Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20382 del 04/02/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20382 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: DI NICOLA VITO

Data Udienza: 04/02/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Foudaili Soumia, nata in Marocco il 27/03/1977
avverso la sentenza del 08/05/2014 della Corte di appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Vito
D’Ambrosio, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente

;

RITENUTO IN FATTO

1. Soumia Foudaili ricorre per cassazione impugnando la sentenza indicata
in epigrafe con la quale la Corte di appello di Milano ha parzialmente riformato
quella del Gip del tribunale della stessa città, riducendo la pena irrogata nei
confronti della ricorrente in anni due di reclusione ed euro 6.000,00 di multa in
relazione (capo 1) al reato previsto dagli artt. 110, 81 cpv. cod. pen. , 73 d.P.R.
9 ottobre 1990, n. 309, perché in concorso con altre persone nei cui confronti si

disegno criminoso, senza l’ autorizzazione di cui all’ art. 17 dello stesso decreto,
illecitamente detenevano, al fine di effettuarne la cessione a terze persone dietro
pagamento di corrispettivo in denaro, kg 12,500 di sostanza stupefacente del
tipo hashish, e cedevano altresì un ulteriore quantitativo imprecisato di sostanza
stupefacente del medesimo tipo a persona non identificata, per un controvalore
di euro 24.130,00. Fatto accertato in Milano il 24.04.2009. nonché (capo 3) per il
reato previsto dall art. 648 c.p., perché, al fine di procurarsi un profitto,
acquistava o comunque riceveva diversi capi di abbigliamento ed accessori
“griffati” (scarpe, borsoni, zaini, occhiali, cappellini, gonne, sottovesti, magliette,
pantaloni, camice, tute ginniche, perizoma, intimo maschile e femminile, cinture,
trapunte, completi da uomo, giacche da uomo, bambole giocattoli, orologi marca
Breil, Swatch, Puma, Ocean Diver, Dolce & Gabbana, Cartier, nonché portafogli
per uomo e per donna) compiutamente indicati nel verbale di sequestro eseguito
in data 02.04.2009, provento di furto in vari esercizi commerciali. Fatto
accertato in Milano in data 2.4.2009.

2. Per la cassazione dell’impugnata sentenza, il ricorrente solleva, tramite il
difensore, quattro motivi di gravame, qui enunciati, ai sensi dell’art. 173 disp.
att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la stesura della
motivazione.
2.1. Con il primo motivo, deduce la violazione dell’articolo 606, comma 1,
lett. b), c) ed e), codice di procedura penale, per erronea applicazione degli artt.
157, 178. 179 cod. proc. pen. , 24 Cost., con riferimento alla notifica dell’avviso
di fissazione udienza e dell’avviso di deposito della sentenza.
Assume che all’imputata veniva notificato presso lo studio del difensore ex
art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen. il decreto di citazione innanzi alla Corte
d’appello di Milano, relativo al presente procedimento.
Trattandosi di prima notifica, tuttavia, così come prescritto dall’art. 157,
comma 1, cod. proc. pen. la stessa doveva essere eseguita mediante consegna
2

è proceduto separatamente, mediante più azioni esecutive di un medesimo

di copia all’imputata o nei ‘modi previsti dai commi successivi dell’art. 157 cod.
proc. pen.
Invece, in violazione delle disposizioni di cui all’art. 157, commi 1 e ss., cod.
proc. pen., la notifica veniva effettuata, ai sensi dell’art. 157, comma 8 bis, cod.
proc. pen. direttamente presso lo studio del difensore ed in violazione delle
norme prescritte in tema di notificazione ed in violazione del diritto di difesa.
2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione dell’articolo 606, comma 1,
lettere b), c) ed e), codice di procedura penale in relazione agli artt. 49 e 56 cod.

