una ricostruzione dei
fatti ricavata da valutazione effettuate in sede tributaria.
Tale assunto è in contrasto, però, con le norme del codice di rito, secondo cui il Giudice di
Appello anche di ufficio ha il potere di dare al fatto una diversa qualificazione giuridica.
Peraltro, in relazione all’art.597, comma 1, cod.proc.pen., secondo la giurisprudenza di
legittimità, nella locuzione “i punti della decisione” debbono ricomprendersi anche quelli non
investiti direttamente dai motivi di appello ma ad essi legati da un vincolo di connessione
essenziale.
La Corte territoriale, pur richiamando tale principio, ne ha fatto poi erronea applicazione,
ritenendo di non poter valutare il profilo della qualificazione giuridica dei fatti.
Si impone, pertanto, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Alle stesse conclusioni si perverrebbe, ove si ritenesse l’ipotesi di cui all’art.2 comma 3
D.L.vo 74/2000 una circostanza aggravante.
La Corte, sollecitata dalla difesa, anche se solo all’udienza di discussione, avrebbe dovuto
prendere posizione sul punto.
L’art.597, comma 5, cod.proc.pen. prevede, infatti, che il Giudice di Appello, anche di ufficio,
possa concedere circostanze attenuanti.
Con il secondo motivo denuncia la inosservanza ed erronea applicazione dell’art.2 D.L.vo
74/2000 ed il vizio di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti.
I Giudici di merito hanno ritenuto configurabile l’ipotesi di cui al comma 1 e non quella di cui
al comma 3, in quanto l’importo indicato nelle fatture superava, per le singole annualità, la
soglia di euro 154.937,07.
Non hanno, però, tenuto conto che il reato si perfeziona non con l’annotazione in contabilità,
ma al momento della presentazione delle dichiarazioni.

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RITENUTO IN FATTO

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.
2. Ai sensi dell’art.597, comma 1, cod.proc.pen., l’appello attribuisce al giudice di secondo
grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si
riferiscono i motivi proposti. Risulta, quindi, codificato il principio del “tantum devolutum,
quantum appellatum”.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, i punti della decisione ai quali fa espresso
riferimento l’art. 597, comma 1, coincidono con le parti delle sentenze relative alle statuizioni
indispensabili per il giudizio su ciascun reato e segnano un passaggio obbligato per la
completa definizione di ciascuna imputazione. Per un principio desumibile dall’art.624 del
cod.proc.pen., riguardante le sentenze di annullamento parziale in sede di giudizio di
legittimità, ma insito nella natura e nella logica dell’appello, nella locuzione “punti della
decisione cui si riferiscono i motivi proposti”, vanno ricomprese non soltanto le statuizioni
suscettibili di autonoma considerazione direttamente investite dai motivi di appello, ma anche
quelle ulteriori statuizioni che siano legate alle prime da un vincolo di connessione essenziale
logico-giuridico” (cfr.Cass.Sez.Un. n.10251 del 9/3/2007).
E’ pacifico, poi, che il concetto di punto non vada “confuso” con quello di “questione”. La
preclusione derivante dall’effetto devolutivo dell’appello riguarda, infatti, esclusivamente i
“punti” della sentenza che non essendo stati oggetto dei motivi, abbiano acquistato autorità di
giudicato, non riguarda, invece, nell’ambito dei motivi proposti, le argomentazioni e le
questioni di diritto non svolte o erroneamente prospettate a sostegno del petitum che forma
oggetto del gravame, atteso che il giudice di appello ben può -senza esorbitare dalla sfera
devolutiva dell’impugnazione- accogliere il gravame in base ad argomentazioni proprie o
diverse da quelle dell’appellante (Cass.Sez.Un. n.1 del 4/1/1996).
3. La Corte territoriale ha ritenuto che non potesse intendersi legata da vincolo di
connessione essenziale logico-giuridico al motivo di appello, con cui si contestava
l’affermazione di responsabilità in ordine al fatto così come contestato (art.2 comma 1 D.L.vo
74/2000), la diversa qualificazione dello stesso nella ipotesi attenuata di cui all’art.2, comma
3, D.L.vo 74/2000.
La giurisprudenza di questa Corte non è univoca nella definizione della ipotesi di cui al
comma 3 cit. Per Cass.sez.3 n.23064 del 6/3/2008, Rv. 239919, si tratta non di
un’attenuante ad effetto speciale, ma di una ipotesi autonoma di reato rispetto alla fattispecie
di cui al comma 1. Per Cass.sez.3 n.20529 del 20/4/2011, Rv.250339, si è in presenza, invece
di una circostanza attenuante del reato di cui al primo comma dello stesso articolo e non di
fattispecie autonoma di reato.
Sotto il profilo che ci occupa, tale diversa connotazione non muta, però, i termini del
problema.
L’ipotesi attenuata, invero, “ripropone” tutti gli elementi indicati nel comma 1 (“…al fine di
evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti

3

Assume, quindi, rilievo non l’importo indicato nelle singole fatture, ma quello riportato nelle
dichiarazioni (potendo in tale sede, per qualsiasi motivo, essere indicato un importo inferiore).
Orbene, dalla stessa sentenza impugnata (nel punto in cui vengono riportate le decisioni
della Commissione tributaria), risulta che, per l’anno di imposta 2007, venivano indicati costi
per operazioni asseritamente inesistenti, pari ad euro 81.688,90 e quindi inferiori alla soglia.
E la decisione della Commissione Tributaria per l’anno 2007 non aveva ridotto le somme
indebitamente portate in detrazione; per cui l’ammontare portato in detrazione per tale anno
era desumibile dal processo verbale di constatazione.
In relazione all’anno 2006, la Commissione tributaria riduceva l’ammontare dei costi
indebitamente portati in detrazione da euro 139.115,00 ad euro 120.365,00; sicchè anche a
voler tener conto di quanto accertato dalla G.d.F. si è al di sotto della soglia.
I fatti relativi agli anni di imposta 2006 e 2007 vanno quindi qualificati ex art.2 comma 3
D.L.vo 74/2000 e a tale diversa qualificazione giuridica può procedersi anche in sede di
legittimità.

4.Tanto premesso, a prescindere dalla documentazione prodotta (che pure la Corte
territoriale prende in esame, ritenendo evidentemente di acquisirla in parziale rinnovazione del
dibattimento), la stessa Corte di merito dà atto che, per i fatti relativi all’annualità 2007,
erano stati portati in detrazione costi fittizi per euro 81.668,90, tanto che la Commissione
tributaria aveva respinto il ricorso (pag.11).
Si è quindi al di sotto della soglia prevista dall’art.2 comma 3 D.L.vo 74/2000.
Va ritenuta, conseguentemente, per tale annualità l’ipotesi attenuata di cui alla predetta
norma.
Per quanto riguarda, invece, l’annualità 2006 il reato è prescritto, per cui, a norma
dell’art.129 comma 1 cod.proc.pen., va emessa immediata declaratoria di estinzione del reato.
Il termine massimo di prescrizione di anni 7 e mesi 6, è invero maturato (tenendo conto degli
stessi parametri presi in considerazione dalla Corte territoriale in relazione alla violazione
relativa all’anno 2005, già dichiarata prescritta -pag.11 sent.).
In relazione a tale reato non ricorrono, poi, certamente le condizioni per un proscioglimento
nel merito ex art.129 cpv. cod.proc.pen. per i motivi già evidenziati dalla Corte territoriale
(peraltro con lo stesso ricorso non viene dedotta più alcuna doglianza in tema di
responsabilità).
5.La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio limitatamente al fatto di cui
all’anno di imposta 2006 perché il reato è estinto per prescrizione.
Per l’anno di imposta 2007 la sentenza impugnata va annullata, con rinvio, per la
determinazione della pena.
Ferma restando l’irrevocabilità dell’affermazione di responsabilità per tale annualità, la
configurabilità, come si è visto, della ipotesi attenuata, non consente di provvedere, in questa
sede, alla rideterminazione della sanzione, rientrando essa nei poteri discrezionali dei Giudici
di merito (la pena era stata rideterminata dalla Corte di Appello con riferimento all’ipotesi di
cui al comma 1 dell’art.2 ed all’annualità 2006).
P. Q. M.
Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato per essere il reato estinto per prescrizione
limitatamente al fatto di cui all’anno di imposta 2006; ritenuto, quanto all’anno di imposta
2007, l’ipotesi attenuata di cui al comma 3 dell’art.2 D.L.vo 74/2000, rinvia per la
determinazione della pena alla Corte di Appello di Lecce.
Così deciso in Roma il 12/03/2015
Il Consig i e est.

per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte
elementi passivi fittizi”) e se ne “differenzia” solo in relazione all’ammontare degli elementi
passivi fittizi (se inferiori ad euro 154.937,07 si applica la reclusione da sei mesi a due anni).
Se dagli atti risulti un ammontare inferiore alla soglia (altra questione è se tale accertamento
emerga solo a seguito di produzione di ulteriore documentazione, trattandosi ovviamente di
problema attinente alla rinnovazione parziale del dibattimento secondo le previsioni
dell’art.603 cod.proc.pen.), non si vede come possa il Giudice di appello, investito della
cognizione in ordine alla sussistenza stessa del reato, declinare ogni accertamento circa la
configurabilità dell’ipotesi attenuata.
La contestazione radicale della responsabilità non può che contenere in sé (il più comprende
il meno), stante le “caratteristiche”, come si è visto, della fattispecie, la devoluzione
dell’accertamento non solo della insussistenza di ogni evasione di imposta, ma anche di una
“minore” rispetto a quella contestata.
Per affermare la responsabilità il Giudice deve accertare che vi sia stata evasione di imposta
e l’ammontare di tale evasione; sicchè, se dagli atti emerga che l’evasione vi sia stata, ma che
l’imposta evasa sia inferiore a quella risultante dalla contestazione, non potrà che dare atto di
tanto; ed in particolare, se essa risulterà inferiore alla soglia indicata nel comma 3, non potrà
che ritenere configurabile l’ipotesi attenuata.

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