Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20281 del 18/02/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20281 Anno 2016
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FICICCHIA ALESSANDRO N. IL 09/03/1977
avverso l’ordinanza n. 261/2015 TRIB. LIBERTA’ di
CALTANISSETTA, del 05/11/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. 9-e-42-1-) o
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eArl,

Uditi difensor Avv.;
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Data Udienza: 18/02/2016

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ordinanza in data 5.11.2015 il Tribunale del riesame di Caltanisetta, in accoglimento
dell’appello del P.M., disponeva il ripristino della misura cautelare della detenzione in carcere
nei confronti di FICICCHIA Giuseppe, imputato del reato di appartenenza all’associazione
mafiosa Cosa Nostra operante nel territorio di Niscemi, nonché di tentata estorsione, aggravata
ex art. 7 L. n. 203/91, nei confronti di due imprenditori, fatti per i quali è pendente avanti il
Tribunale di Gela il processo di merito se rigettava l’appello dell’imputato che aveva censurato il

afflittiva quale quella dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria sostenendo l’assenza
della gravità indiziaria e le esigenze cautelari.
Il Tribunale del riesame riteneva che il Tribunale di Gela aveva emesso un provvedimento
contrastante con quanto previsto dall’articolo 275 terzo comma codice di procedura penale,
perché in presenza di un quadro indiziario in relazione ~i di cui agli articoli 416bis, 56 629
codice penale, 7 L. S. 203/91, ed a fronte della affermata permanenza di esigenze cautelari,
sia pure affievolite, ha disposto l’applicazione di una misura meno afflittiva quale quella
dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Sostiene inoltre che gli argomenti utilizzati
dal Tribunale di Gela per sostituire la misura cautelare (decorso del tempo, richiesta di
sospensione dei termini, esigenza di parità di trattamento) non costituiscono elementi che
possono essere presi in considerazione per affermare l’assenza di esigenze cautelari in
presenza di una contestazione di partecipazione ad associazione di tipo mafioso. Veniva
evidenziato come la disponibilità all’assunzione dell’imputato da parte della ditta Angelo
Salvatore non assumeva portata dirinnente i tale da dimostrare la rescissione dell’imputato da
ogni rapporto con la consorteria di appartenenza .
Ricorre per cassazione, a mezzo del difensore, l’imputato, deducendo che il provvedimento
impugnato è incorso in:
1. violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza delle
esigenze cautelari. Lamenta che i giudici del Riesame non hanno tenuto in
considerazione quanto censurato dal ricorrente e quanto statuito dal -tribunale di Gela,
ossia l’intervenuta revoca prima dell’emissione del provvedimento impugnato di analoga
misura nei confronti del coimputato (Blanco); Ancora il fatto del decorso del tempo che,
se non isolatamente considerato, ma accompagnato da altri elementi sintomatici è in
grado di acquisire rilevanza in termini di attualità delle esigenze cautelari. Si duole
anche del fatto che il tribunale del riesame non ha neanche tenuto in considerazione
che l’imputato era stato autorizzato a prestare attività lavorativa;

2. violazione di legge7 ;izio della motivazione con riguardo alla ritenuta inammissibilità del
tema dei gravi indizi di colpevolezza. Sostiene che il tribunale del riesame ha errato
laddove ha ritenuto che con l’istanza di scarcerazione non era stato sollevato il tema dei
gravi indizi di colpevolezza. evidenzia che la difesa aveva indicato elementi nuovi
1

provvedimento del Tribunale di Gela che aveva disposto l’applicazione di una misura meno

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rispetto all’invocato giudicato cautelare: in particolare le dichiarazioni dei collaboratori
sentiti all’udienza del 1° luglio 2015 che non avevano menzionato la persona del
ricorrente
3. violazione di legge, mancanza di motivazione in ordine alle argomentazioni svolte dalla
difesa nella memoria del 3 novembre 2015 dove veniva sottolineata l’attuale
inoperatività dell’associazione al di fuori del circuito carcerario e, più precisamente,la
carenza del numero minimo di associati. Allo stesso modo veniva rilevato che lo stato
custodiale del ricorrente,protrattosi per quasi due anni, non poteva che interrompere la

