Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20314 del 26/02/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 20314 Anno 2015
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MORENA GIUSEPPE N. IL 14/05/1959
avverso la sentenza n. 704/2012 CORTE APPELLO di TORINO, del
06/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/02/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. \/\1)\
che ha concluso per
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Data Udienza: 26/02/2015

Udito, per la rte civile, l’Avv
Uditi SdifensomAvv.

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RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 6 dicembre 2012, in parziale riforma della sentenza del
Tribunale di Torino del 4 aprile 2011 appellata dal pubblico ministero e
dall’imputato, la Corte d’appello di Torino ha riconosciuto a Morena Giuseppe il
beneficio della non menzione, confermando nel resto la condanna del medesimo
alla pena di un anno di reclusione, con sospensione condizionale della pena, per
il reato ex art. 373 cod. pen. di cui al capo 3) (riqualificata in detti termini, già

fatto commesso il 13 aprile ed il 20 luglio 2005.
A sostegno di tali conclusioni, la Corte territoriale ha evidenziato:
– che la riqualificazione del fatto operata dal primo giudice ai sensi dell’art.
373 cod. pen. (commesso con asseverazione della perizia in data 10 giugno
2005) è corretta in virtù dell’espresso richiamo a detta norma contenuto negli
artt. 2465 e 2343, comma 2, cod. civ.;
– che la fattispecie di cui all’art. 373 cod. pen. è da ritenere speciale rispetto
a quella prevista dall’art. 479 cod. pen.;
– che Morena Giuseppe – quale revisore perito estimatore e soggetto
estraneo sia al trasferimento a Pontoriero Giuseppe delle quote della Ediltava
S.a.s., sia all’atto con cui detta società veniva trasformata in S.r.l. – ha formato
un atto ideologicamente falso sotto un duplice profilo, in quanto compiuto da un
soggetto diverso dall’imputato previa istruttoria svolta da altri nonché
ideologicamente falso nel contenuto, dal momento che il valore attribuito alla
società (pari a 30.000 euro) costituiva il frutto, non di un’attività ricognitiva e
valutativa compiuta dal perito, bensì di una deliberazione assunta a tavolino da
altri (segnatamente da Pontoriero Giuseppe, D’Agostino Ilario e Cardillo
Francesco), sulla base di un valore predeterminato e coincidente con il prezzo di
cessione delle quote della società, già indicato nella relazione redatta da
Pontoriero nel 2004, relativa alla stima della società “Sirco di Regalbuto Luca C.”,
e come ammesso da Pontoriero stesso;
– che tale ricostruzione dei fatti è stata, nella sostanza, confermata dallo
stesso Morena Giuseppe nelle dichiarazioni spontanee al pubblico ministero in
data 26 ottobre 2009 – allorché ha affermato di essersi limitato a leggere
superficialmente la perizia di stima, che riteneva essere destinata a risolvere
problematiche di natura fiscale dei suoi clienti, ed a sottoscriverla, fidandosi della
serietà professionale nel Pontoriero -, versione ribadita nell’interrogatorio del 13
aprile 2010 e poi parzialmente modificata nell’interrogatorio nel corso del
giudizio abbreviato, nel tentativo – stimato dalla Corte territoriale vano – di
ridimensionare le prime dichiarazioni arnmissive;
2

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dal primo giudice, l’originaria contestazione ex artt. 110, 117 e 479 cod. pen.),

- che non ricorrono i presupposti per riqualificare il reato ai sensi dell’art.
64, comma 2, cod. proc. civ., atteso che nella specie non sono ravvisabili i
presupposti della colpa grave, avendo Morena affermato, contrariamente al vero,
di avere svolto attività ricognitive e valutative mai compiute e di aver redatto un
elaborato in realtà proveniente dal Pontoriero, con una condotta evidentemente
sostenuta da dolo diretto.
2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso l’Avv. Maria Grazia
Cavallo, difensore di fiducia di Morena Giuseppe, e ne ha chiesto l’annullamento