pen.
Sostiene che le motivazioni addotte dalla Corte d’appello dirette ad
affermare la sussistenza della responsabilità a titolo di concorso nel reato di
detenzione della sostanza stupefacente si attestano come illogiche e
contraddittorie in re ipsa.
La Corte d’Appello, nel ricostruire i fatti, sebbene fosse emerso che
l’imputata avesse effettuato un tentativo d’accesso nell’appartamento ove era
custodito lo stupefacente soltanto quando quest’ultimo era stato già sottoposto a
sequestro e, pertanto, non fosse più custodito all’interno di esso, erroneamente
è pervenuta a ritenere la responsabilità per il delitto di cui all’art. 73 DPR 309 del
1990, ritenendo il reato consumato.
Si versava infatti nell’ipotesi di delitto impossibile ex art. 49 cod. pen. per
assenza dell’elemento oggettivo del reato, con la conseguenza che l’azione posta
in essere dalla Foudaili di tentativo di accesso all’interno dell’appartamento si
presentava come inidonea per assenza dell’oggetto.
Illogico sul punto sarebbe quanto sostenuto in sentenza in ordine alla
responsabilità dell’imputata dovuta alla consapevolezza, antecedente rispetto al
sequestro, che Ammar Hicham custodisse all’interno dell’appartamento il
quantitativo dello stupefacente, poiché tale consapevolezza, da sola considerata,
sarebbe riconducibile all’ipotesi di connivenza non punibile.
Pertanto, in assenza dell’elemento oggettivo ai fini della configurazione del
reato, del pari illogico sarebbe ritenere la responsabilità della ricorrente per la
mancata consapevolezza che, al momento in cui ella effettuò il tentativo di
accesso nell’appartamento, lo stupefacente fosse già stato sequestrato dagli
operanti, sicché, al più, gli atti posti in essere dall’imputata, qualora ritenuti
idonei e diretti in modo non equivoco alla realizzazione dell’evento, avrebbero
dovuto portare a ritenere, quantomeno, l’ipotesi del delitto tentato di cui all’art.
56 cod. pen. e giammai di quello consumato.

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pen., art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e degli artt. 530 e 533 cod. proc.

2.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione e l’erronea applicazione
dell’art.378 cod. pen., art. 125 cod. proc. pen., art. 73 DPR 309 del 1990 in
relazione all’art 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen.
Assume come, in ogni caso, dovesse ritenersi illogica e contraddittoria
l’impugnata sentenza nella parte in cui ritiene la non configurabilità del delitto di
favoreggiamento in luogo di quello contestato all’imputata.
In particolare la Corte d’appello ha sostenuto che, nel caso in esame, la
condotta del coimputato (Annmar) poteva dirsi non ancora cessata nel momento

all’unico fine di favorire l’impunità dell’amico per la detenzione dell’ulteriore
stupefacente detenuto all’interno dell’appartamento stesso.
La ricostruzione, ad avviso della ricorrente, appare illogica e contraddittoria
con i fatti di causa atteso che Ammar era stato già arrestato, circostanza fattuale
che ne esclude materialmente la prosecuzione della condotta di detenzione.
L’intervento dell’imputata, dunque, successivo all’arresto di Ammar, in ogni
caso avrebbe dovuto portare correttamente a ritenere integrato il delitto di
favoreggiamento personale, in quanto diretto a procurare l’impunità del
coimputato e non già il concorso nella detenzione dello stupefacente.
2.4. Con il quarto motivo lamenta la violazione e l’erronea applicazione degli
artt. 81, 133 e 648 cod. pen. in relazione all’art. 606, comma 1, lett b), c) ed e)
cod. proc. pen. apparendo l’impugnata sentenza censurabile in punto di
determinazione della pena per avere il giudicante stabilito una pena eccessiva e
sproporzionata rispetto ai fatti contestati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Quanto al primo motivo, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel
ritenere che la nullità conseguente alla notificazione all’imputato del decreto di
citazione a giudizio presso lo studio del difensore invece che presso il domicilio
eletto è d’ordine generale a regime intermedio – in quanto la notificazione, pur
eseguita in forme diverse da quelle prescritte, è da ritenere in concreto idonea a
determinare una conoscenza effettiva dell’atto – e non può, quindi, essere
dedotta per la prima volta in sede di legittimità (Sez. 6, n. 1742 del 22/10/2013,
dep. 16/01/2014, Mbengue, Rv. 258131; Sez. 6, n. 42755 del 24/09/2014,
Zennzami, Rv. 260434).

