Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20301 del 17/09/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 20301 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MAGI RAFFAELLO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
LO RUSSO ANTONIO N. IL 23/04/1981
avverso l’ordinanza n. 6118/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 13/11/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;

Data Udienza: 17/09/2015

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IN FATTO E IN DIRITTO

1. Con provvedimento emesso in data 13 novembre 2014 il Tribunale di
Sorveglianza di Roma, nel valutare i contenuti del reclamo proposto da Lo Russo
Antonio avverso il decreto ministeriale (del 11.6.2014) di sottoposizione al
regime differenziato di cui all’art. 41 bis ord.pen., accoglieva parzialmente il
reclamo (in rapporto al punto relativo alla inibizione al colloquio prolungato
trattato nell’art. 4 del suddetto decreto) con rigetto nel resto.

contenuti della decisione con cui è stata affermata (all’esito di giudizio di primo
grado, con condanna alla pena di anni venti di reclusione) la penale
responsabilità di Lo Russo Antonio per associazione di stampo mafioso nonchè
per associazione finalizzata allo smercio di stupefacenti, con ruolo di elevato
profilo, nonostante la formale elisione della previsione di cui all’art. 416 bis co.2
cod.pen. . Vi sarebbero dati dimostrativi della effettiva assunzione di un ruolo
direttivo – per quanto riguarda l’associazione finalizzata allo smercio di
stupefacenti – almeno sino al 2010.
Viene menzionata altresì la dichiarazione del collaborante Esposito Ciro, indicata
dalla difesa, secondo cui dopo la scelta collaborativa operata dal padre Lo Russo
Salvatore non era opportuno che Lo Russo Antonio mantenesse un ruolo direttivo
all’interno della consorteria criminosa e si afferma che tale affermazione non
risulta giudizialmente vagliata e non può essere ritenuta idonea ad attestare un
effettivo ridimensionamento del ruolo del Lo Russo.
Si evidenzia inoltre la finalità «preventiva» della disciplina di cui all’art. 41 bis
ord.pen., tesa ad impedire l’instaurazione e/o il mantenimento di contatti tra il
soggetto recluso ed il contesto ambientale di provenienza, il che consente
l’adozione del provvedimento anche in rapporto alla mera probabilità che tali
contatti – dato il pregresso livello di inserimento nel contesto associativo vengano realizzati ove il soggetto sia posto in regime ordinario.
Si ritiene ancora attiva l’organizzazione esterna del clan Lo Russo, non essendovi
prova della sua disarticolazione in rapporto alla scelta collaborativa del Lo Russo
Salvatore, e si precisa che dalla osservazione trattamentale non risultano emersi
elementi sintomatici di autentica dissociazione e acquisizione di valori di legalità.

2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione – a mezzo
del difensore – Lo Russo Antonio, deducendo erronea applicazione della disciplina
regolatrice e vizio di motivazione .
La difesa del ricorrente evidenzia essenzialmente due aspetti.

2

Quanto alla generale ricorrenza dei presupposti di legge, il Tribunale evidenzia i

Il profilo di pericolosità soggettiva sarebbe ricostruito esclusivamente in rapporto
alla condotta tenuta prima della sottoposizione a custodia cautelare.
Il ruolo di vertice sarebbe stato – in tesi – ricoperto sino all’anno 2010 e pertanto
in epoca antecedente alla cattura ed alla assunzione dello status di recluso.
Da ciò si deduce l’assenza di attualità della pericolosità sociale, posta la distanza
temporale intercorsa e il fatto ‘nuovo’ rappresentato dalla collaborazione con la
giustizia di Lo Russo Antonio, nei termini e con le ricadute rappresentate dal
diverso collaborante Esposito Ciro.

difesa.
Il secondo aspetto evidenziato in chiave critica sta nel recupero dei contenuti di
informative degli organi territoriali contenenti affermazioni in fatto la cui valenza
viene contestata dalla difesa del ricorrente. Ne deriva, in tesi, la importazione di
dati inidonei a raffigurare l’attuale pericolosità sociale e la capacità di mantenere
contatti con l’esterno.

3. Il ricorso va dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi
addotti, tesi peraltro a promuovere un sindacato sui contenuti motivazionali
estraneo ai poteri di questa Corte di legittimità in rapporto al provvedimento
oggetto di impugnazione.
3.1 Come è noto, avverso il provvedimento emesso dal Tribunale di Sorveglianza
in sede di reclamo circa l’applicazione o la proroga del regime differenziato di cui
all’art. 41 bis ord.pen. è ammesso ricorso per cassazione in rapporto alla sola
violazione di legge (art. 41 bis co. 2 sexies ord.pen.) .
Ciò determina la possibilità, per questa Corte di rilevare solo l’assoluta carenza di
motivazione, intesa come mancanza grafica della stessa o come redazione di un
testo del tutto sfornito dei requisiti minimi di logicità e aderenza ai dati cognitivi
acquisiti, tale da rendere incomprensibile il percorso giustificativo della decisione.
Nel caso in esame ciò non risulta affatto, posto che il Tribunale ha diffusamente
spiegato le ragioni – traendo le sue argomentazioni dal contenuto del decreto di
sottoposizione e da emergenze fattuali tratte dalla sentenza di condanna in
primo grado – per cui si è ritenuto sussistente il «pericolo» di mantenimento di
contatti tra il detenuto ed il contesto criminale di tipo associativo nel cui ambito
sono maturati i fatti contestati al Lo Russo.
Tale pericolo è stato rapportato correttamente alla particolare rilevanza del ruolo
svolto dal Lo Russo all’interno del clan camorristico e della correlata struttura
dedita allo smercio di stupefacenti, organizzazioni che risultano all’esterno
ancora operative.