2.1. Violazione di legge penale in relazione agli artt. 125, comma 3, 533,
545 e 546, comma 1 lett. e) cod. proc. pen. e
2.2. vizio di motivazione, riferiti:
– agli artt. 373, 479 e 49, comma 2, cod. pen.,
– agli artt. 373, 479 e 15 cod. pen.,
– agli artt. 373 e 479 cod. pen., in relazione al divieto di analogia in malam
partem,
– agli artt. 13, 25, comma 2, e 27, comma 2, Cost.
– agli artt. 530 e 533 cod. proc. pen.,
– all’art. 117 cod. pen.,
– agli artt. 2500, 2500-ter, 2343, 2463, 2465 cod. civ. e 64 cod. proc. civ.
Rileva il ricorrente che, ai fini della trasformazione di una società di persone in
una società di capitali, è sufficiente che il valore del capitale sociale della società
trasformanda sia superiore a 10.000 euro, di tal che la perizia di stima prevista
dall’art. 2500-ter cod. civ. ha il mero scopo di attestare l’esistenza di tale
capitale sociale minimo. Nella specie, nella perizia asseverata davanti al notaio,
Morena si è attenuto a criteri prudenziali ed ha stimato il valore netto della
società trasformanda come non inferiore a 30.000 euro, sicché in tale parte la
perizia asseverata deve ritenersi vera. Sotto diverso profilo, il ricorrente
evidenzia come il falso sia in ogni caso da ritenere innocuo e rifluente nel reato
impossibile in quanto privo di offensività, dal momento che la perizia ex art.
2500-ter cod. civ. funzionale alla trasformazione sociale non ha valenza
probatoria nella parte mendace, che è limitata al minimum del capitale sociale
che consente la trasformazione da società di persone in società a responsabilità
limitata, cioè 10.000 euro. In subordine, il ricorrente evidenzia come, nel caso in
oggetto, sia comunque ravvisabile la fattispecie prevista dall’art. 64 cod. proc.
civ., e non quella ritenuta in sentenza in forza di un’applicazione secondo
analogia in malam partem, in quanto, dal combinato disposto degli artt. 2500ter, 2343, comma 2, 2465 cod. civ. e 64 cod. proc. civ., si evince che in caso di
perizia infedele deve trovare applicazione quest’ultima disposizione, mentre la
3

per i seguenti motivi.

responsabilità prevista per il perito nominato dall’autorità giudiziaria è applicabile
all’esperto estimatore richiesto dall’art. 2500-ter cod. civ. soltanto nel caso in cui
la società di persone si trasformi in S.p.A. o S.a.p.A., atteso che, solo in tali casi,
è prevista la nomina da parte dell’autorità giudiziaria, elemento fondante la
responsabilità ai sensi dell’art. 373 cod. pen.
2.3. Intervenuta estinzione del reato per prescrizione, essendo il fatto stato
commesso in data 10 giugno 2005.
2.4. Nei motivi nuovi di ricorso ad integrazione depositati in data 12

agli artt. 125, comma 3, 533, 545 e 546, comma 1 lett. e) cod. proc. pen. ed il
vizio di motivazione, riferiti:
– agli artt. 373, 479, 49, 62, 69, 133 cod. pen.,
– agli artt. 530 e 533 cod. proc. pen.,
– agli artt. 2500, 2500-ter, 2343, 2463, 2465 cod. civ. e 64 cod. proc. civ.
in relazione al difetto dell’elemento soggettivo, atteso che, da un lato, Morena ha
ammesso di avere firmato la perizia disposta da altri, dall’altro lato, Pontoriero
ha dichiarato essere dispiaciuto di avere coinvolto l’imputato, il quale aveva fatto
affidamento sull’amico, sicchè nella specie non si può parlare di dolo, ma semmai
di colpa.
2.5.

Violazione di legge penale in relazione agli artt. 125, comma 3, 533,

545 e 546, comma 1 lett. e) cod. proc. pen. e vizio di motivazione, per avere la
Corte travisato il contenuto di diversi elementi probatori, quali: le dichiarazioni
spontanee e l’interrogatorio di Morena, le memorie prodotte ai sensi dell’art. 121
cod. proc. pen. il 27 ottobre 2009 e 13 aprile 2010, gli interrogatori di Pontoriero
ed il confronto fra Morena, Pontoriero e Ceraolo.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato
inammissibile. L’Avv. Maria Grazia Cavallo, per Morena Giuseppe, ha insistito per
l’accoglimento del ricorso e, quindi, in via subordinata, per la declaratoria di
estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2. Sotto un primo profilo, mette conto evidenziare come tutti i motivi di
ricorso si risolvano nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e
non si confrontino con le puntuali risposte fornite dalla Corte territoriale in merito
alle specifiche doglianze mosse nell’atto d’appello. Già questo basterebbe a
dichiarare l’inammissibilità del ricorso per difetto di specificità, laddove, secondo
i consolidati principi espressi da questa Corte di legittimità, i motivi costituenti
4

