Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20384 del 04/02/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20384 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Gareri Antonio, nato a Cariati il 14/09/1986
avverso la sentenza del 02/07/2014 della Corte di appello di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Vito
D’Ambrosio, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’avv. Antonio Ingrosso che ha concluso per l’accoglimento
del ricorso;

Data Udienza: 04/02/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Antonio Gareri ricorre per cassazione impugnando la sentenza indicata in
epigrafe con la quale la Corte di appello di Catanzaro, assorbito il reato sub capo
d) in quello sub capo c) della rubrica, ha parzialmente riformato quella del
tribunale di Crotone, rideterminando la pena inflitta nei confronti del ricorrente in
anni quattro e mesi sei di reclusione ed euro 24.000,00 di multa in relazione
(capo a) al reato previsto dagli artt. 110, 81 cpv. cod. pen. , 73 d.P.R. 9 ottobre

l’autorizzazione di cui all’art. 17 stesso decreto – occultata nel fabbricato adibito
a stalla di un’azienda agricola della quale aveva con i correi la disponibilità,
sostanza stupefacente del tipo marijuana destinata ad una cessione in favore di
terzi, come chiaramente desumibile dalle circostanze di seguito indicate:
– quantità complessiva: grammi 514, suddivisa in tre involucri di cellophane
del rispettivo peso di 220 grammi, 282 grammi e 12 grammi, dalla quale è
possibile ricavare 2.478 dosi medie singole;

altre circostanze dell’azione: rinvenimento nello stesso luogo di un

bilancino di precisione marca Diamond, di tre rotoli (due di pellicola cellophane e
l’altro di alluminio, materiale utilizzato per il confezionamento) e di due cassette
di polistirolo predisposte per la semina contenenti n. 182 germogli di pianta di
cannabis; commesso ed accertato in Isola di Capo Rizzuto, in località Torre
Bugiafro, in data 20/04/2013; del delitto (capo b) previsto e punito dagli artt.
110 – 648 cod. pen. perché, non avendo concorso nel delitto presupposto, al fine
di procurare a sé o ad altri un profitto, acquistava o comunque riceveva, in
concorso di persone con altri, l’arma meglio indicata al capo c), provento di
delitto in quanto clandestina; in luogo sconosciuto in data anteriore al
20/04/2013; dei delitti (capo c) previsti e puniti dagli artt. 110 – 81 comma 1,
cod. pen., artt. 2 e 7 comma 1 legge 895/1967 (con riferimento all’art. 38
t.u.l.p.s.), artt. 23 commi 1, 3 e 5 legge 110/1975, perché, in concorso con altri,
illegalmente deteneva all’interno di un fabbricato adibito a stalla di un’azienda
agricola della quale aveva con i correi la comune disponibilità, una pistola marca
Tanfoglio modello GT32/2 calibro 7,65 mm., sprovvista del numero di matricola
e perfettamente funzionante (arma comune da sparo clandestina) e due
caricatori, ciascuno con 5 munizioni calibro 7,65, uno dei quali inserito nella
predetta pistola (parti di arma comune da sparo); commesso ed accertato in
Isola di Capo Rizzuto, in località Torre Bugiafro, in data 20/04/2013; del reato
(capo d assorbito in quello precedente) previsto e punito dall’art. 697 cod.pen.
per aver illegalmente detenuto, negli stessi luoghi indicati nel precedente capo

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1990, n. 309, per avere, in concorso con altri, illecitamente detenuto – senza

c), senza averne fatto denuncia all’autorità il seguente munizionamento: n. 10
cartucce per pistola calibro 7,65 commesso ed accertato in Isola di Capo Rizzuto,
in località Torre Bugiafro, in data 20/04/2013.

2. Per la cassazione dell’impugnata sentenza, il ricorrente solleva, tramite il
difensore, tre motivi di gravame, qui enunciati, ai sensi dell’art. 173 disp. att.
cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la stesura della
motivazione.