3

Si evidenzia, pertanto, la sottovalutazione di tale dichiarazione, allegata dalla

Da qui la legittimità delle valutazioni operate, posto che la misura
«trattamentale» essenzialmente di carattere amministrativo – prevista dall’art.
41 bis ord.pen. – possiede essenzialmente finalità preventive (si veda, di
recente, quanto precisato da Sez. I n. 52054 del 29.4.2014, rv 261809, anche in
riferimento alla immutata natura preventiva della misura in parola, pure a
seguìto delle modifiche apportate con legge n.94 del 15 luglio 2009), tese alla
inibizione di contatti (pur in costanza di detenzione) con il contesto criminale di
provenienza.

«àggravannento» del grado di afflizione, già di per sè correlato alla limitazione di
libertà, in virtù della constatazione del livello di pericolosità soggettiva
(desumibile dalla natura del reato commesso e da altri indicatori fattuali relativi
alla personalità) che legittima l’adozione di misure idonee a

prevenire il

fenomeno del mantenimento delle capacità di incidenza del soggetto recluso
sugli accadimenti esterni.
Non si richiede, pertanto, un accertamento della perdurante condizione di
affiliato al gruppo criminoso (dato che ciò presupporrebbe l’individuazione di un
effettivo contributo arrecato all’attività del gruppo) quanto una verifica della
esistenza di elementi tali da far ragionevolmente presumere il mantenimento dei
contatti con la realtà criminale di provenienza in ipotesi di sottoposizione al
regime ordinario. Ciò corrisponde alla finalità preventiva e al contempo inibitoria
insita nella adozione di limitazioni alle ordinarie regole di trattamento
penitenziario.
Si tratta, pertanto, dì una tipica valutazione in fatto – nell’ambito della quale di
certo incide l’intensità pregressa del ruolo associativo ritenuto sussistente, come
più volte sottolineato nella presente sede di legittimità (si veda, tra le altre, Sez.
V n. 40673 del 30.5.2012, tv 253713).
Non può accedersi, pertanto, ad una prospettazione – come quella coltivata nel
ricorso – che ritiene inadeguata, ai fini sin qui descritti, la valutazione di
emergenze fattuali antecedenti alla sottoposizione a misura cautelare, posto che
è proprio da tali emergenze di fatto (ed in particolare dalla valutazione di
intensità

del pregresso apporto associativo) che si alimenta il giudizio

prognostico richiesto dalla norma.
Si tratta, peraltro, di una prognosi del tutto particolare, posto che la finalità
preventiva è correlata non già ad un pericolo di reiterazione della condotta
illecita – in quanto tale – ma si arresta ad una fase anticipata di tutela, posto che
si riduce la frequenza e si regolamenta la modalità dei contatti con i soggetti
potenziali veicoli di informazioni o potenziali ricettori di ordini, allo scopo di
evitare ogni possibile «influenza» sugli accadimenti esterni e ciò in rapporto ad
4

La condizione del soggetto detenuto, pertanto, viene sottoposta ad un

una valida massima di esperienza – elevata a parametro normativo di
conformazione del trattamento carcerario – che valorizza come dato fondante
proprio la pregessa adesione del soggetto, con particolare intensità, ad un
sistema di valori deviante, capace di alterare in profondità il sistema delle
relazioni sociali in un dato territorio (caratteiyìstica riconosciuta delle
organizzazioni mafiose, dati i caratteri tipici della incriminazione di cui all’articolo
416 bis cod.pen.).
A fronte di un inquadramento soggettivo che risulta fondato su dati emergenti da

le critiche esposte, pur formulate sotto il profilo della assenza del percorso
motivazionale in realtà ne contestano la persuasività, in rapporto a circostanze di
fatto non apprezzabili nella presente sede di legittimità.
Non vi è infatti omissione valutativa, posto che il Tribunale prende in
considerazione le potenziali emergenze tese a raffigurare una attenuazione del
«livello di inserimento» del Lo Russo nella organizzazione mafiosa ma le ritiene
soccombenti rispetto agli indicatori fattuali emergenti dalla più volte citata
decisione di primo grado.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di
elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di una
sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dell’
art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento di euro 1.000,00 a favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 17 settembre 2015

Il Consigliere estensore

Il P esidente

una decisione giurisdizionale emessa in primo grado – come nel caso in esame –

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