Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20247 del 27/03/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 20247 Anno 2018
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: GIANESINI MAURIZIO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
DE MICCO LUIGI nato il 13/08/1976 a NAPOLI
ESPOSITO ALESSIO nato il 15/06/1994 a NAPOLI
DE MARTINO ANTONIO nato il 14/08/1989 a NAPOLI
PRINCIPE DAVIDE nato il 28/12/1989 a NAPOLI
SCALA VINCENZO nato il 22/07/1968 a NAPOLI

avverso l’ordinanza del 20/12/2017 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI
sentita la relazione svolta dal Consigliere MAURIZIO GIANESINI;
lette/sentite le conclusioni del PG MARIELLA DE MASELLIS
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto di tutti i motivi di ricorso;
Udito il difensore
– l’avv. Rizzo Antonio, quale sostituto processuale dell’avv. Perone Leopoldo, si
riporta ai motivi di ricorso insistendo per l’annullamento dell’ordinanza del
riesame;
– l’avv. Vannetiello Dario, difensore di De Micco Luigi, si riporta ai motivi di
ricorso;
– l’avv. D’Isa Claudio, quale sostituto processuale dell’avv. Sorrentino Stefano, si

Data Udienza: 27/03/2018

riporta ai motivi scritti avv. Sorrentino Stefano.

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RITENUTO IN FATO
1. I Difensori di Alessio ESPOSITO, Antonio DE MARTINO, Davide PRINCIPE,
Luigi DE MICCO e Vincenzo SCALA hanno proposto ricorso per Cassazione contro
l’ordinanza con la quale il Tribunale di NAPOLI, in sede di riesame, ha
confermato l’ordinanza genetica dispositiva della custodia in carcere in
riferimento ai reati di associazione di stampo mafioso denominata “Clan DE
MICCO” cui all’art. 416 bis cod. pen. e, a vario titolo, ai reati di omicidio
volontario pluriaggravato consumato ai danni di Salvatore SOLLA e tentato ai

quelle usate per l’omicidio, di incendio doloso e di ricettazione del furgone con il
quale gli autori materiali del fatto erano arrivati sul posto, risultato compendio di
rapina.
2. Il ricorrente Luigi DE MICCO ha presentato due distinti ricorsi, uno a firma
dell’avv. Leopoldo PERONi e uno a firma dell’ Avv. Dario N. VANNETIELLO.
3. Con il ricorso a firma dell’ Avv. Leopoldo PERONE, il ricorrente ha dedotto
sei motivi di ricorso, per violazione di legge penale sostanziale e processuale e
vizi di motivazione ex art. 606, comma 1 lett. b,c ed e cod. proc. pen..
3.1 Con il primo motivo, il ricorrente ha riproposto il tema costituito dalle
affermate, illegittime modalità con le quali la Polizia giudiziaria si era procurata i
numeri telefonici da sottoporre ad intercettazione; le attività di polizia
giudiziaria, che aveva ottenuto i numeri da intercettare in maniera riservata e
durante la permanenza di alcune persone negli uffici di polizia per precedenti
fatti violenti, si erano risolte in realtà in una violazione delle disposizioni di cui
all’art. 357 cod. proc. pen., il tutto poi in assenza di provvedimenti autorizzativi
e senza dare atto, con necessaria documentazione, né della attività
concretamente svolta né delle modalità con le quali la stessa era stata realizzata,
con conseguente acquisizione di dati di interesse investigativo a seguito di una
illegittima perquisizione che non consentiva la utilizzabilità di quanto ottenuto.
Il Tribunale, conseguentemente, avrebbe dovuto rilevare la sostanziale
assenza di motivazione dei decreti di autorizzazione e di proroga delle
intercettazioni, tanto più che non era stato effettuato alcun vaglio di
indispensabilità della captazione telefonica alla luce appunto della non effettiva
verificabilità dei dati illegittimamente acquisiti.
3.2 Con il secondo motivo, il ricorrente ha riproposto il tema specifico della
assenza di motivazione dei decreti autorizzativi e di proroga delle intercettazioni

