Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20336 del 17/04/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 20336 Anno 2018
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: AIELLI LUCIA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
DAUNISI VITA ANNALISA nato il 12/08/1987 a MARSALA

avverso la sentenza del 08/02/2017 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere LUCIA AIELLI;

Data Udienza: 17/04/2018

In fatto e in diritto

Daunisi Vita Annalisa ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di
Palermo del 8/2/2017 confermativa della sentenza del Tribunale di Marsala che
l’aveva condannata in ordine al delitto di ricettazione, alla pena ritenuta di
giustizia , chiedendone l’annullamento ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c)

motivazione avuto riguardo alla inutilizzabilità delle dichiarazioni autoaccusatorie
rese dell’imputata quando la stessa la stessa risultava già indagata; deduce
altresì la mancanza ed contraddittorietà della motivazione avuto riguardo alla
ritenuta sussistenza del delitto di ricettazione pur in assenza di prova positiva del
dolo non potendosi a questo assimilare la mancanza di diligenza nel verificare la
provenienza della res.
Il ricorso è generico limitandosi la ricorrente a ripercorrere gli stessi
motivi di doglianza già proposti in sede di appello ed ivi adeguatamente superati.
Si deve riaffermare infatti che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato
su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in
appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi
considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere
la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di
ricorso ( Sez. 6 n.20377 del 11/03/2009, Rv. 243838; Sez. 2 11951/2014, rv.
259425).
Nella specie la Corte d’appello ha sottolineato quali fossero gli elementi di fatto
in fatto in forza dei quali la Daunisi dovesse essere ritenuta colpevole del delitto
a lei ascritto, tenuto conto dell’accertata, e mai convincentemente giustificata,
disponibilità del telefonino di provenienza furtiva in oggetto (all’evidenza
acquisita fuori dai canali ordinari e legittimi di circolazione).
In tal modo, la Corte di appello si è correttamente conformata – quanto alla
qualificazione giuridica del fatto accertato – al consolidato orientamento di
questa Corte (per tutte, Sez. II, n. 29198 del 25/05/ 2010, Fontanella, rv.
248265), per il quale, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la
prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base
dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la
quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente
spiegabile con un acquisto in mala fede; d’altro canto (Sez. II, n. 45256 del
22/11/2007, Lapertosa, Rv. 238515), ricorre il dolo di ricettazione nella forma
eventuale quando l’agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa

ed e) cod. proc. pen.; deduce la mancanza e manifesta illogicità della

acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una
semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, che
invece connota l’ipotesi contravvenzionale dell’acquisto di cose di sospetta
provenienza. Né si richiede all’imputato di provare la provenienza del possesso
delle cose, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell’origine del
possesso delle cose medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensì ad un
onere di allegazione di elementi, che potrebbero costituire l’indicazione di un
tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice, e che comunque

del libero convincimento (in tal senso, Cass. pen., Sez. un., n. 35535 del
12/07/2007, Rv. 236914).
E, nel caso di specie, l’acquisto di un telefono cellulare fuori dai canali ufficiali di
commercializzazione, è certamente sintomatico del dolo di ricettazione (quanto
meno eventuale: Sez. un., n. 12433 del 26/11/2009, Rv. 246324).
All’inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p.,
la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al
versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che,
considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente
in C 2.000,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa delle
ammende.

Roma, 17/4/2018

possano essere valutati da parte del giudice di merito secondo i comuni principi

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