lett. e), codice di procedura penale, in relazione all’art. 125 cod. proc. pen., per
la mancanza o la carenza di motivazione su punti decisivi per il giudizio.
Assume che la sentenza impugnata sarebbe incorsa nel vizio di palese
carenza di motivazione in merito a tutte le questioni che la difesa ha sollevato
nell’atto di appello e ribadito nel corso della discussione finale, derivando da ciò
la nullità della sentenza di sensi dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen.,
disposizione che assicura, attraverso il presidio di una apposita invalidità,
l’effettività dell’obbligo di motivazione prescritta “a pena di nullità”.
Nel caso di specie, tale vizio, sarebbe graficamente esistente proprio nella
parte in cui la sentenza si diffonde nel ritenere l’inammissibilità dell’atto di
appello.
Al contrario, le ragioni che hanno indotto la Corte del merito a rideterminare
la pena inflitta al ricorrente sono state emarginate in un limitatissimo ambito
espositivo non rivenendosi, nelle motivazioni della sentenza ricorsa, nessuno
degli elementi di fatto e di diritto che possano giustificare l’applicazione di una
condanna nei confronti del ricorrente: sia con riferimento al punto relativo al
trattamento sanzionatorio, sia con riferimento al punto relativo alla infondatezza
della tesi difensiva del cd. “piccolo spaccio”.
In merito al primo profilo, la Corte d’appello si è limitata a affermare che
non possono essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche ad Antonio
Gareri poiché la professionalità evidenziata anche dal primo Giudice sarebbe un
elemento sintomatico di particolare intensità del dolo, con affermazione quindi
eccessivamente sintetica e paradossale.
In merito al secondo profilo, la Corte territoriale si è limitata ad affermare
che il dato numerico relativo alle dosi di sostanza stupefacente era tale da
soddisfare un numero assai notevole di assuntori.
In questo caso, ad avviso del ricorrente, il vizio di carenza di motivazione si
sostanzierebbe proprio nella circostanza che la tesi esposta dell’atto di appello
prevedeva un percorso interpretativo particolarmente complesso, che esulava

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2.1. Con il primo motivo, deduce la violazione dell’articolo 606, comma 1,

completamente delle singole dosi, sostanziandosi su un ragionamento che,
partendo dalla qualità della sostanza stupefacente, terminava con una
valutazione della tipologia e dell’ambito del commercio illecito della droga.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la mancanza, la manifesta
illogicità della motivazione e la violazione di legge (art. 606, comma 1, lett. b) ed
e) cod. proc. pen.) in merito alla valutazione degli elementi probatori ritenuti a
fondamento dei capi di accusa.
Sostiene che gli elementi a sostegno della decisione operata dalla Corte

responsabilità dell’odierno ricorrente sarebbero di difficile comprensione.
Essi potrebbero essere colti nelle ragioni che presumibilmente avrebbero
indotto la Corte d’appello ad escludere dal computo della pena le circostanze
attenuanti generiche, negate sul rilievo che la condotta del ricorrente, anche
secondo le affermazioni del tribunale, sarebbe stata connotata dal requisito della
professionalità considerato come elemento sintomatico di una particolare
intensità del dolo.
Tuttavia tale professionalità, inesistente nelle motivazioni della sentenza di
primo grado, costituisce circostanza introdotta per la prima volta dalla Corte
d’appello che perciò avrebbe dovuto meglio esplicitarla, affrontando le
argomentazioni e spiegando la sua interpretazione e ricostruzione dei fatti
attraverso elementi tangibili. Ciò non sarebbe affatto avvenuto perché,
ripercorrendo la dinamica dell’arresto del ricorrente, risulta evidente come tale
professionalità sia del tutto inesistente: Antonio Gareri si recava presso il luogo
ove veniva celato lo stupefacente solo ed esclusivamente con il soggetto con cui
è stato arrestato; questi detenevano la sostanza stupefacente all’interno di un
secchio; la sostanza veniva celata in un ricovero di campagna, assolutamente
incustodito ed, in fine, in quei luoghi non veniva mai avvistato dagli agenti di PG
alcun assuntore di sostanza stupefacente.
Il ricorrente si diffonde quindi nel rimarcare l’assenza di professionalità
nella sua condotta ed il buon comportamento processuale che ha tenuto,
reclamando il diritto alla concessione delle attenuanti generiche e ad un più mite
trattamento sanzionatorio.

2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente denunzia la mancanza di motivazione e
la violazione di legge in merito all’omessa applicazione della circostanza
attenuante (ora titolo autonomo di reato) di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n.
309 del 1990 (art. 606, comma 1, lett, e), cod. proc. pen.).

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d’Appello di Catanzaro in base ai quali è stata riconosciuta la penale

In merito a quest’ultima doglianza, la Corte ha, secondo il ricorrente,
affermato, in maniera assolutamente inadeguata, che il fatto di lieve entità non
può essere riconosciuto poiché, avendo riguardo al numero di dosi, si potrebbe
supporre che il bacino di assuntori fosse potenzialmente vasto ed indefinito.
Tuttavia la Corte territoriale non ha considerato che la condotta del
ricorrente non ha assunto quelle caratteristiche di particolare pericolosità, che
destano un particolare allarme sociale e che, nel caso di specie, avrebbero
dovuto essere del tutto esclusa in considerazione del limitato pericolo corso dal

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza e perché presentato
nei casi non consentiti.

