Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20318 del 07/05/2015

Penale Sent. Sez. 6 Num. 20318 Anno 2015
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: CAPOZZI ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
T.L.
avverso la sentenza n. 3796/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
24/10/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANGELO CAPOZZI

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. t/Av o ù’vi V1,5,0510
che ha concluso per

Data Udienza: 07/05/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 24.10.2013 la Corte di appello di Milano, a seguito di
gravame interposto dall’imputato T.L. avverso la sentenza
emessa dal locale Tribunale il 25.3.2013, in riforma di detta sentenza ha
disposto la non menzione della condanna inflitta, oltre le statuizioni
civili, confermando la responsabilità del predetto imputato in ordine al
delitto di falsa testimonianza perché, quale teste nel procedimento civile

mai visto lavorare il predetto nei cantieri di Paderno D’Adda e San Paolo
d’Argon.
2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato a mezzo
del difensore deducendo:
Mancanza di motivazione ovvero sua illogicità in ordine alla

2.1.

eccepita mancanza di conoscenza visiva del N. da parte del ricorrente
ed essendosi trascurato il risultato probatorio raggiunto dal Tribunale
circa il solo mese di potenziale co-frequentazione (“ottobre/novembre”)
terminato il 4 novembre e non raffrontandolo con il contenuto della
domanda civilistica proposta al giudice del lavoro con la quale, tra l’altro,
il N. aveva sostenuto di aver prestato la propria attività presso i
cantieri della E. dal giugno al novembre 2006 e, ancora,
presso tre cantieri diversi da quello delle case popolari di San Paolo
d’Argon.
Mancanza, contraddittorietà o illogicità della motivazione in

2.2.

ordine alla asserita irrilevanza delle mansioni svolte dall’imputato nel
periodo di ritenuta frequentazione del N. del cantiere di gan Paolo
d’Argan- Case Popolari, mansioni che – invece – erano necessariamente
collegate alla possibilità da parte del ricorrente di conoscere le persone
che prestavano attività nella determinata sede di lavoro.
2.3.

Mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in

ordine alla possibilità di contatto visivo tra l’imputato e la parte civile
anche con riferimento alle caratteristiche del cantiere di san Paolo
d’Argon, non oggetto di qualche considerazione.
2.4.

Mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in

ordine alla incidenza del contenuto della domanda svolta dal N. in
sede di ricorso ex art. 414 cod. proc. civ. sui contenuti della
testimonianza resa in quel giudizio dall’imputato nonché in relazione ai
contenuto del verbale in data 8.9.2009. La Corte finisce per riflettere
sulla circostanza secondo la quale la indicazione delle mansioni che non
1

instaurato da N. , dichiarava falsamente di non aver

implicavano contatto fisico non era stata oggetto della testimonianza,
ribaltando la precedente prospettiva della irrilevanza del contatto fisico e
visivo. Né la Corte si avvede che nel verbale della testimonianza sono
citate le mansioni del responsabile di cantiere, che prevedono il contatto
con le maestranze. Inoltre, considerando il ricorso proposto dal N.,
non era indicato il cantiere a San Paolo d’Argon delle case popolari
ALER, ma quello « presso la biblioteca», cosicché correttamente

indicati nel ricorso, non modificandosi il quadro con le successive
risposte relative al cantiere di edilizia popolare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1. Dalla lettura della prima e seconda sentenza emerge che la affermazione
di responsabilità riguarda la falsa attestazione dell’assenza dell’imputato
dal cantiere della ditta R.- subappaltatrice della ditta del padre del
ricorrente – sita in S. Paolo d’Argon ed in relazione alla realizzazione
delle case popolari ALER. Il ricorrente, ancorché in veste di supervisore
e anche di responsabile della ditta, avrebbe negato falsamente dinanzi al
giudice del lavoro che il N. avesse lavorato in detto cantiere.
L’affermazione di responsabilità si fonda sul molteplice compendio
probatorio costituito dalle dichiarazioni dello stesso N. e da quelle di
altri lavoratori del medesimo cantiere – che affermano la compresenza
del N. e del T.L.- e non è esclusa neanche dai testimoni della
difesa, né sostanzialmente negato dallo stesso imputato che, soltanto,
ha addotto una presenza non continua nel periodo interessato,
risultando presente anche documentalmente in data 30.10.2006. Di qui
la logica conclusione secondo la quale il T.L.falsamente aveva
dichiarato di non aver mai visto il N. lavorare in loco.
2. Ebbene, rispetto a tale ricostruzione dei fatti, il ricorrente sostanzialmente reiterando i motivi di appello – muove le doglianze,
accomunate dal vizio della motivazione, attraverso le quali, in realtà, da
un lato, contesta la logica conclusione che lega la qualificata presenza
del ricorrente presso il cantiere alla frequentazione di esso da parte del
lavoratore N. ; dall’altro, introduce alcune informazioni distoniche
rispetto al thema decidendi così definito, assumendo che l’oggetto della
testimonianza riguardava altri cantieri, diversi da quello relativo alle
case popolari ALER in S.Paolo d’Argon. Il primo approccio – con
2

l’imputato aveva negato che il N. avesse lavorato presso i cantieri

particolare riferimento al primo motivo – è inammissibile perché
sostanzialmente in fatto rispetto ad una motivazione che senza vizi logici
e giuridici ha ricondotto al ricorrente la falsità delle sue affermazioni
testimoniali; il secondo – espresso soprattutto dall’ultimo motivo – è
generico ed in fatto.
3. In particolare, è inammissibile il secondo motivo per genericità:
correttamente la Corte assume che non sono le mansioni dell’imputato

volta ad accertare la falsità della sua deposizione dinanzi al giudice civile
in relazione alla frequentazione del cantiere da parte del N..
4.

Del tutto generico ed in fatto è il terzo motivo che vuole introdurre la
rilevanza degli aspetti relativi alle dimensioni del cantiere rispetto alla
percezione della frequentazione delle singole maestranze.

5. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma che si stima equo
determinare in euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della
cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 7.5.2015.

oggetto della imputazione rispetto alla questione oggetto del processo ,

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