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danni di Giovanni ARDU, di violazione della disciplina delle armi in merito a

telefoniche successivi a quelli originari e pronunciati nonostante la illegittima
acquisizione delle utenze telefoniche da sottoporre ad intercettazione.
3.3 Con il terzo motivo, il ricorrente ha lamentato che il Tribunale avesse
ritenuto la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per il reato di omicidio e
delitti connessi , gravità indiziaria fondata sul contenuto di SMS ottenuti con le
modalità sopra denunciate e quindi inutilizzabili, tanto più che il Tribunale non
aveva convincentemente indicato per quali ragioni la utenza sottoposta a
controllo, la 3511796459, fosse in realtà da attribuire al DE MICCO, che non

messaggi intercettati.
L’attribuzione ottenuta con il riconoscimento della voce del DE MICCO da
parte della Polizia giudiziaria, infatti, aveva trovato congrua e motivata
confutazione in un consulenza fonica che aveva concluso per la non compatibilità
delle fonie intercettate per una percentuale dell’ottanta per cento, consulenza
giudicata non persuasiva con motivazioni apodittiche ed illogiche, tanto più che
la Polizia giudiziaria aveva riportato in modo del tutto errato le parole che
sarebbero state pronunciate dalla persona riconosciuta nel DE MICCO.
Il Tribunale aveva poi tralasciato di valutare le ulteriori considerazioni
critiche del ricorrente sul punto relativo alla dimostrazione che i messaggi
comunque intercettati facessero in realtà riferimento proprio alla vicenda
omicidiaria consumata e tentata di cui al capo 5, specie sul punto della
attribuibilità del soprannome “Banfi” a Salvatore SOLLA che era stato invece
indicato da altro collaboratore con il soprannome di “Alvaro VITALI”.
3.4 Con il quarto motivo, il ricorrente ha riproposto il tema costituito dalla
affermazione della esistenza, per gli stessi fatti, di un precedente giudicato
costituito dalla sentenza 589/17 emessa dalla Corte di Appello di NAPOLI; il
Tribunale aveva fondato il rigetto della eccezione difensiva sul presupposto della
dimostrata commissione, da parte dell’indagato, di atti qualificabili come
dimostrativi della appartenenza dello stesso alla associazione ex art. 416 bis cod.
pen. e cioè dell’omicidio e tentato omicidio di cui al capo 5, atti in realtà privi,
per le ragioni di cui sopra si è detto, di fondatezza indiziaria; l’unico elementi) di
novità, poi, era rappresentato dalle stesse dichiarazioni del collaboratore Rocco
CAPASSO che erano state utilizzate nel corso del processo concluso con la
sentenza di cui sopra e che avevano collocato la condotta del DE MICCO in epoca
assai risalente rispetto al giugno 2015, data in cui era stata emessa la sentenza
di primo grado, così che il fatto, nella sua accezione storico-naturalistica, in
realtà doveva considerarsi il medesimo.
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risultava indicato nominativamente, nemmeno con un qualche soprannome, nei

3.5 Con il quinto motivo, riferito al reato di cui all’art. 416 bis. eod. pen., il
ricorrente ha lamentato la sostanziale mancanza di indicazioni nei termini della
necessaria gravità indiziaria; le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia erano
state ricordate in termini sommari e con travisamento delle risultanze di
indagine, specie sul punto della interpretazione delle dichiarazioni del
collaboratore ESPOSITO, la cui attribuzione all’indagato del ruolo di cassiere era
stata smentita dal rinvenimento del libro mastro presso l’abitazione di un altro
soggetto mentre non erano state fornite ragioni per giustificare l’attribuzione al

