Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20380 del 06/11/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20380 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GENTILI ANDREA

SENTENZA
Sui ricorsi proposti da:
PANICHI Giuseppe, nato a Teramo il 30 giugno 1971;
NAGEL Monika, nato a Wattwill (CH) 10 gennaio 1962;

avverso la sentenza n. 3039 della Corte di appello de L’Aquila, del 9 novembre
2012;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata ed il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Pasquale
FIMINANI, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del
ricorso del Panichi e l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata
relativamente alla posizione della Nagel per essersi il reato a lei ascritto estinto per
prescrizione;
sentita altresì, per la ricorrente Nagel, l’avv.ssa Tulliola Aloe, del foro di Teramo,
che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
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Data Udienza: 06/11/2014

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 9 novembre 2012 la Corte di appello de L’Aquila ha
confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Teramo aveva condannato
Panichi Giuseppe, Ercolani Emiliana e Nagel Monika, concessa a tutti la
attenuante di cui al comma 5 dell’art. 73 del dPR n. 309 del 1990, alla pena di
anni uno e mesi otto di reclusione ed euro 400,00 di multa ciascuno i primi
due ed alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione ed euro 500,00 di

ascritti e riferiti ad episodi di spaccio e detenzione di sostanze stupefacenti di
tipo eroina, cocaina ed hashish.
Va precisato, quanto alla posizione della Nagel, che la Corte di appello de
L’Aquila ha dichiarato la inammissibilità del suo gravame in quanto
tardivamente proposto.
In particolare ha puntualizzato la Corte territoriale che, pronunziata la
sentenza di primo grado, alla formale presenza della imputata, in data 22
ottobre 2010, la relativa motivazione è stata depositata entro il termine di
sessanta giorni indicato in sede di lettura del dispositivo; decorrendo pertanto
il termine per impugnare a partire dal 21 dicembre 2010 esso era destinato a
scadere, secondo la previsione di durata pari a 45 giorni di cui all’art. 585 cod.
proc. pen., in data 4 febbraio 2011.
Essendo la dichiarazione di appello del difensore della Nagel pervenuta
alla cancelleria del Tribunale di Teramo solo in data 9 febbraio 2011, essa è
stata considerata tardiva dalla Corte, a nulla rilevando, secondo l’avviso di
questa, che il relativo plico fosse stato consegnato per l’inoltro alla cancelleria
del Tribunale di Teramo ad un vettore privato in data 4 febbraio 2011; infatti,
secondo la Corte l’effetto anticipatorio previsto dall’art. 583, comma 2, cod.
proc. pen. si può verificare solamente nel caso in cui il ricorso in appello sia
proposto tramite telegramma ovvero con atto da trasmettersi tramite
raccomandata, cosa non verificatasi nell’occasione.
Hanno proposto ricorso per cassazione sia il Panichi che la Nagel.
Quanto al primo questi ha lamentato che la Corte territoriale abbia
ritenuto la sua penale responsabilità in assenza di obbiettivi elementi di prova
a suffragio di essa.
La Nagel, a sua volta, si duole della dedotta falsa applicazione di legge
nell’aver la Corte di appello considerato non applicabile al caso in esame il
disposto dell’art. 583, comma 2, cod. proc. pen., in base al quale, in caso di
proposizione della impugnazione tramite spedizione di telegramma o lettera
raccomandata, essa si considera proposta il giorno delle spedizione di essa coi
predetti mezzi, dovendo ritenersi che l’affidamento ad un gestore di poste
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multa la terza, avendoli riconosciuti colpevoli dei reati loro rispettivamente

private dell’atto di appello abbia gli stessi effetti del suo affidamento al
gestore del servizio universale.
Chiedeva, pertanto, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il diverso esito da assegnarsi ai due ricorsi ora in scrutinio – l’uno, infatti,
va dichiarato inammissibile, l’altro è, invece, tale da condurre, comunque,
all’annullamento della sentenza impugnata — giustifica, unitamente alla

