Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20361 del 24/03/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 20361 Anno 2015
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COEN CORRADO N. IL 08/12/1971
avverso l’ordinanza n. 1644/2014 TRIB. LIBERTA’ di MILANO, del
12/12/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GERARDO§ABEQNE ;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. Amitmo
1544 ,, a,
è/L ity. (1041-0

Uditi difensor Avv.;

ftplit

Data Udienza: 24/03/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Milano, in funzione di Giudice del riesame, con ordinanza
del 12 dicembre 2014, ha rigettato il ricorso proposto da Coen Corrado, indagato
per due reati dì manipolazione di mercato di cui all’articolo 185 T.U.F., avverso

la misura cautelare personale della custodia in carcere.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’indagato, a
mezzo dei propri difensori, lamentando:
a)

una violazione di legge in ordine alla sussistenza delle esigenze

cautelari del pericolo di reiterazione di condotte analoghe (articolo 274, comma 1
lettera c) cod.proc.pen.);
b) una violazione di legge e un vizio di motivazione relativamente al
concreto pericolo d’inquinamento delle prove (articolo 274, comma 1 lettera a)
cod. proc. pen.);
c) una violazione di legge e la mancanza, contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione relativamente al pericolo di fuga (articolo 274 comma
1 lettera b) cod.proc.pen.);
d) una violazione di legge e una motivazione illogica in relazione alla
ritenuta inidoneità dell’abitazione dell’ex convivente quale luogo per gli arresti
domiciliari e in ogni causa la mancanza di proporzionalità ed adeguatezza della
disposta misura coercitiva (articolo 275 cod.proc.pen.).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non merita accoglimento.
2. Come premessa deve notarsi come, in tema di misure cautelari
personali, le tre esigenze cautelari relative al pericolo di inquinamento delle
prove, al pericolo di fuga e di reiterazione del reato, non debbano
necessariamente concorrere, bastando anche l’esistenza di una sola di esse per
fondare la misura (v. a partire da Cass. Sez. VI 12 dicembre 1995 n. 4829 fino a
Cass. Sez. V 18 ottobre 2011 n. 44132).
Nella specie, non si ravvisa alcuna motivazione incongrua o irrazionale
nell’aver ritenuto sussistenti i tre fondamenti causali della chiesta misura
cautelare e tali accertamenti sono stati, vieppiù, ispirati alla pacifica
1

l’ordinanza del GIP presso il medesimo Tribunale con la quale era stata applicata

giurisprudenza di questa Corte per cui non può richiedersi una rilettura dei fatti
così come correttamente interpretati e logicamente giustificati dal Giudice del
riesame.
Invero, non può questa Corte di legittimità entrare nel merito dei fatti
che, a giudizio del Tribunale, possano o meno integrare le condizioni di cui
all’articolo 274, comma 1 lettere a), b) e c) cod.proc.pen., allorquando dalla