DE MICCO era quello di “Direttore”.
3.6 Con il sesto motivo, infine il ricorrente ha lamentato che il Tribunale non
avesse dato alcuna reale indicazione motivazionale circa il riconosciuto ruolo di
preminenza organizzativa attribuito all’indagato all’interno dell’omonimo gruppo
camorristico, ruolo attribuito dal collaboratore ad altre persone.
4. Con il ricorso a firma dell’ Avv. Dario N. VANNETIELLO, il ricorrente ha
dedotto quattro motivi di ricorso, per violazione di legge penale sostanziale e vizi
di motivazione ex art. 606, comma 1 lett. b, c ed e cod. proc. pen..
4.1 Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto vizi di omessa motivazione
in quanto l’attività captativa era stata assunta in assenza di indizi e in mancanza
di una notizia di reato e ancora con modalità irregolari, con conseguente
inutilizzabilità degli esiti della attività captativa che era stata disposta in realtà in
un procedimento a carico di ignoti per fatti di tentato omicidio commesso ai
danni del ricorrente DE MICCO avvenuto il 10/11/2016.
4.2 Con il secondo motivo, il ricorrente ha lamentato che la riferibilità al DE
MICCO delle utenze sottoposte ad intercettazione fosse stata condotta con
motivazione illogica ed apparente, sulla base di un nome in codice (“Direttore”)
che non era stato convincentemente attribuito al DE MICCO e che il
riconoscimento della voce dell’indagato che la Polizia giudiziaria ha affermato di
aver operato non poteva essere ritenuto attendibile a fronte di una perizia fonica
che aveva dato i risultati già ricordati al punto 3.3 che precede.
Anche le indicazioni date dal collaborante Rocco CAPASSO apparivano poi
intrinsecamente contraddittorie sia in merito alla indicazione dei luoghi sia in
merito al soprannome della vittima dell’omicidio, indicato come “Alvaro VITALI”
quando invece altra persona presente ai fatti e non identificata, tale “filatore”
l’aveva indicato come “Banfi”.

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ricorrente di altra utenza con in nominativo “Giovane” quando il nominativo del

Il tenore comunque dei messaggi intercettati non poteva poi in ogni caso
giustificare il ruolo di capo attribuito al DE MICCO con l’ordinanza impugnata.
4.3 Con il terzo motivo, il ricorrente ha censurato la motivazione, resa in
violazione di legge, con la quale il Tribunale aveva rigettato la questione relativa
alla improcedibilità della azione penale per precedente giudicato costituito dalla
sentenza con la quale la Corte di Appello di Reggio Calabria aveva condannato il
DE MICCO per gli stessi fatti oggetto della imputazione preliminare di cui

4.4 Con

il quarto motivo,

infine,

il ricorrente è tornato più

approfonditamente sul tema del ruolo attribuibile al DE MICCO all’interno della
compagine criminale in argomento, dato che nessun collaboratore aveva mai
attribuito allo stesso le condotte di primario rilievo descritte nella imputazione
preliminare e che le dichiarazioni dei collaboranti al riguardo erano generiche e
non convergenti ed erano poi comunque state rese con riferimento al periodo di
tempo coperto dal precedente giudicato.
5. Il ricorrente Antonio DE MARTINO ha dedotto quattro motivi di ricorso per
violazione di legge penale sostanziale e processuale e vizi di motivazione ex art.
606, comma 1 lett. b,c ed e cod. proc. pen..
5.1 Con i primi tre motivi, il ricorrente ha riproposto le censure svolte più
sopra dal ricorrente DE MICCO ai n. 2.1, 2.2 e 2.3 che precedono, con l’ulteriore
osservazione critica, specificamente riferita al DE MARTINO, che il Tribunale non
aveva indicato le ragioni sulla base delle quali era stato affermato che le utenze
che entravano in contatto con l’indagato erano riferibili agli altri coindagati ed
aveva attribuito il ruolo di esecutore materiale dell’omicidio allo stesso sulla base
di un dato, quello costituito dall’aggancio della cella Ponticelli INA da parte del
cellulare del ricorrente, del tutto equivoco nel suo significato.
5.2 Con il quarto motivo, riferito alla affermata partecipazione dell’indagato
alla compagine criminale indicata al capo 1 della imputazione preliminare, il
ricorrente ha richiamato le considerazioni critiche già svolte in ordine alla
sostanziale insufficienza delle indicazioni rese dai collaboratori, in particolare del
FAVAROLO e di LAURIA, e dalla mancanza di effettivi riscontri esterni alle
dichiarazioni stesse mentre l’episodio dell’acquisto di armi del
novembre/dicembre 2016 era stato immotivatamente inquadrato nell’ambito
della vicenda associativa in esame.