Infatti, quanto al ricorso formulato dal Panichi, rileva la Corte che lo
stesso ha esclusivamente ad oggetto la critica dell’operato di valutazione delle
prove – in particolare ci si riferisce a diverse intercettazioni telefoniche
nonché, almeno in un caso, a alcune dichiarazioni dibattimentali — compiuto
dai giudici del merito. In particolare si sostiene che, stante la ambiguità del
loro contenuto, le intercettazioni telefoniche valorizzate in sede di pronunzia
affermativa della penale responsabilità non sarebbero idonee a suffragare il
convincimento di condanna espresso sia dal Tribunale di Teramo che dalla
Corte aquilana nei confronti del Panichi.
Il motivo è palesemente inammissibile.
Al riguardo, infatti, la Corte, osserva, in prima battuta, la assoluta
genericità del motivo di impugnazione, nel quale il ricorrente afferma, in
maniera del tutto apodittica e priva di qualsiasi circostanziato richiamo
personale ai soggetti cui tali suoi rilievi si dovrebbero riferire, la pregiudiziale
inattendibilità dei testi di accusa, che, in quanto gravemente
tossicodipendenti, sarebbero affetti da importanti patologie psichiatriche che li
renderebbero non attendibili e “giammai utilizzabili quali testi”.
L’affermazione in questione, oltre ad essere di una disarmante genericità,
è, altresì, infondata in diritto in quanto postula la esistenza di un generale ed
ineludibile divieto di utilizzazione delle dichiarazioni testimoniali rese da
persone affette da disturbi psichiatrici (disturbi, giova comunque ribadire in
questa sede, solo declamati dal ricorrente ma privi del sia pur minimo
riscontro probatorio), che viceversa non esiste nel nostro ordinamento, posto
che il divieto di cui all’art. 120, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., in base
al quale “non possono intervenire come testimoni ad atti del procedimento
(…) le persone palesemente affette da infermità di mente”, non concerne la
idoneità ad essere sentito in qualità di testimone, che è in linea di principio
invece piena nei confronti di tutti i soggetti dell’ordinamento secondo la
previsione dell’art. 196 cod. proc. pen. (salva in determinati casi — fra i quali
la possibile infermità mentale – la più accorta valutazione, anche sulla scorta
di eventuali verifiche tecniche, della concreta idoneità del teste a rendere il
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eterogeneità dei motivi di impugnazione, la loro trattazione disgiunta.

predetto ufficio e della sua personale attendibilità), riferendosi, invece, il
richiamato divieto alla sola testimonianza, intesa come consapevole presenza
ai fini della verifica del loro regolare svolgimento, a singoli atti del
procedimento (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 12 giugno 2008, n.
23979).
Né può dimenticarsi, ad ulteriore suffragio della inammissibilità della
doglianza del Panichi, che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità,

valutazione delle risultanze probatorio costituite dalle intercettazioni
telefoniche in quanto in tale materia, costituisce appunto questione di fatto,
rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la
valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può
essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta
illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite
(Corte di cassazione, Sezione II penale, 21 agosto 2013, n. 35381; idem
Sezione VI, 20 novembre 2013, n. 46301).
Passando, a questo punto, all’esame del ricorso della Nagel si ribadisce
che esso è tutto costruito, esclusivamente in punto di diritto, sulla correttezza
o meno della interpretazione data dalla Corte aquilana all’art. 583, comma 2,
cod. proc. pen., in forza del quale, secondo la predetta Corte, l’effetto
anticipatorio della impugnazione previsto da tale disposizione è ricollegabile
esclusivamente all’ipotesi in cui siano state rispettate le formalità di
spedizione dell’atto ìmpugnatorio ivi indicate, dovendosi, in particolare,
escludere, ai fini dell’invio tramite raccomandata, la equipollenza
dell’affidamento della consegna dell’atto ad un corriere privato anziché al
gestore del servizio postale universale.
Giova brevemente chiarire i termini normativi e fattuali della vicenda, non
ostando a ciò la presente sede di legittimità, posto che la riscontrata natura
eminentemente processuale della censura formulata dalla Nagel esalta la
funzione di giudice anche del fatto processuale di questa Corte.
Secondo quanto risultante dalla sentenza impugnata, il Tribunale di
Teramo, in data 22 ottobre 2010 ebbe ad emettere sentenza di condanna a
carico, fra l’altro della Nagel; le motivazioni di siffatto provvedimento, il cui
dispositivo è stato letto, secondo quanto riportato nel non contestato verbale
della udienza del 22 ottobre 2010, alla presenza della predetta imputata, sono
state depositate, conformemente a quanto previsto nel medesimo dispositivo,
entro il termine di 60 giorni dalla lettura di quest’ultimo.
Tanto rilevato, trattandosi di motivazioni depositate, sì tempestivamente
ma a seguito della indicazione, ai sensi dell’art. 544, comma 3, cod. proc.
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non è soggetta al vaglio di questa Corte la attività di interpretazione e di