2. I motivi di gravame possono essere congiuntamente esaminati, in quanto
tra loro strettamente collegati.
2.1. Va in primo luogo osservato come la Corte di appello abbia premesso
che – in data 20 aprile 2013 ed all’esito di attività di osservazione e pedinamento
compiute in località “torre Bugiafro” in agro di Isola Capo Rizzuto – militari
appartenenti al Comando Stazione dei Carabinieri di quel Comune sorprendevano
il ricorrente nel possesso – all’interno dell’azienda agricola di proprietà del
suocero – di gr.514 di sostanza stupefacente del tipo marijuana, suddivisa in tre
involucri di cellophane e dalla quale era possibile ricavare 2.478 dosi medie
singole, nonché di un bilancino di precisione, due rotoli di cellophane, uno di
alluminio e due cassette di polistirolo predisposte per la semina e contenenti n.
182 germogli di pianta di cannabis, ed ancora di una pistola funzionante marca
“tanfoglio” calibro.7,65 sprovvista del numero di matricola – e dunque
clandestina – munita di due caricatori ciascuno dei quali provvisto di cinque
cartucce di identico calibro.
2.2. Al cospetto di tali risultanze, l’appello dell’imputato, proposto da uno dei
suoi difensori, censurava, in sostanza, la sentenza di primo grado perché aveva
affermato la penale responsabilità del ricorrente in assenza di prove concrete di
colpevolezza sul rilievo che trattavasi di un bravo ragazzo, la cui unica colpa
reale era stata quella di frequentare degli amici che facevano uso di sostanza
stupefacente e diffondendosi su argomentazioni del tutto avulse dalla ratio
decidendi della sentenza impugnata.

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bene giuridico protetto dalla fattispecie incriminatrice.

Correttamente quindi la Corte di appello ha sanzionato con la parzialw
inammissibilità l’atto di gravame in quanto sprovvisto in parte qua di specificità
in violazione dell’articolo 581 lett. c) codice di procedura penale.
Rispetto a tale approdo, il ricorrente non si è affatto confrontato con la
motivazione contenuta nella sentenza impugnata e neppure ha indicato le parti
dell’atto di appello che non avrebbero meritato la censura dell’inammissibilità,
percorrendo uno nuovo percorso argomentativo del tutto autonomo e
sostanzialmente fondato sulla critica verso la sentenza impugnata appuntata

sanzionatorio riservato al ricorrente e la ritenuta non riconducibilità della
fattispecie concreta nell’ambito di quella astratta prevista dal quinto comma
dell’articolo 73 d.p.r. n. 309 del 1990.
2.3. Con riferimento a tali censurati aspetti, la sentenza impugnata non
merita affatto le critiche che le sono state mosse in quanto l’apparato
argonnentativo è completo e la Corte territoriale si è fatta carico di indicare le
specifiche ragioni in base alle quali è pervenuta a negare le attenuanti generiche
e a non ritenere la fattispecie concreta sussumibile nell’ipotesi del fatto di lieve
entità, adeguando peraltro sensibilmente il trattamento sanzionatorio (in primo
grado era stata applicata la pena di anni sette, mesi tre di reclusione ed euro
45.000,00 di multa) per effetto della sentenza n. 32 del 2014 della Corte
costituzionale.
2.4. Per dare conto e ragione di ciò, è sufficiente riportare in sintesi il
ragionamento sviluppato dalla Corte territoriale, che è scevro da lacune
motivazionali, essendosi ritenuto come il cospicuo quantitativo di stupefacente
rinvenuto nel possesso del ricorrente, all’interno di un’area agricola, attestasse
non solo la strumentalizzazione di idoneo sito alle attività di commercializzazione
di stupefacente, condotte quindi con predisposizione di adeguati mezzi, ma
anche la disponibilità di un mercato consolidato in grado di assorbire quella
sostanza nei tempi utili al mantenimento della sua efficacia drogante.
Dunque la professionalità evidenziata dai primi giudici, quale elemento
sintomatico di particolare intensità del dolo, è stata congruamente ritenuta
valida per negare la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento delle
invocate attenuanti generiche.
Quanto alla ritenuta infondatezza della tesi difensiva circa la sussistenza di
attività di piccolo spaccio, la Corte territoriale ha osservato come il dato
ponderale dovesse ritenersi del tutto inconciliabile con la prospettata lieve entità
del fatto, atteso che per la rilevanza delle quantità di dosi in possesso, l’imputato

sulla mancata concessione delle attenuanti generiche, il severo trattamento

era in grado di soddisfare un numero assai notevole di assuntori, con
discendente grave pericolo di diffusione della sostanza stupefacente.

3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto
che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per
il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del
procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13

sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via
equitativa, di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 04/02/2015

giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso

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