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all’ordinanza genetica esaminata dal Tribunale in sede di riesame.

6. Il ricorrente Davide PRINCIPE ha dedotto quattro motivi di ricorso, per
violazione di legge penale sostanziale e processuale e vizi di motivazione ex art.
606, comma 1 lett. b,c ed e cod. proc. pen..
6.1 Con i primi tre motivi, il ricorrente ha riproposto le censure svolte più
sopra dal ricorrente DE MICCO ai n. 2.1, 2.2 e 2.3 che precedono, con l’ulteriore
osservazione critica, specificamente riferita al PRINCIPE, che non erano state
indicate le ragioni per le quali le utenze intercettate erano attribuibili all’indagato
sulla sola base del soprannome “Ciccio” e che non era stato valutato che

e dal plurimo significato.
6.2 Con particolare riferimento poi al reato di cui al capo 1 della imputazione
preliminare, il ricorrente ha richiamato la sostanziale genericità delle indicazioni
di accusa dei collaboranti e l’assenza di effettivi riscontri di carattere oggettivo a
quanto dichiarato.
7. Il ricorrente Alessio ESPOSITO ha presentato due atti di ricorso, entrambi
per violazione di legge penale sostanziale e processuale e vizi di motivazione ex
art. 606, comma 1 lett. b,c ed e cod. proc. pen..
7.1 Con il primo ricorso a firma dell’ Avv. Leopoldo PERONE, il ricorrente ha
sollevato, con i primo tre motivi, le stesse questioni già enunciate nei numeri che
precedono e ha aggiunto la considerazione critica che il Tribunale non aveva
indicato le ragioni per le quali l’utenza intercettata era attribuibile all’indagato
dato che il soprannome di quest’ultimo, “Barba”, era stato indicato dal
collaborante CAPASSO senza alcuna altra indicazione di contorno e non aveva
poi descritto alcuna reale condotta ideativa o preparatoria attribuibile all’
ESPOSITO nella prospettiva della affermazione di un suo concorso nel reato di
omicidio e dei reati connessi.
7.2 In merito poi alla affermata partecipazione alla associazione criminale di
cui al n. 1 della imputazione preliminari, il ricorrente ha lamentato che il
Tribunale avesse fondato il suo giudizio sulle dichiarazioni del collaboratore
STEFANELLI, generiche e del tutto insufficienti in quanto prive di riscontro.
7.3 Con il secondo ricorso, a firma dell’ Avv. Salvatore DI MEZZA, il
ricorrente ha dedotto tre motivi di ricorso e ha lamentato, con il primo, che il
Tribunale non avesse considerato che negli atti trasmessi al Tribunale
mancavano gli atti relativi all’omicidio SALZANO e l’informativa 10/12/2016 della
Polizia giudiziaria, con violazione quindi delle disposizioni di cui agli artt. 309,
comma 5 e 10 cod. proc. pen.
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l’aggancio del cellulare al ripetitore di PISCETTARO costituiva elemento equivoco