ragionamento, che nella specie non è dato di evincere.
3. Quanto al primo motivo, in diritto, si osserva come il parametro della
concretezza, cui si richiama l’articolo 274 cod.proc.pen., comma 1 lett. c), non si
identifichi con quello di “attualità” del pericolo, derivante dalla riconosciuta
esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati,
dovendo, al contrario, il predetto requisito essere riconosciuto alla sola
condizione necessaria e sufficiente che esistano elementi “concreti” (cioè non
meramente congetturali) sulla base dei quali possa affermarsi che il soggetto
inquisito possa facilmente, verificandosene l’occasione, commettere reati
rientranti fra quelli contemplati dalla suddetta norma processuale (v. Cass. Sez. I
3 giugno 2009 n. 25214 e Sez. VI 5 aprile 2013 n. 28618).
In altri termini, le esigenze connesse alla cosiddetta tutela della
collettività devono concretarsi nel pericolo specifico di commissione di delitti
collegati sul piano dell’interesse protetto; trattandosi di valutazione prognostica
di carattere presuntivo, il Giudice è tenuto a dare concreta e specifica ragione dei
criteri logici adottati.
Ai fini del giudizio prognostico previsto dall’articolo 274 cod.proc.pen.,
comma 1 lett. c), deve, inoltre, aversi riguardo alle specifiche modalità e
circostanze del fatto, indicative dell’inclinazione del soggetto a commettere reati
della stessa specie, alla personalità dell’indagato, da valutare alla stregua dei
suoi precedenti penali e giudiziali, all’ambiente in cui il delitto è maturato,
nonché alla vita anteatta dell’indagato stesso.
L’espressione “delitti della stessa specie”, con la quale il legislatore
delimita l’area dei sintomi utilizzabili ai fini di siffatto giudizio, a riguardo della
probabilità di ricaduta nel reato, ha valore oggettivo e va riferita ai delitti che
offendono lo stesso bene giuridico.
Da tali elementi, di carattere oggettivo, il Giudice deve giungere, con
motivazione congrua ed adeguata, esente da vizi logici e giuridici, alla
formulazione di una prognosi di pericolosità dell’indagato in funzione della
salvaguardia della collettività, che deve tradursi nella dichiarazione di una
2

motivazione dell’impugnato provvedimento non sia evidente una illogicità del

concreta probabilità che egli commetta alcuno dei delitti indicati nel suddetto
articolo 274 cod.proc.pen. comma 1, lett. c).
Il provvedimento impugnato, questa volta in fatto, appare conforme ai
principi in precedenza enunciati, avendo correttamente messo in luce, nella
prospettiva di cui all’articolo 274 cod.proc.pen., comma 1 lett. c), la
“notevolissima abilità e capacità di manovra da parte dell’indagato, attraverso lo

al fine illecito di manipolare ed alterare i valori dei titoli mobiliari”.
Inoltre, l’evidenziata presentazione di lettere di dimissioni dalle cariche
sociali appare circostanza del tutto neutra, ai fini della valutazione del pericolo di
commissione di ulteriori reati, in quanto non costituisce affatto ostacolo a
ripercorrere altre vie illecite per manipolare il mercato sia per interposta persona
che personalmente.
4.

Quanto al secondo motivo, si osserva che per orientamento

giurisprudenziale costante ai fini dell’applicazione o del mantenimento di una
misura cautelare personale, il pericolo di inquinamento probatorio vada valutato
con riferimento sia alle prove da acquisire sia alle fonti di prova già acquisite; e
ciò in considerazione della spiccata valenza endoprocessuale del dato riferito alle
indagini preliminari ed alla sua ridotta utilizzabilità in dibattimento.
Pertanto, al fine di prevenire il persistente e concreto pericolo di
inquinamento probatorio, a nulla rileva il fatto che le indagini siano in stato
avanzato ovvero siano già concluse, in quanto l’esigenza di salvaguardare da
inquinamento l’acquisizione e la genuinità della prova non si esaurisce con la
chiusura delle indagini preliminari (v. a partire da Cass. Sez. Un. 25 ottobre 1994
n. 19 fino a Cass. Sez. V 26 novembre 2010 n. 1958).
A maggior ragione, questa volta con riferimento al presente ricorso, del
tutto logica e corretta è l’affermazione del Tribunale del riesame allorquando
ancora la sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’articolo 274 comma 1
lettera a) cod.proc.pen. alla presenza dell’odierno indagato al “centro di un
sistema di società. .coinvolte in catene di controllo delle società operative”.
5. Quanto al terzo motivo, va ribadito che la sussistenza del pericolo di
fuga ai fini dell’articolo 274 cod.proc.pen., comma 1, lett. b), non deve essere
desunta esclusivamente da comportamenti materiali che rivelino l’inizio
dell’allontanamento o una condotta indispensabilmente prodromica, essendo
sufficiente stabilire, in base tra l’altro alla concreta situazione di vita del
soggetto, alle sue frequentazioni, ai precedenti penali, ai procedimenti in corso,
un reale ed effettivo pericolo, pur sempre interpretato come giudizio prognostico
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spregiudicato utilizzo di veicoli societari e sofisticati strumenti finanziari, piegata