permanenza del vincolo associativo. In ogni caso la procura non aveva offerto la prova
dell’attualità,
Deve preliminarmente osservarsi che in tema di custodia cautelare in carcere applicata nei
confronti dell’indagato/imputato del delitto d’associazione di tipo mafioso, l’art. 275, comma
terzo, cod. proc. pen, pone una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari,
che inverte gli ordinari poli del ragionamento giustificativo, nel senso che il giudice che applica
o che conferma la misura cautelare non ha un obbligo di dimostrazione in positivo della
ricorrenza dei “pericula libertatis”, ma soltanto di apprezzamento delle ragioni di esclusione,
eventualmente evidenziate dalla parte o direttamente evincibili dagli atti, tali da smentire, nel
caso concreto, l’effetto della presunzione (Cass. N. 33037 del 2015 Rv. 264190, N. 42630 del
2015 Rv. 264984, N. 45657 del 2015 Rv. 265419; N. 5787 del 2016 Rv. 265986)
In tale contesto il giudice di merito è tenuto a compiere non già una dimostrazione del
fondamento della prognosi di pericolosità (dato che tale compito è affidato alla presunzione)
quanto una sorta di ‘prova di resistenza’ circa il suo mantenimento in essere, a fronte di dati
dal potenziale contenuto dimostrativo contrario.
Il fondamento logico e giuridico della presunzione relativa di ‘pericolosità’ (che opera nei casi di
cui al secondo periodo dell’art. 275 co 3 c.p.p. unitamente alla presunzione assoluta di
adeguatezza della custodia in carcere, in termini che possono definirsi ‘residui’, successivi ai
numerosi interventi demolitòri operati dal giudice delle leggi tra il 2010 e il 2015, tanto da
determinare l’integrale riscrittura della norma regolatrice operata con legge n. 47 del
16.4.2015) va ricercato nelle particolari caratteristiche delle previsioni incriminatrici che tuttora
la sorreggono (art. 270, 270 bis e 416 bis cod.pen.) i nel senso che la riconosciuta (in sede
cautelare) partecipazione del singolo (fermandosi al primo gradino dell’inserimento) a entità
criminali finalizzate alla sowersione violenta dell’ordinamento democratico, al terrorismo o a
consorzi di stampo mafioso giustifica un inquadramento – non assoluto – della persona in un
ambito di tendenziale ripetitività della particolare condotta illecita, correlato alla antecedente
condivisione di metodi e finalità di simili gruppi, la cui azione collettiva determina serio pericolo
per la integrità di numerosi beni giuridici

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o il giudice di merito è tenuto a compiere non già una dimostrazione del

fondamento della prognosi di pericolosità (dato che tale compito è affidato alla presunzione)
quanto una sorta di ‘prova di resistenza’ circa il suo mantenimento in essere, a fronte di dati

dal potenziale contenuto dimostrativo contrarioj
In altri termini la stessa qualificazione della presunzione in termini non assoluti (ma, per
l’appunto, relativi) crea sul piano logico la ‘doverosa apprezzabilità’ della prova contraria, i cui
termini – evidentemente – devono muoversi sul terreno della potenziale ‘neutralizzazione’ di

Ciò detto deve osservarsi che il “fatto nuovo” rilevante ai fini della revoca, deve essere
costituito da elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento della situazione
apprezzata all’inizio del trattamento cautelare e ritenuta significativa con riferimento al singolo
indagato (o imputato), all’uopo risultando inconferente il mero decorso del tempo
dall’applicazione della misura se non collegato alla prova che l’imputato abbia irreversibilmente
reciso i legami con l’organizzazione criminosa di appartenenza.
In tale contesto l’orientamento di legittimità secondo cui, in tema di valutazione dell’istanza di
sostituzione della misura cautelare, l’analogo provvedimento emesso nei confronti di un
coimputato può costituire un fatto nuovo sopravvenuto del quale tener conto (Cass. pen., Sez.
5, 23/04/2002, n. 21344; Cass. pen., Sez. 1, 11/03/1997, n. 1988; Cass. pen., Sez. 4,
22/08/1996, n. 2033) non sottintende alcun automatismo dell’effetto che, solo
impropriamente, può definirsi estensivo, avendo, anzi, questa Suprema Corte rimarcato che
l’identità di posizione processuale, che induce la “estensione” della valutazione favorevole al
coindagato, va analiticamente, sia pure sinteticamente, argomentata e giustificata dal giudice
(sez. 5, 09/10/1995 n. 2204 del 09/10/1995).
Appare allora evidente che il caso in cui la “novità” si risolva in una rivalutazione del quadro
indiziario (cfr. Cass. n. 21344 /2002,n. 39785/2007 ) è diverso dal caso, che qui ci occupa, in
cui la sopravvenienza della decisione più favorevole viene assunta come elemento rilevante
agli effetti della rivalutazione delle esigenze cautelari giacchè queste vanno valutate con
riferimento a ciascun indagato (o imputato).
Così come correttamente nessuna rilevanza assume per quanto qui interessa la disponibilità
all’assunzione considerato che questa non assume una portata dirimente tale da dimostrare la
rescissione dell’imputato da ogni rapporto con la consorteria di appartenenza.
Il Tribunale si è attenuto a detti principi rilevando l’assenza di elementi positivi in grado di
incidere sulla sussistenza delle esigenze cautelari. Il primo motivo di ricorso è pertanto
manifestamente infondato.
Correttamente è stato considerato inammissibile l’appello dell’imputato con riguardo alle
censure relative alla gravità indiziaria considerato che la questione non era stata sollevata
avanti il Tribunale di Gela. Ne consegue l’inammissibilità dei motivi di ricorso sub 2 e 3.
3

quell’effetto pregiudicante correlato al pregresso inserimento nel consorzio mafioso.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di 1.000,00 euro in favore
della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

provveda a norma dell’art. 28 Reg. Es. c.p.p.
Così deliberato in Roma il 18.2.2016
Il Consigliere estensore
Giovanna VERGA

/7

Il Presidente
Matilde CAMMINO

e al versamento della somma di 1.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende. Si

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