7.4 Sul punto specifico relativo al reato di omicidio, il ricorrente ha
lamentato che il Tribunale non avesse indicato in realtà quale era stato il ruolo
effettivo svolto dall’ ESPOSITO, tenuto anche conto che la cella agganciata dal
cellulare era quella della zona in cui egli abitava, così che non era dimostrata né
la presenza sul luogo dell’omicidio né quella sul luogo in cui era stato incendiato
il furgone adoperato nel corso dell’azione.
7.5 Con successivi motivi, infine, il ricorrente ha lamentato che il Tribunale
non avesse dato sostanziale risposta alle prospettazioni critiche contenute in una

autonoma valutazione da parte del Gip rispetto alla domanda cautelare del
Pubblico ministero né quello della sussistenza, contestata in sede di riesame, del
carattere armato della associazione.
8. Il ricorrente Vincenzo SCALA ha dedotto un unico motivo di ricorso, per
violazione di legge penale sostanziale e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1
lett. b ed e cod. proc. pen..
8.1 II ricorrente ha svolto considerazioni critiche in ordine alla affermata
partecipazione alla associazione di cui al capo 1 della imputazione preliminare
affermata sulla base di dichiarazioni di collaboratori in realtà non concordanti,
dato che uno attribuiva all’indagato la titolarità di una piazza di spaccio e l’altro
lo indicava come attivamente impegnato nelle estorsioni, e di una intercettazione
che dimostrava tutt’al più l’intento dell’indagato di arrecare un servigio al fratello
detenuto; anche la motivazione circa la partecipazione dell’indagato alla scorreria
armata presso il Rione “Conocal” aveva trascurato di considerare che ben
difficilmente l’indagato avrebbe potuto rientrare nel villaggio vacanze dove si
trovava senza subire un facile ritorsione.
9. Il Difensore di Davide PRINCIPE, prima dell’inizio della discussione, ha
enunciato davanti alla Corte di Cassazione motivi nuovi ex art. 311, comma 4
cod. proc. pen. a mezzo dell’Avv. Stefano SORRENTINO.
9.1 Con il primo motivo, il ricorrente ha riproposto il tema della
inutilizzabilità delle captazioni telefoniche ottenute dalla Polizia giudiziaria con
modalità non chiaramente accertare e comunque con una attività qualificabile
come quella di “ispezione di cose” ex art. 354 cod. proc. pen. , che richiedeva un
decreto motivato e la documentazione, ex art. 357 cod. proc. pen., della attività
compiuta, così che l’acquisizione, con modalità illegali, di dati riservati violava
anche la Convenzione Europea dei diritti dell’ Uomo e, in particolare, l’art. 8 così
come interpretato dalla sent. 9/4/2009 in proc. Kolesnichenko c. Russia.

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memoria presentata in sede di riesame e non avesse affrontato il tema della

9.2 In riferimento al secondo motivo del ricorso “principale”, il ricorrente è
tornato sul tema del difetto di motivazione dei decreti autorizzativi delle
captazioni telefoniche dato che in essi non si fa alcun riferimento ad un
autonomo vaglio del dato emergente dalla attività di intercettazione basata su un
decreto inutilizzabile.
9.3 Con riferimento poi al terzo motivo del ricorso “principale”, il ricorrente
ha lamentato un vizio di travisamento della prova posto che dalle risultanze delle
indagini preliminari, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, risultava in

omicidi ano.
10. L’avv. VANNETIELLO, infine, ha depositato il 23 marzo 2018 la copia
della ordinanza genetica 17/11/2017 del Giudice per le indagini preliminari
presso il Tribunale di NAPOLI.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Tutti i ricorsi sono infondati e vanno rigettati, con conseguente condanna
dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, come previsto dall’art. 616
cod. proc. pen.
2. Vanno preliminarmente svolte alcune considerazioni generali di carattere
metodologico circa i criteri che verranno adottati nel seguito della motivazione.
2.1 Va richiamata prima di tutto la naturale osservazione che non è questa
la sede per la redazione di un terzo provvedimento di merito ma solo quella
dell’esame del provvedimento impugnato sotto i profili di illegittimità, sostanziale
o processuale, o di vizi di motivazione specificamente dedotti con il ricorso e va
pertanto ricordata, a questo proposito, la costante giurisprudenza di legittimità
secondo la quale in tema di misure cautelari personali, quando sia denunciato,
con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal
tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza,
alla Corte di Cassazione spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare
natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di
merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad
affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la
congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti
rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Così Cass. Sez. Unite 22/3/2000 n.
11, Audino, Rv 215828 ripresa da ultimo da Cass. Sez. 2 del 17/5/2017 n.
31553, Paviglianiti, Rv 270628); ancora, va sottolineato che l’esame della
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realtà che il PRINCIPE non si trovava sul luogo di preparazione dell’agguato