febbraio 2015, il ricorrente eccepisce la violazione di legge penale in relazione

mera replica di quelli già dedotti in appello risultano soltanto apparenti, in
quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata
avverso la sentenza oggetto di ricorso (Cass. Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009,
Arnone e altri, Rv. 243838).
3. Ad ogni buon conto, le doglianze mosse dal ricorrente si

palesano

manifestamente infondate.
In linea generale, non può non rilevarsi come la Corte territoriale, nel
confermare la condanna di primo grado, abbia esplicitato le ragioni per le quali

incriminatrice prevista dall’art. 373 cod. pen., con argomentazioni adeguate e
congrue, perché aderenti alle risultanze delle prove assunte nell’istruttoria
dibattimentale nonchè conformi a logica e diritto, in quanto tali insindacabili in
questa Sede.
4. Quanto al primo motivo, all’evidenza privi di fondamento risultano gli
eccepiti violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla qualificazione
giuridica del fatto ai sensi dell’art. 373 cod. pen.
4.1. Sotto un primo aspetto, va posto in luce come la fattispecie di falsa
perizia sia stata condivisibilmente ritenuta dai giudici di merito speciale rispetto a
quella di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico.
Muovono in tal senso: a) lo specifico bene giuridico tutelato dal reato ex art. 373
cod. pen., che viene tradizionalmente individuato nella sincerità e nella
completezza delle prestazioni cui sono tenuti il perito e l’interprete al fine di
garantire il buon funzionamento dell’attività giudiziaria; b) la precisa qualifica del
soggetto attivo – íd est il perito, l’interprete ovvero i soggetti ad essi equiparati
dalla legge, come appunto il consulente giurato ex art. 2500-ter cod. civ. (sul
punto si veda anche oltre) -; c) la particolare connotazione delle modalità
attuative della falsità ideologica in senso lato commessa da tali ausiliari del
giudice, che si realizza – per il perito e dunque anche per il consulente – nel dare
pareri mendaci ovvero nell’affermare fatti non conformi al vero. Elementi tutti
che contraddistinguono il delitto previsto e punito dall’art. 373 cod. pen. per
requisiti propri e caratteristici, che assolvono appunto ad una funzione
specializzante rispetto alla più ampia cornice della fattispecie incriminatrice
dell’art. 479 cod. pen.
4.2. Manifestamente infondata è anche la deduzione secondo la quale la
sussunzione del caso de quo nella fattispecie di cui all’art. 373 cod. pen. si
traduce in un’applicazione analogica in malam partem, non consentita in ambito
penale.
Ed invero, l’applicazione della indicata norma non costituisce il frutto di una
non consentita operazione ermeneutica dei decidenti di merito, ma discende
5

nella specie si debba ritenere integrata nei confronti dell’imputato la fattispecie

dalla piana lettura del dato normativo ed, in particolare, dai rinvii espressi
contenuti negli artt. 2500-ter, comma 2, 2465, comma 3, 2343, comma 2, del
codice civile e nell’art. 64 del codice di procedura civile.
Ricostruendo l’iter tracciato dai plurimi rimandi contenuti nelle disposizioni
sopra ricordate, va evidenziato che l’art. 2500-ter, comma 2, cod. civ.
(Trasformazione di società di persone) prevede che, ai fini della trasformazione
di una società di persone in società di capitali, “il capitale della società risultante
dalla trasformazione deve essere determinato sulla base dei valori attuali degli

norma (dell’art. 2343 o,) nel caso di società a responsabilità limitata, dell’art.
2465”. L’art. 2465, comma 1, cod. civ. (Stima dei conferimenti di beni in natura
e di crediti, dispone che “Chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare
la relazione giurata di un revisore legale o di una società di revisione legali iscritti
nell’apposito registro. La relazione, che deve contenere la descrizione dei beni o
crediti conferiti, l’indicazione dei criteri di valutazione adottati e l’attestazione
che il loro valore è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della
determinazione del capitale sociale e dell’eventuale soprapprezzo, deve essere
allegata all’atto costitutivo” ed, al comma 3, dispone “Nei casi previsti dai
precedenti commi si applicano il secondo comma dell’art. 2343 ed il quarto e
quinto comma dell’art. 2343 bis”.

