Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20307 del 05/11/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 20307 Anno 2015
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LEO GUGLIELMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da

Privitera Dario Santo, nato a Catania il 24/09/1980

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania del 17/01/2014

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Guglielmo Leo;
udite le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto dott.
Roberto Aniello, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. È impugnata la sentenza del 17/01/2014 con la quale la Corte d’appello di
Catania ha confermato la decisione del Giudice per le indagini preliminari del
locale Tribunale, di condanna nei confronti di Dario Santo Privitera per il delitto
di cui al comma 1 dell’art. 73 del d.P.R. 309/1990.
L’imputazione si riferisce all’illecita detenzione di cocaina per g. 13,477 (circa
90 dosi medie) ed alla cessione in favore di un acquirente di un ulteriore piccolo
quantitativo della medesima sostanza.

Data Udienza: 05/11/2014

La Corte territoriale ha escluso la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione
del comma 5 dell’art. 73 del citato Testo unico, dovendosi escludere la
sufficienza a tal fine di un dato ponderale contenuto, ed essendo invece
necessario che tutti i profili indicati nella norma convergano nel delineare, per il
caso concreto, un minima capacità offensiva del bene tutelato.
Nella specie, il numero delle dosi ricavabili dal materiale detenuto sarebbe
comunque rilevante, e d’altra parte vi sarebbero segnali univoci del carattere
professionale dell’attività di spaccio (detenzione di attrezzi per la pesatura ed il

I Giudici dell’appello hanno anche negato le invocate attenuanti generiche,
non trovandone giustificazione e mancando la necessità di adeguare al fatto
valori di pena eccessivi. Privitera è gravato da precedenti, anche se non specifici,
e le ammissioni rese sui fatti sarebbero scarsamente significative, dato
l’intervenuto accertamento in flagranza del reato contestato (accertamento che
per altro il ricorrente avrebbe cercato di evitare, dissimulando la disponibilità
dell’abitazione in cui era custodita la droga).

2. Ricorre personalmente l’imputato, denunciando vizi di motivazione e violazioni
della legge penale processuale (art. 125, numero 3, cod. proc. pen.) e
sostanziale (art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990).
La pretesa rilevanza dell’attività commerciale attribuita al Privitera sarebbe
priva di riscontri, essendosi accertato un solo episodio di cessione, ed essendo
ridotto il quantitativo della droga rinvenuta nella disponibilità dell’interessato.
Altra violazione della legge processuale (citato art. 125 cod. proc. pen.) e
sostanziale (art. 62-bis cod. pen.) si connetterebbe alla reiezione delle censure
mosse al diniego delle attenuanti generiche. Privitera ne sarebbe meritevole, e
sarebbero generici i motivi illustrati dalla Corte territoriale a sostegno della
propria decisione negativa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va dichiarato inammissibile, in quanto proposto per motivi diversi da
quelli consentiti e, comunque, manifestamente infondati. Dalla dichiarazione di
inammissibilità consegue per l’interessato la condanna al pagamento delle spese
processuali ed al versamento di una ulteriore somma, che la Corte, valutati i
profili del caso concreto, stima di quantificare in euro 1.000,00.

confezionamento, appunti con nomi e cifre).

2. Il ricorrente in effetti, sia pure attraverso il riferimento formale alla norma
processuale che prescrive la motivazione delle sentenze, ha inteso contestare il
merito delle decisioni assunte dalla Corte territoriale.
Tali decisioni d’altra parte – sia con riguardo alla fattispecie della lieve entità
di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309/1990, sia con riferimento alle
attenuanti generiche – sono state giustificate con motivazione adeguata e
ragionevole.
Riguardo alla prima questione, la Corte d’appello si è ispirata al principio di

Sezioni unite, secondo cui la fattispecie della lieve entità (da considerare oggi
autonoma ipotesi di reato) può essere riconosciuta solo per episodi di minima
offensività della condotta. Tale offensività deve essere misurata in base ai profili
quantitativi e qualitativi del fatto, ma anche di tutti gli altri parametri richiamati
dalla norma (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che,
se uno degli indici in questione risulta assorbente in senso negativo, non può
essere applicata la fattispecie di minor gravità (SU, Sentenza n. 357237 del
24/06/2010, Rico, rv. 247911; in seguito, tra le molte, Sez. 6, Sentenza n.
39977 del 19/09/2013, rv. 256610).
Nella specie, il Giudice di merito ha messo in rilievo anzitutto come il dato
quantitativo non sia affatto trascurabile, e certo non rileva, come invece
pretenderebbe il ricorrente, il fatto che sia stata accertata in flagranza la
cessione di una modesta quantità della sostanza detenuta, consistendo il reato,
appunto, nell’illecita detenzione di tutta la cocaina in sequestro.
D’altra parte, si sono ravvisati nella specie ulteriori elementi sintomatici di una
attività professionale e continuativa, che certo potevano essere razionalmente
valutati per una valutazione di apprezzabile offensività del fatto.
Anche in punto di attenuanti generiche la Corte territoriale ha motivato, con
chiarezza e razionalità, la propria valutazione di insussistenza, che del resto è
criticata nel ricorso in termini solo generici ed assertivi.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 05/11/2014.

diritto ormai correntemente enunciato, dopo una conforme decisione delle

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