sussistenza della necessaria gravità indiziaria, a vario titolo contestata da tutti i
ricorrenti, si limita necessariamente solo all’esame di quegli elementi che
fondino e denotino la sussistenza di una elevata probabilità di colpevolezza (così,
da ultimo e all’interno di uno sviluppo giurisprudenziale uniforme, Cass. Sez. 4
del 24/1/2017 n. 6660, Pugiotto, Rv 269179).
2.2 Quanto all’esame specifico dei vari motivi di ricorso, pare opportuna la
trattazione congiunta di quelli comuni a tutti o quasi i ricorrenti, con esame
separato, sempre all’interno del perimetro tracciato più sopra, di quelli che si

3. Il tema comune a gran parte dei ricorrenti , come si è visto, è quello della
utilizzabilità degli esiti delle captazioni telefoniche (si tratta in realtà di SMS)
disposte nel corso delle indagini preliminari, utilizzabilità contestata dai ricorrenti
sulla base delle modalità, che si affermano non consentite dalla legge
processuale, attraverso le quali la polizia giudiziaria è entrata in possesso delle
utenze da intercettare.
3.1 Con maggiore dettaglio, va allora ricordato che i fatti, per come accertati
nella ordinanza impugnata e nel provvedimento del Tribunale, hanno consentito
di accertare (e la circostanza non è posta in dubbio dai ricorrenti) che Luigi DE
MICCO (a Antonio AUTORE) era stato oggetto di un tentato omicidio nel
quartiere Ponticelli di NAPOLI il 10 novembre 2016 e che nel procedimento a
carico di ignoti relativo a questo fatto criminoso erano state ottenute dalla polizia
giudiziaria, in via riservata, le utenze di persone a vario titolo ritenute in grado di
dare indicazioni circa il grave fatto delittuoso in questione; sulla base peraltro di
dichiarazioni di un collaboratore secondo il quale il gruppo intercettato aveva in
dotazione schede “dedicate” (e cioè con un limitato periodo di operatività), si era
reso necessario ottenere, sempre in via riservata, le nuove utenze del gruppo,
sempre nell’ambito del procedimento contro ignoti per il tentato omicidio di DE
MICCO; solo a seguito dell’ottenimento di questi nuovi numeri, dei decreti
autorizzativi delle relative utenze e durante le relative captazioni, si erano
intercettati i messaggi indicati nella motivazione del provvedimento impugnato
che erano stati posti a fondamento della riconosciuta gravità indiziaria per il
delitto di omicidio e tentato omicidio di cui al capo 5 e reati connessi di cui ai
capi 6, 7 ed 8.
3.2 Così ricostruiti i dati di fatto “sensibili” della vicenda, va rilevato come i
ricorrenti abbiano fatto oggetto di censura, sotto la specie delle non consentite
modalità di ottenimento delle relative utenze telefoniche e poi,
conseguentemente, degli esiti di inutilizzabilità delle captazioni effettuate, sia i
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presentano con caratteri di autonomia e di riferibilità ad ogni singolo ricorrente.

