Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20315 del 17/04/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 20315 Anno 2018
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: DE SANTIS ANNA MARIA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da
DE NIGRO ANDREA n. a Bergamo il 2271171992
avverso la sentenza resa in data 14/11/2016 dalla Corte d’Appello di Brescia
– dato atto del rituale avviso alle parti;
– sentita la relazione del Consigliere Anna Maria De Santis
FATTO E DIRITTO
1.Con l’impugnata sentenza la Corte d’Appello di Brescia, in parziale riforma della decisione del
Tribunale di Bergamo, concedeva all’imputato il beneficio della non menzione, confermando la
condanna ad anni 1, mesi 8 di reclusione ed euro 400,00 di multa per i delitti di rapina
impropria e lesioni aggravate in danno di Carafa Luca.
2.Ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato personalmente, deducendo l’erronea
applicazione dell’art. 628, comma 2, cod.pen. e il correlato vizio della motivazione.
3. Il ricorso è inammissibile in quanto meramente reiterativo del gravame in ordine alla
qualificazione giuridica del fatto proposto in sede d’appello e disatteso dalla Corte territoriale
con puntuale e corretta motivazione che richiama il costante insegnamento giurisprudenziale
circa la possibilità di ravvisare l’illecito anche quando la violenza o minaccia viene indirizzata
nei confronti di soggetto diverso dal derubato ed in assenza di contestualità temporale.

1

Data Udienza: 17/04/2018

4
Infatti, nella rapina impropria, la violenza o la minaccia possono realizzarsi anche in luogo
diverso da quello della sottrazione della cosa e in pregiudizio di persona diversa dal derubato,
sicché, per la configurazione del reato, non è richiesta la contestualità temporale tra
sottrazione e uso della violenza o minaccia, essendo sufficiente che tra le due diverse attività
intercorra un arco temporale tale da non interrompere l’unitarietà dell’azione volta ad impedire
al derubato di tornare in possesso delle cose sottratte o di assicurare al colpevole l’impunità.
(Sez. 2, n. 43764 del 04/10/2013, Mitrovic e altri, Rv. 257310; n. 30127 del

4.Alla declaratoria d’inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della sanzione pecuniaria precisata in dispositivo, non ravvisandosi ragioni
d’esonero.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa delle Ammende
Così deciso in Roma il 17 aprile 2018

09/04/2009,Scalvini, Rv. 244821).

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