Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20367 del 26/03/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 20367 Anno 2015
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ZAMPELLA ROBERTO N. IL 12/06/1977
avverso la sentenza n. 38606/2013 CORTE DI CASSAZIONE di
ROMA, del 06/05/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO;
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 26/03/2015

Udito il difensore avv. E. Martino, che ha illustrato il ricorso e ne ha chiesto raccoglimento.

1. Il difensore di Zampella Roberto propone ricorso straordinario per cassazione ai
sensi dell’articolo 625 bis cpp avverso la sentenza della prima sezione di questa corte numero
30606/2013 (RG), emessa il giorno 6 maggio 2014 e depositata il 9 settembre successivo, con
la quale, tra l’altro, è stato rigettato il ricorso proposto nell’interesse del predetto Zampella
avverso la sentenza emessa il 22 febbraio 2013 dalla corte d’appello di Napoli nel proc.
8720/2012, con la quale – tra l’altro – egli era stato condannato a pena di giustizia, perché
ritenuto colpevole del delitto di cui all’articolo 416 bis cp, variamente aggravato.
1.1. Si sostiene nel ricorso che il giudice di legittimità è incorso in un errore percettivo
quando ha ritenuto che la aggravante della disponibilità di armi da parte della associazione cui
Zampella era accusato di appartenere emergesse dagli atti e, comunque, dalla contestazione,
laddove così non è, atteso che, se da un lato, vi è la indicazione del quarto comma dell’articolo
416 bis cp, dall’altro, manca la contestazione in fatto relativa alla disponibilità di armi. Orbene,
la più recente giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la contestazione dell’aggravante in
questione deve sempre essere effettuata. A pagina 30 della sentenza della corte di cassazione
sezione prima si rinviene solamente un’indicazione astratta della esistenza della contestazione
di tale aggravante, che, tuttavia, non si traduce in rappresentazione chiara e precisa del fatto,
rappresentazione idonea a radicare l’addebito dell’aggravante in questione e a porre la difesa
in grado di articolare un’adeguata risposta.
1.2. La corte EDU, per parte sua, con la nota sentenza Drassich contro Italia, ha chiarito
che l’imputato non deve essere “sorpreso” dalla qualificazione giuridica del fatto operata dal
giudice e che appaia diversa da quella enunciata nella imputazione, in quanto egli deve aver
avuto l’opportunità di discutere adeguatamente su tale qualificazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza, ai limiti della incomprensibilità
(e, dunque, sotto tale aspetto, appare anche generico).
Il ricorrente va condannato alle spese del grado e al versamento di somma in favore della
cassa ammende, somma che, in considerazione della natura – pressoché temeraria – delle
argomentazioni esibite, si stima equo determinare in € 2000.
2. Invero, premesso che la sentenza citata nel ricorso (ASN 201405075-RV 258046) si
riferisce alla mancata contestazione della recidiva e non dell’aggravante di cui al comma quarto
dell’articolo 416 bis cp, è da dire che la contestazione di appartenenza all’associazione
camorristica, per come riportata nello stesso ricorso, contiene la menzione in fatto (oltre alla
enunciazione degli estremi normativi) dell’essere detta associazione armata. Invero, come si
legge a pagina 2, quarto rigo, del ricorso che l’avv. Martino ha sottoscritto, il capo di
imputazione faceva riferimento alla “contrapposizione armata” (testuale) tra l’associazione
malavitosa alla quale Zampella apparteneva (che, dalla sentenza della prima sezione di questa
corte, emerge essere il famigerato clan dei casalesi) e, evidentemente, altri raggruppamenti
delinquenziali operanti in Casal di Principe, Castelvolturno e altre zone della provincia di
Caserta e Napoli.
2.1. Sembra davvero superfluo precisare che una contrapposizione armata non può che
avvenire – appunto – attraverso l’uso di armi, in quanto l’aggettivo qualificativo (“armata”),
riferito al sostantivo (“contrapposizione”) non può che significare, secondo logica e
grammatica, che i protagonisti della vicenda si contrapponevano reciprocamente, facendo uso
(o comunque contando sul possesso, personale o collettivo) di armi.
Non si comprende dunque in cosa sarebbe consistito l’errore percettivo nel quale sarebbe
caduta la prima sezione di questa suprema corte, atteso che un gruppo che si contrappone con
armi ad un altro deve, per il principio di non contraddizione, avere la disponibilità delle
predette armi.
2.2. D’altra parte, a pagina 30 della sentenza impugnata, la prima sezione di questa
corte suprema, ricordato che l’aggravante de qua ha natura oggettiva (e quindi è applicabile
anche agli associati che, personalmente, non abbiano avuto disponibilità materiale di armi),

RITENUTO IN FATTO

3. Tanto chiarito, poiché – ad evidenza – la prima sezione ha preso in considerazione la
problematica in questione ed ha adeguatamente motivato in merito, davvero non si comprende
(lo si ripete) in cosa sarebbe consistito l’errore di percezione.
Meno che mai si comprende la pertinenza della citata sentenza della corte EDU, Drassich
contro Italia che, come lo stesso ricorrente riporta, fa riferimento a qualificazioni giuridiche
operate, appunto, “a sorpresa” dal giudice, il quale si sia discostato da quella originariamente
enunciata nel capo d’imputazione. Ma, come ampiamente detto e ripetuto, lo stesso capo
d’imputazione (che proprio il ricorrente trascrive) fa menzione dell’uso di armi da parte
dell’associazione camorristica che, anche attraverso la violenza (ad abundantiam, si ripete:
armata), aveva imposto la sua supremazia nelle predette province della Campania.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente il pagamento delle spese del
procedimento e al versamento della somma di duemila euro in favore della cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma, camera di consiglio, in data 26 marzo 2015.-

afferma, conseguentemente, che, se anche Zampella si fosse esclusivamente occupato di
estorsioni (per conto del clan), senza mai portare seco armi, non di meno, per la sua accertata
appartenenza alla struttura malavitosa casertana, doveva – comunque – essere chiamato a
rispondere del delitto associativo, aggravato ai sensi del quarto comma dell’art. 416 bis cp.

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