decreti di intercettazione emessi in via di urgenza dal Pubblico ministero prima
del “cambio” delle schede dedicate che quelli emessi e ottenuto successivamente
alla scadenza delle stesse; in realtà, come emerge chiaramente dalla
motivazione della ordinanza genetica dispositiva della custodia in carcere a f.
340, gli elementi indiziari per il reato di omicidio costituiti dal contenuto di
messaggi intercettati si collocano temporalmente solo nel dicembre del 2016,
quanto erano scadute le prime schede “dedicate” e la Polizia giudiziaria aveva
ottenuto nuovamente il nuovo numero di utenza di Antonio DE MARTINO e poi,

ne consegue quindi che l’esame della Corte si deve appuntare esclusivamente
sulle modalità di ottenimento, nel pomeriggio del 30 novembre 2016, del nuovo
numero di utenza del DE MARTINO da parte della Polizia giudiziaria e ai
conseguenti decreti autorizzativi di intercettazione in via di urgenza del Pm nn.
4108/16, 4133/16 e 4144/16 e anche su quelli precedentemente emessi.
3.3 II primo tema critico posto dai ricorrenti riguarda le modalità
operative pratiche attraverso le quali la Polizia giudiziaria è pervenuta
all’ottenimento “in maniera riservata”, della nuova utenza telefonica del DE
MARTINO; si tratta, come appare evidente, dell’esame dell’apparato cellulare
dell’indagato attuato durante una “mancanza di attenzione” dello stesso grazie al
quale è stato ottenuto, come si è detto, il relativo numero dell’apparecchio
materialmente esaminato.
3.4 L’attività della Polizia giudiziaria come sopra riassunta ha costituito,
come si è visto, oggetto di plurime prospettazioni critiche con il richiamo alle
norme, e ai relativi presupposti, in tema di perquisizione o di ispezione di cose,
con l’ulteriore, conseguente censura relativa alla mancata documentazione, come

richiesto dall’art. 357 cod. proc. pen., delle attività svolte; tutte le censure svolte
sul tema sono infondate.
3.5 In primo luogo, va posto nel dovuto rilievo che l’esame di un apparato
telefonico cellulare per estrarne, all’insaputa del titolare, il relativo numero
telefonico non è qualificabile né come perquisizione ex art. 352 cod. proc. pen.,
dato che la Polizia giudiziaria non è evidentemente andata alla ricerca del corpo
del reato o di cose ad esso pertinenti, né come ispezione di cose, posto che
l’utenza non è qualificabile come traccia o altro effetto materiale del reato, come
previsto dall’art. 244, comma 1 e 246 cod. proc. pen.; ancora, l’ottenimento,
con le modalità di cui si è detto, della utenza telefonica cellulare non è in alcun
modo assimilabile alla acquisizione dei dati del traffico telefonico per la quale,
come affermato da Cass. Sez. Unite 13/7/1998 n. 21, Gallieri, Rv 211197, vi è la

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sulla base della immediata intercettazione di questo, i numeri degli altri indagati;

necessità della previa autorizzazione della Autorità giudiziaria dato che non si è
trattato qui di accertare i contatti che detta utenza avrebbe intrattenuto con altre
utenze ma solo, lo si ripete, di individuare il mero numero di utenza telefonica
dell’apparecchio esaminato,così che è del tutto estraneo al tema in trattazione
quello proposto da diversi ricorrenti in merito ad affermate violazioni, anche
convenzionali, del diritto alla riservatezza.
3.6 Si tratta allora, evidentemente, di quelle attività urgenti ed “innominate”
di Polizia giudiziaria di cui all’art. 55 e 348 cod. proc. pen. finalizzate alla

ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole, come riconosciuto del
resto dalla giurisprudenza di legittimità che ha avuto modo di chiarire, per un
verso, che l’acquisizione di un cellulare e dei dati segnalati sul display si
collocano tra gli atti urgenti demandati alla Polizia giudiziaria e, come tali, non
subordinati a preventiva autorizzazione della Autorità giudiziaria (Cass. Sez. 4,
8/5/2003 n. 3435, Lanzetta, A/ 230060) e, dall’altro, che anche la ulteriore
rilevazione del numero di una utenza contattata, conservato nella memoria di un
apparecchio di telefonia mobile, è una operazione non assimilabile
all’acquisizione dei dati di traffico conservati presso il gestore dei servizi
telefonici e non necessita, quindi, del decreto di autorizzazione dell’autorità
giudiziaria, potendo conseguire ad una mera attività di ispezione del telefono da
parte della polizia giudiziaria (così, Cass.