e non come mera constatazione di un avvenimento “in itinere” che, proprio per
tale carattere può essere difficilmente interrotto ed eliminato con tardivi
interventi (v. Cass. Sez. H 5 dicembre 2013 n. 51436).
Nella specie l’impugnato provvedimento ha fatto discendere logicamente il
suddetto pericolo non solo dall’effettivo tentativo di fuga sventato dagli Agenti
operanti proprio alla frontiera ma, altresì, dalla possibilità di ulteriori contatti al

6. Quanto all’ultimo motivo, giova rammentare come in tema di scelta e di
adeguatezza delle misure cautelari, ai fini della motivazione del provvedimento di
custodia in carcere, non sia neppure necessaria un’analitica dimostrazione delle
ragioni che rendano inadeguata ogni altra misura, ma sia sufficiente che il
Giudice indichi, con argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalità
di commissione dei reati, nonché dalla personalità dell’indagato, gli elementi
specifici che, nella singola fattispecie, facciano ragionevolmente ritenere la
custodia in carcere come la misura più adeguata ad impedire la prosecuzione
dell’attività criminosa, rimanendo in tal modo superata e assorbita l’ulteriore
dimostrazione dell’inidoneità delle subordinate misure cautelari (v. Cass. Sez. VI
20 aprile 2011 n. 17313 e Sez. V 4 luglio 2014 n. 51260).
A ciò si aggiunga come, in tema di misure cautelari personali, la
previsione di cui all’articolo 275 bis cod.proc.pen., introdotta dall’articolo 16 D.L.
24 novembre 2000, n. 341, convertito dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4
stabilendo che il Giudice nel disporre la misura degli arresti domiciliari anche in
sostituzione della custodia cautelare possa prescrivere, in considerazione della
natura e del grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto,
l’adozione di mezzi elettronici o altri strumenti tecnici di controllo non introduce
una misura coercitiva ulteriore, rispetto a quelle elencate negli articoli 281 e
seguenti cod.proc.pen. ma unicamente una condizione sospensiva della custodia
in carcere, la cui applicazione viene disposta dal Giudice contestualmente agli
arresti dorniciliari e subordinatamente al consenso dell’indagato all’adozione dello
strumento elettronico.
Ne deriva che il suddetto braccialetto rappresenta una cautela che il
Giudice può adottare, se lo ritiene necessario, non già ai fini della adeguatezza
della misura più lieve, vale a dire per rafforzare il divieto di non allontanarsi dalla
propria abitazione ma ai fini del giudizio, da compiersi nel procedimento di scelta
delle misure, sulla capacità effettiva dell’indagato di autolimitare la propria
libertà personale di movimento, assumendo l’impegno di installare il braccialetto
e di osservare le relative prescrizioni (v. Cass.Sez. II 29 ottobre 2003 n. 47413).
4

di fuori dei confini dello Stato.

Nella specie il ricorrente, da un lato, entra nel merito del provvedimento
impugnato offrendo una valutazione della scelta della misura cautelare più
idonea ancorata a situazioni di fatto già esaminate dal Giudice a quo e da questo
disattese con valutazione immune da vizi logici.
D’altra parte, la più lieve misura della detenzione domiciliare presso
l’abitazione dell’ex convivente è stata ritenuta inidonea anche per l’affermata

espresso dalla possibilità di continuare ad operare, sia direttamente che per
interposta persona, nel capo dell’attività finanziaria anche internazionale.
7. Il ricorso va, in definitiva, rigettato e il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali.
P.T.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

Così deciso il 24 marzo 2015.

incapacità autocustodiale del ricorrente, derivata vieppiù da quanto dianzi

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