Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20376 del 17/04/2018
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20376 Anno 2018
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: AIELLI LUCIA
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RAHO VITO nato il 17/01/1970 a MANDURIA
avverso la sentenza del 27/02/2017 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere LUCIA AIELLI;
Data Udienza: 17/04/2018
In fatto e in diritto
Raho Vito ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Lecce Sez.
distaccata di Taranto che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di
Taranto del 19/11/2014, dichiarati estinti i reati di cui ai capi c) e d)
dell’imputazione per prescrizione, rideterminava la pena inflitta in ordine al
delitto di estorsione in anni tre, mesi quattro di reclusione, chiedendone
l’annullamento per violazione di legge ed illogicità della motivazione ( art. 606
con l’odierno ricorrente.
Il ricorso è inammissibile in quanto generico limitandosi il ricorrente a
ripercorrere gli stessi motivi di doglianza già proposti in sede di appello ed ivi
adeguatamente superati. Si deve riaffermare infatti che è inammissibile il ricorso
per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di
quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito,
dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto
omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la
sentenza oggetto di ricorso ( Sez. 6 n.20377 del 11/03/2009, Rv. 243838; Sez.
2 11951/2014, rv. 259425).
Nella specie la Corte di merito ha sottolineato quali fossero gli elementi di
fatto in forza dei quali dovesse pervenirsi all’identificazione dell’interlocutore
autore della richiesta estorsiva con l’odierno ricorrente avendo proceduto
all’ascolto diretto delle intercettazioni e verificato la sussistenza di elementi di
riscontro oggettivo a quanto riferito dal perito fonico
Tutto ciò preclude qualsiasi ulteriore esame da parte della Corte di
legittimità (Sez. U n. 12 del 31/5/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez.. U. n. 47289
del 24.9.2003, Petrella, Rv. 226074).
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore
della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in € 3.000,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa delle
ammende.
Roma, 17/4/2018
lett. c) ed e) c.p.p.), avuto riguardo alla identificazione del soggetto intercettato