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in cui la ricorrente ha tentato l’accesso nell’appartamento, evidentemente

Questa Corte, nella sua più autorevole composizione, ha chiarito che, in
tema di notificazione della citazione dell’imputato, la nullità assoluta e insanabile
prevista dall’art. 179 cod. proc. pen. ricorre soltanto nel caso in cui la
notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita
in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la
conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato; la medesima nullità non
ricorre invece nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole
sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue la applicabilità della sanatoria

229539). Nel caso di specie, la notificazione, in applicazione di detti principi, non
può certo definirsi inesistente e quindi equiparabile ad una notificazione
mancante ma deve piuttosto reputarsi idonea, in concreto, a determinare la
conoscenza dell’atto da parte dell’imputato, sicché la nullità determinatasi,
essendo non assoluta ma generale e di natura intermedia, non può essere
eccepita per la prima volta in Cassazione.
A parte il fatto che l’imputato il quale intenda eccepire la nullità assoluta
della citazione o della sua notificazione, non risultante dagli atti, non può
limitarsi, come nel caso di specie, a denunciare la inosservanza della relativa
norma processuale, ma deve rappresentare al giudice di non avere avuto
cognizione dell’atto e indicare gli specifici elementi che consentano l’esercizio dei
poteri officiosi di accertamento del giudice stesso (Sez. 6, n. 1742 del
22/10/2013, cit. in motivazione).
Da ciò deriva l’infondatezza del motivo di gravame.

3. Anche il secondo motivo è infondato.
Dalle conversazioni telefoniche intercettate tra il 20 ed il 21 aprile
sull’utenza in uso ad Hadjaraly Abdelali, nonché da quelle successive alla
perquisizione dell’appartamento di via Varali° 1, intercorse tra il 22 ed il 24
aprile, è risulltato che l’imputata cercava, unitamente ad Hadjaraly Abdelali e El
Haissy Rachid, di entrare nell’appartamento di Via Varallo 1, per

“togliere il

motivo per cui sarà dannata e condannata la persona in carcere” (quindi Ammar
Hicham arrestato per il possesso di 15 kg. di hashish), che aveva chiesto
insistentemente che “devono togliere la cosa da consegnare a Rachid”.
L’imputata era dunque consapevole che nell’appartamento erano occultati i
12,5 Kg. di hashish e questa era la “cosa” da “togliere”.
Lo stesso Ammar Hichann nell’interrogatorio reso il 23 settembre 2009 al
pubblico ministero, aveva dichiarato di aver chiesto chiesto alla Foudaili di dire
agli altri due di portare via i 12 kg. di hashish.
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di cui all’art. 184 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 119 del 27/10/2004, Palumbo, Rv.

Inoltre la Foudaili collaborava nell’attività illecita di Annmar Hicham, come è
risultato dalle intercettazioni telefoniche del marzo 2009, ove si parlava di
ordinativi di stupefacente con il tipico usuale linguaggio criptico e dalle quali è
pure risultato che l’imputata si occupava anche del ritiro del pagamento degli
ordinativi.
La ricorrente ha cercato pertanto di prelevare consapevolmente i 12,5 kg. di
hashish occultati nell’appartamento di via Varallo 1, concretizzandosi in tal modo
il concorso nella detenzione dello stupefacente.

disponibilità perché utilizzava – per volontà dello stesso Annmar Hichann —
l’appartamento ove lo stupefacente era occultato, nel quale non riusciva ad
entrare solo per il fatto occasionale del mancato reperimento delle chiavi, tant’ è
che la Foudaili si era poi procurata le chiavi il 24 aprile 2009 – ormai a
perquisizione avvenuta (22 aprile), della quale tuttavia non era consapevole – e
non era entrata nell’ appartamento solo perché si era resa conto della presenza
dei carabinieri (come da intercettazione telefonica di conversazione della Foudaili
con El Aissy).
L’indicazione per l’individuazione del luogo ove era occultato lo stupefacente
veniva fornita alla polizia giudiziaria dalle conversazioni intervenute tra il 20 e il
21 aprile ed intercettate sull’utenza in uso a ad Hadjaraly Abdelali, tra Soumia
Foudaili, il predetto Hadjaraly e El Haissy Rachid, nel corso delle quali gli
interlocutori discutevano della necessità di recarsi nella casa in uso ad Annnnar e
delle difficoltà incontrate per l’assenza della chiavi, che la polizia aveva
sequestrato al momento del fermo dell’Ammar pur non essendo ancora riuscita
ad individuare l’abitazione (v. pag. 2 e 3 sentenza di primo grado).
Tant’è che la ricorrente si era effettivamente attivata, prima ancora della
perquisizione dell’appartamento eseguita il 22 aprile, per irrompere nello spesso,
pur in assenza delle chiavi per recuperare la droga, ricorrendo all’ausilio di un
fabbro.
La Corte territoriale ha dunque correttamente ritenuto, sulla base delle
precedenti acquisizioni, il concorso della ricorrente nella detenzione dello
stupefacente e, in ogni caso, non sarebbe comunque ipotizzabile il ricorso, nel
caso in esame, alla figura del reato impossibile.
L’art. 49, comma 2, seconda ipotesi, cod. pen., laddove prevede
l’inesistenza dell’oggetto come causa di esclusione della punibilità, non intende
riferirsi al caso di mancanza soltanto occasionale o temporanea, cioè al caso di
reato relativamente impossibile, per inesistenza relativa dell’oggetto del reato,
nel momento in cui l’azione criminosa viene interrotta per circostanze
6