pen., di un termine per la redazione di esse più lungo di quello ordinario, la
impugnazione della sentenza doveva intervenire, stante la previsione espressa
di cui all’art. 583, comma 1, lettera c), cod. proc. pen. nel termine di 45 giorni
decorrenti, visto il comma 2, lettera c), dello stesso art. 583, “dalla scadenza
del termine (…) determinato dal giudice per il deposito della sentenza”.
Poiché la sentenza di cui si parla è stata pronunziata il 22 ottobre 2010 e
per il suo deposito era stato indicato il termine di 60 giorni, effettivamente

iniziato a decorrere in data 21 dicembre 2010, per andare, quindi, a spirare il
successivo 4 febbraio 2011.
Ciò posto, va ulteriormente precisato che la Nagel ha interposto appello
avverso la predetta sentenza tramite atto pervenuto alla Cancelleria del
Tribunale di Teramo in data 9 febbraio 2011, sebbene lo stesso fosse stato
spedito, tramite corriere privato, il precedente 4 febbraio 2011.
Sulla base di queste premesse, avendo la Corte territoriale abruzzese
dichiarato la inammissibilità dell’appello in questione, stante la sua ritenuta
tardività, la Nagel ha, a sua volta, proposto ricorso per cassazione,
censurando tale decisione sostenendo che la stessa sarebbe stata adottata in
violazione di legge, avendo la sentenza impugnata disatteso il contenuto
dell’art. 583 cod. proc. pen., il quale oltre a consentire la proposizione della
impugnazione tramite telegramma ovvero “con atto da trasmettersi a mezzo
di raccomandata” alla cancelleria dell’ufficio giudiziario che ha emesso l’atto
impugnando, prevede, altresì, che in questi casi la impugnazione “si considera
proposta nella data di spedizione della raccomandata o del telegramma”.
Aggiungeva sul punto la ricorrente che in tal modo il legislatore non
avrebbe mai inteso autorizzare l’invio di un atto solo tramite un privato
specifico, per tale dovendosi intendere, a seguito della intervenuta
privatizzazione, il soggetto Poste italiane spa, ancorché il capitale di tale
società sia interamente in mano pubblica, per concludere nel senso della
equipollenza delle spedizione tramite raccomandata recapitata da qualsiasi
altro vettore, purché autorizzato allo svolgimento del servizio postale.
Il motivo di ricorso è infondato.
Deve, al riguardo, ribadirsi quanto ancora di recente sostenuto da questa
Corte con la sentenza n. 2886 del 2014, sebbene si giunga, in ragione della
diversa collocazione temporale dei fatti in quella occasione in discussione, ad
esiti opposti rispetto a quelli allora attinti.
Invero, osserva la Corte, con il dlgs n. 261 del 1999, adottato sulla base
della delega contenuta nell’art. 1, commi 1 e 3, della legge n. 25 del 1999, il
Governo ha inteso recepire la direttiva comunitaria 97/67/CE, concernente
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rispettato, il dies a quo per la proposizione dell’appello avverso di essa ha

regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali
comunitari; fra i contenuti del predetto decreto legislativo vi era, fra l’altro,
all’art. 4, comma 5, la previsione che “indipendentemente dai limiti di prezzo
e di peso, sono compresi nella riserva di cui al comma 1) gli invii
raccomandati attinenti alle procedure amministrative e giudiziarie”; la riserva
richiamata alla riportata disposizione, a sua volta garantiva che “al fornitore
del servizio universale, nella misura necessaria al mantenimento dello stesso,

distribuzione di invii di corrispondenza interna e transfrontaliera”.
Ciò posto,e considerato che, secondo la definizione che ne è data dall’art.
1, comma 2, lettera i), del ricordato dlgs n. 261 del 1999, deve intendersi per
invio raccomandato il “servizio che consiste nel garantire forfettariamente
contro i rischi di smarrimento, furto o danneggiamento e che fornisce al
mittente una prova dell’avvenuto deposito dell’invio postale e, a sua richiesta,
della consegna al destinatario”, va, altresì, precisato che il predetto decreto
legislativo, all’art. 23, comma 2, prevedeva che “in sede di prima attuazione,
con riferimento all’articolo 14 del decreto legge 11 luglio 1992, n. 333,
convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, il servizio
universale è affidato alla società p.a. Poste Italiane per un periodo, comunque
non superiore a quindici anni dalla data di entrata in vigore del presente
decreto, da determinarsi dall’autorità di regolamentazione, compatibilmente
con il processo di liberalizzazione in sede comunitaria”.
Siffatte disposizioni sono state, giova ulteriormente precisare, oggetto di
parziale novellazione per effetto del dlgs n. 58 del 2011, emanato a seguito
della delega legislativa contenuta nell’art. 37 della legge n. 96 del 2010,
finalizzata a dare attuazione alla direttiva euro unitaria 2008/6/CE.
Fra le disposizioni novellate vi è anche l’art. 4, il quale, nel testo
attualmente vigente, prevede, al comma 1, lettera a), che, siano affidati in via
esclusiva al gestore del servizio universale, nuovamente identificato con Poste
Italiane Spa, al novellato art. 23, comma 2, del dlgs n. 261 del 1999, “a) i
servizi inerenti le notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a
mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari di cui alla legge
20 novembre 1982, n. 890, e successive modificazioni”.
Tale disposizione, della quale è chiara la portata più ridotta rispetto al
precedente testo normativo, è entrata in vigore, unitamente alla restante
parte del citato dlgs n. 58 del 2011, in data 30 aprile 2011.
Ritiene, pertanto, questa Corte che, mentre sulla base della legislazione
attualmente vigente deve ritenersi che il monopolio del gestore del servizio
postale universale sia ristretto ai soli invii per posta degli atti giudiziari cui
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possono essere riservati la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la

debba applicarsi la disciplina della legge n. 890 del 1982, laddove per i
restanti atti, pur inerenti a procedure giudiziali, siffatto monopolio non sia più
operante, per gli invii precedenti alla entrata in vigore del testo novellato del
ricordato art. 4 del dlgs n. 261 del 1999, debba continuare ad applicarsi la
disciplina previgente, per effetto della quale era riservata al gestore del
servizio universale l’attività di recapito degli invii raccomandati attinenti alle
procedure giudiziarie.