Il richiamato art. art. 2343 (Stima dei

conferimenti di beni in natura e di crediti), al comma 2, dispone che “L’esperto
risponde dei danni causati alla società, ai soci e ai terzi. Si applicano le
disposizioni dell’art. 64 del codice di procedura civile”, norma

quest’ultima

che appunto recita che “Si applicano al consulente tecnico le disposizioni del cod.
pen. relative ai periti”, fra queste pacificamente inclusa anche quella contenuta
nell’art. 373 cod. pen. in tema di falsa perizia o interpretazione.
Erra dunque il ricorrente nell’addebitare alla Corte territoriale – che pure ha
svolto considerazioni in tutto conformi al quadro normativo sopra delineato una violazione di legge laddove ha ritenuto applicabile l’art. 373 cod. pen.
nonostante la mancanza di una formale nomina del consulente tecnico da parte
dell’autorità giudiziaria, risultando detta fattispecie incriminatrice ravvisabile – si
ribadisce – a prescindere dalla nomina del consulente tecnico da parte del
giudice, in virtù di una precisa volontà legislativa, espressa nel percorso tracciato
dagli espliciti rinvii normativi sopra ricordati.
4.3. Del tutto immune da vizi di logica come da errori di diritto è la

motivazione del provvedimento in verifica nella parte in cui si è esclusa la
ricorrenza dei presupposti del cosiddetto falso innocuo.
Assume il ricorrente che la falsità commessa da Morena nella stima del
capitale sociale è penalmente inoffensiva in quanto la consulenza richiesta
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elementi dell’attivo e del passivo e deve risultare da relazione di stima redatta a

dall’art. 2500-ter cod. civ. ai fini della trasformazione sociale ha una rilevanza
probatoria limitata alla stima del valore del capitale sociale non inferiore a
10.000 euro, costituente soglia minima per la trasformazione societaria stessa.
Ne discende che l’avere l’imputato asseverato il valore del capitale della società
(in 30.000 euro) per difetto rispetto al valore reale non può ritenersi lesivo
dell’interesse protetto dall’art. 2500-ter e presidiato dall’incriminazione in
oggetto, in quanto esso si limita a garantire che la trasformazione societaria
avvenga in presenza dei requisiti di legge (e segnatamente quello concernente il

risulta offeso qualora il valore reale del capitale – seppure attestato in misura
inferiore al vero – sia in effetti superiore a detta soglia.
La tesi è suggestiva ma palesemente illogica ed errata in diritto.
Giova in primo luogo precisare che – contrariamente all’assunto difensivo Morena, asseverando innanzi al notaio la consulenza in effetti stilata da altri e
senza compiere alcuna istruttoria allo scopo di accertare il valore reale del
capitale, non si è limitato ad attestare che il capitale aveva un valore “non
inferiore a 10.000 euro” – che appunto costituisce il

minimum

per la

trasformazione sociale -, ma ha attestato che il capitale della società aveva un
valore di 30.000 euro, quando esso era in effetti di gran lunga superiore.
Ciò premesso, come si è già evidenziato nel ripercorrere il quadro normativo
di riferimento, ai fini della trasformazione della società di persone in una società
di capitale, il legislatore ha richiesto che il valore del capitale della società
risultante dalla trasformazione sia “determinato sulla base dei valori attuali degli
elementi dell’attivo e del passivo” e sia accertato con una relazione di stima
giurata. Secondo il limpido dettato normativo, la relazione di stima è volta ad
accertare l’attuale ed effettivo valore delle attività e passività dell’azienda e deve
essere stilata seguendo una specifica procedura – appunto giurata -,
segnatamente mediante asseverazione da parte dell’esperto, dinanzi al
Cancelliere di un ufficio giudiziario ovvero dinanzi ad un notaio (come appunto
nel caso di specie), della veridicità del contenuto dell’elaborato recante in calce la
formula del giuramento di “aver bene e fedelmente adempiuto all’incarico
affidatogli al solo scopo di far conoscere la verità”. Con tale giuramento il
professionista dichiara formalmente davanti al pubblico ufficiale di avere assolto
all’incarico valutativo con scienza e coscienza e garantisce la piena fedeltà al
vero dell’elaborazione, assoggettandosi alle conseguenze di legge in caso di
consulenza infedele.
Risulta pertanto evidente come il falso ideologico commesso dal consulente
nella valutazione del capitale aziendale non possa ritenersi innocuo laddove
l’infedeltà rappresentativa concerna, non aspetti marginali e secondari
7

valore non inferiore a 10.000 euro del capitale sociale), di tal che detto bene non