La Corte territoriale ha osservato, sul punto, che l’imputata ne aveva la

indipendenti dalla volontà dell’agente, ma contempla una fattispecie di
impossibilità assoluta, e cioè la mancanza di qualsiasi possibilità che in quel
contesto di tempo la cosa possa trovarsi in quel determinato luogo (Sez. 2, n.
660 del 10/03/1971, Vitacca, Rv. 119274).
La ricorrente ha avuto la concreta possibilità di disporre della droga,
recuperandola e rimuovendola dal luogo nel quale lo stupefacente era nascosto,
e questo ancor prima della perquisizione operata, peraltro a sua insaputa, dalla
polizia giudiziaria, sicché soltanto la momentanea indisponibilità delle chiavi le ha

in siffatti casi, la figura del reato impossibile per inesistenza assoluta
dell’oggetto.

4. Infondato è anche il terzo motivo.
In presenza di elementi del tutto univoci quanto al ritenuto concorso nella
detenzione della sostanza stupefacente (anche la collaborazione dell’imputata
nell’attività illecita di Ammar Hicham porta comunque ad individuare il concorso
nella detenzione), la Corte distrettuale ha correttamente ritenuto il reato di
favoreggiamento non fosse configurabile, con riferimento alla illecita detenzione
di sostanze stupefacenti, in costanza di detta detenzione, perché, nei reati
permanenti, qualunque agevolazione del colpevole, posta in essere prima che la
condotta di questi sia cessata, si risolve – salvo che non sia diversamente
previsto – in un concorso nel reato, quanto meno a carattere morale. (Sez. U, n.
36258 del 24/05/2012, P.G. e Biondi, Rv. 253151) e, nel caso in esame ad
Ammar Hicham ancora andava ascritta la detenzione dello stupefacente,
continuando la disponibilità da parte dello stesso dell’appartamento ove l’hashish
era occultato.

5. Il quarto motivo è inammissibile per manifesta infondatezza e perché
presentato nei casi non consentiti.
La Corte territoriale, nell’individuare il reato più grave nel delitto di
ricettazione, si è attenuta al principio recentemente espresso dalle Sezioni Unite
secondo il quale, in tema di reato continuato, la violazione più grave va
individuata in astratto in base alla pena edittale prevista per il reato ritenuto dal
giudice in rapporto alle singole circostanze in cui la fattispecie si è manifestata e
all’eventuale giudizio di comparazione fra di esse (Sez. U, n. 25939 del
28/02/2013, P.G. in proc. Ciabotti ed altro, Rv. 255347).
La pena base è stata poi determinata con congrua motivazione in
considerazione il consistente quantitativo della merce ricettata, indice di
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impedito l’apprensione, con l’ulteriore conseguenza che non può concretizzarsi,

qualificati ed importanti contatti criminali e, essendo la stessa compresa tra il
minimo e il medio edittale, la motivazione non deve necessariamente svilupparsi
in un esame dei singoli criteri elencati nell’art. 133 cod. pen., essendo sufficiente
il riferimento, nella specie soddisfatto, alla necessità di adeguamento al caso
concreto (Sez. 6, n. 8156 del 12/01/1996 P.M. e Moscato, Rv. 205540).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 04/02/2015

P.Q.M.

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