normativa rilevante, osserva la Corte, per un verso, che sulla base della
vigente legislazione, non può ritenersi che fra i servizi ancora oggi riservati in
via esclusiva a Poste Italiane Spa rientri il servizio di invio e recapito a mezzo
raccomandata dell’atto di impugnazione penale secondo la previsione dell’art.
583 cod. proc. pen.; può infatti escludersi che la comunicazione di tale atto
all’ufficio che abbia emesso la innpugnanda sentenza debba essere compiuta
seguendo le formalità previste dalla legge n. 890 del 1982, sicché può
certamente affermarsi che ad oggi la trasmissione dell’impugnazione penale
può essere fatta anche avvalendosi di raccomandata trasmessa da qualsiasi
vettore privato, purché titolare della licenza individuale rilasciatagli dal
Ministero dello sviluppo economico (in tale senso la già ricordata Corte di
cassazione, Sezione III penale, 22 gennaio 2014 n. 2886).
Osserva, tuttavia, per altro verso, che sino alla entrata in vigore del testo
novellato dell’art. 4 del dlgs n. 261 del 1999, cioè sino al 30 aprile 2011,
vigendo ancora la riserva in favore di Poste Italiane Spa in materia di invio di
raccomandate “attinenti alle procedure amministrative e giudiziarie”, la
trasmissione dell’atto di appello per il tramite dei servizio di un vettore diverso
dal gestore del servizio universale, non soddisfaceva i requisiti formali richiesti
dall’art. 583, comma 1, cod. proc. pen. il quale, nel prevedere la possibilità di
proporre impugnazione con “atto da trasmettersi a mezzo di raccomandata”
non poteva che riferirsi, stante la indubitabile sua attinenza ad una procedura
giudiziaria, ad una raccomandata recapitata tramite Poste italiane spa.
Considerato che nel caso ora in esame l’atto di impugnazione proposto
dalla Nagel è stato inoltrato in data 4 febbraio 2011, cioè prima della entrata
in vigore del più volte richiamato testo attuale dell’art. 4 del dlgs n. 261 del
1999, e tenuto conto della evidente natura processuale dell’atto in questione,
la quale impone l’applicazione del principio del tempus regit actum, di tal che
deve essere scrutinata la sua regolarità alla stregua della normativa vigente al
momento in cui l’atto è stato compiuto, deve concludersi per la ineccepibilità
della sentenza della Corte aquilana, la quale, ritenuto non applicabile il
comma 2 dell’art. 583 cod. proc. pen., ha dichiarato inammissibile, in quanto
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Così brevemente ricostruita, anche sotto il suo profilo diacronico, la

tardivo, il ricorso in appello proposto dalla Nagel, prendendo quale termine di
riferimento ai fini della valutazione della tempestività del gravame non la data
di spedizione dell’atto di impugnazione, come avrebbe dovuto fare ove avesse
ritenuto la fattispecie regolata dal comma 2 dell’art. 583 cod. proc. pen., ma
quella in cui l’atto è pervenuto alla cancelleria del giudice che aveva emesso la
sentenza gravata.
Purtuttavia, la sentenza della Corte abruzzese deve essere annullata;

cassazione della Nagel ora esaminato, è compito di questa Corte valutare se il
tempo trascorso fra il momento della commissione del reato contestato alla
ricorrente, reato che, va ricordato, a seguito della intervenuta riformulazione
del comma 5 dell’art. 73 del dPR n. 309 del 1990, va considerato non più
come ipotesi circostanziata ma come ipotesi delittuosa autonoma, e la data
della presente sentenza sia tale da comportare la estinzione del reato stesso
per prescrizione.
L’esito di tale verifica è nel senso, appunto, della estinzione del reato;
infatti, posto che l’epoca del commesso reato è individuabile, sulla base della
rubrica elevata a carico della ricorrente, nel maggio del 2005 e tenuto conto
del fatto che, sulla base della pena detentiva edittale massima ora riferita alla
violazione del comma 5 dell’art. 73 del dPR n. 309 del 1990 (pari ad anni 4 di
reclusione) il reato ascritto alla Nagel si prescrive nel temine massimo di 7
anni e sei mesi, non essendo mai detto termine stato soggetto a fattori che ne
possono avere determinato la sospensione, il reato contestato alla Nagel si è
prescritto al novembre del 2012.
Non

sussistendo,

pertanto,

elementi

per un

più

favorevole

proscioglimento, la sentenza a carico della Nagel deve essere annullata, senza
rinvio, per essersi il reato a lei contestato estinto per prescrizione.
PQM
Annulla nei confronti di Nagel Monika la sentenza impugnata senza rinvio
perché i reati sono estinti per prescrizione;
Dichiara inammissibile il ricorso di Panichi Giuseppe e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore
della Cassa delle ammende
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2014
Il Consigliere est nsore

Il Presidente

considerato, infatti, non inammissibile ma solamente non fondato il ricorso per

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