dell’accertamento richiesto, bensì proprio il fulcro dell’attività valutativa, avente
quale specifico oggetto la stima del patrimonio sociale. Opinando come
suggerisce il ricorrente, si dovrebbe ritenere che qualunque relazione giurata che
sottostimi in modo artatamente falso il reale valore del capitale, a condizione che
il valore reale ed effettivo del capitale sia di almeno diecimila euro, debba
ritenersi innocua, con ciò vanificando il contenuto fideifacente dell’atto che si
connette espressamente alla stima degli elementi attivi e passivi della società.
Il ricorrente incorre dunque in un evidente strabismo logico-giuridico

e consulenze giurate affidabili così da non pregiudicare il corretto esercizio
dell’amministrazione

della

giustizia

e

l’affidamento

della

collettività

nell’attendibilità dei relativi accertamenti e giudizi, con il valore minimo del
capitale richiesto per la trasformazione societaria, che non costituisce
all’evidenza il bene giuridico tutelato dalla norma. La circostanza che la
trasformazione di una società di persone in una società di capitali presupponga
che il capitale sociale abbia un valore superiore all’indicato limite, non rende
irrilevante la stima inveritiera del capitale aziendale che sia in effetti superiore a
detta soglia minima, in quanto il risultato di tale stima è destinato a cristallizzarsi
nell’atto di trasformazione e su di esso può fare affidamento la generalità dei
consociati, in particolare coloro i quali sono destinati ad interfacciarsi con
“nuova” realtà imprenditoriale (soci, fornitori, investitori e istituti di credito).
4.4. Per il resto, la Corte territoriale ha bene argomentato la sussistenza
dei presupposti del falso ideologico laddove ha evidenziato che Morena ha
compiuto un atto ideologicamente falso sotto un duplice profilo, sia perché
formato da un soggetto diverso dal consulente e sulla base di un’istruttoria
compiuta da altri; sia perché ideologicamente falso nel contenuto, dal momento
che il valore attribuito alla società (pari a 30.000 euro) costituiva il frutto, non di
un’attività ricognitiva e valutativa compiuta dal perito, bensì di una
determinazione assunta a tavolino da altri (Pontoriero Giuseppe, D’Agostino
Ilario e Cardillo Francesco), sulla base di un valore predeterminato e coincidente
con il prezzo di cessione delle quote della società, e non rispondente al vero.
5. Altrettanto palese è l’infondatezza del motivo concernente la dedotta
insussistenza del dolo.
Ai fini della integrazione del reato di cui all’art. 373 cod. pen. è invero
richiesto il dolo generico in termini di coscienza e volontà di non di formare un
atto valutativo in termini non aderenti al vero, elemento soggettivo che non pare
seriamente revocabile in dubbio laddove Morena ha ammesso di avere firmato la
perizia disposta da altri all’esito di un’attività istruttoria e valutativa dal

8

laddove confonde il bene tutelato dalla fattispecie incriminatrice ad avere perizie

fr

medesimo non eseguita, con ciò confessando di avere consapevolmente voluto
formare un atto ideologicamente falso quanto a provenienza e contenuto.
6. Il quinto motivo è inammissibile in quanto si sviluppa solo sul piano del
merito, laddove il ricorrente si duole della valutazione compiuta dai decidenti di
merito delle risultanze probatorie raccolte nella istruttoria dibattimentale e
dunque ne sollecita una diversa lettura. Esula, infatti, dai poteri della Corte di
legittimità quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è riservata, in via esclusiva, al giudice di merito,

diversa – e per il ricorrente più adeguata – valutazione delle risultanze
processuali (ex plurimis Cass. Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099;
Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, Rv. 236893).
A fronte della plausibile ricostruzione della vicenda, come descritta in
narrativa, e dei precisi riferimenti probatori operati dal giudice di merito, in
questa Sede non è ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per
giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti, dovendosi la Corte di legittimità
limitare a ripercorrere l’iter argomentativo svolto dal giudice di merito per
verificarne la completezza e l’insussistenza di vizi logici ictu ocull percepibili,
senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni
processuali (ex plurimis Cass. Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv.
226074).
7. Stante l’inammissibilità del ricorso, non v’è materia per la dedotta
estinzione del reato per prescrizione.
8. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma a
favore della Cassa della Ammende, che si ritiene congruo fissare nella misura di
1000 euro.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso in Roma il 26 febbraio 2015

Il consigliere estensore

Il Presidente

senza che possa integrare un vizio di legittimità la mera prospettazione di una

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