Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20280 del 28/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 20280 Anno 2015
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ROSSI WALTER FRANCO N. IL 09/09/1952
avverso la sentenza n. 2029/2008 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 17/04/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROBERTO MARIA
CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE;

Data Udienza: 28/04/2015

R.G. 34590/2014
Considerato che:
Rossi Walter Franco ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di
Bologna del 17/4/2014, confermativa della sentenza del Tribunale di Forli’ sez.
dist. di Cesena del 4/2/2008, con la quale è stato condannato alla pena di mesi
otto di reclusione ed C 300,00 di multa per il reato di ricettazione, chiedendone
l’annullamento ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen.; deduce
l’erronea applicazione della legge penale con riguardo alla sussistenza

La Corte territoriale, nel confermare la sentenza di primo grado, si è
adeguata al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il
quale, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione è necessaria la
consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia
peraltro indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e
completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato
presupposto, potendo anche essere desunta da prove indirette, allorché siano tali
da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la
comune esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto. Del
resto questa Corte ha più volte affermato che la conoscenza della provenienza
delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e
quindi anche dal comportamento dell’imputato che dimostri la consapevolezza
della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla mancata – o non
attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è
sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con
un acquisto in mala fede (Sez. 2 n. 25756 del 11/6/2008, Nardino, Rv. 241458;
sez. 2 n. 29198 del 25/5/2010, Fontanella, Rv. 248265). Nella sentenza
impugnata l’assenza di plausibili spiegazioni in ordine alla legittima acquisizione
degli assegni, si pone come coerente e necessaria conseguenza di un acquisto
illecito. Del resto, come questa Corte ha recentemente affermato (Sez.U. n.
12433 del 26/11/2009, Nocera, Rv. 246324; sez. 1 n. 27548 del 17/6/2010,
Screti, Rv. 247718) l’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato
anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza della rappresentazione
da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da
delitto e della relativa accettazione del rischio, non potendosi desumere da
semplici motivi di sospetto, né potendo consistere in un mero sospetto. Le su
esposte considerazioni impongono di dichiarare inammissibile il ricorso, perché i
motivi sui quali è fondato risultano manifestamente infondati.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore

dell’elemento psicologico del delitto di ricettazione.

della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in C 1000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1000,00 in favore della Cassa delle

Roma, 28 aprile 2015

ammende.

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