Sez.

1, 13/3/2013, Romeo, Rv

255973).
3.7 Diretta conseguenza della qualificazione delle modalità con le quali la
Polizia giudiziaria, mediante esame dell’apparecchio cellulare del DE MARTINO, è
venuta in possesso del relativo numero telefonico come attività ex art. 348 cod.
proc. pen. è poi quella per la quale l’attività stessa non era soggetta a necessaria
documentazione ex art. 357 cod. proc. pen., dal momento che la norma
processuale da ultimo citata non fa riferimento alle attività ed operazioni di cui al
richiamato art. 348 cod. proc. pen., il tutto poi a prescindere dalla osservazione,
comunque decisiva, che l’omessa documentazione di attività documentabili ex
art. 357 cod. proc. pen. non determina alcuna nullità o inutilizzabilità (così Cass.
Sez. 5 12/12/2015 n. 25799, Pm in proc. Stasi, Rv 267260).
3.8 In definitiva, quindi, l’acquisizione da parte della Polizia giudiziaria, con
le modalità sopra indicate, del numero di utenza cellulare del DE MARTINO è
avvenuto del tutto legittimamente e altrettanto legittimamente, quindi, lo stesso
è stato sottoposto ad intercettazione urgente da parte del Pm con il decreto
4108/2016 così come del tutto legittimi sono anche i successivi decreti4cilems+

10

assicurazione delle fonti di prova mediante la raccolta di ogni elementi utile alla

sempre in via di urgenza dal Pm per l’intercettazione delle utenze che risultavano
aver intrattenuto contatti telefonici con la prima utenza del DE MARTINO; da
quanto si è venuto fin qui dicendo, poi, deriva necessariamente che tutte le
prospettazioni critiche relative alla motivazione di detti decreti e dei
provvedimenti autorizzativi e/o di proroga pronunciati del Giudice per le indagini
preliminari direttamente dipendenti dalla affermata, illegittima acquisizione del
numero telefonico cellulare del DE MARTINO dal quale sono originariamente
scaturite tutte le successive acquisizioni di numeri di cellulare e le relative

3.9 Le censure difensive, però, si sono rivolte anche al diverso tema della
mancanza totale, nei decreti di urgenza e in quelli successivi, di qualsiasi
indicazione circa la sussistenza di sufficienti indizi di reato e la necessità della
intercettazione a fini di indagine, posto che il testo dei decreti stessi fa chiaro
riferimento ad un altro episodio delittuoso, quello del tentato omicidio ai danni
del DE MICCO e di altra persona; da tali omissioni, i ricorrenti deducono la
mancanza sostanziale di qualsiasi motivazione dei decreti di urgenza e di quelli
successivi specificamente riferiti ai fatti di omicidio e di tentato omicidio (e reati
connessi) di cui al capo 5.
Il tema, però, non è correttamente posto dal momento che non si tratta qui
di accertare se la motivazione dei decreti in questione sia o meno presente e/o
sufficiente quanto ai fatti di tentato omicidio ai danni del DE MICCO quanto
piuttosto quello di valutare la utilizzabilità in altro procedimento, quello a carico
del DE MICCO e degli altri ricorrenti, degli esiti di intercettazioni legittimamente
disposte nel diverso procedimento a carico di ignoti per il tentato omicidio,
appunto del DE MICCO; si tratta quindi, più propriamente, di una questione di
applicabilità al caso in esame delle disposizioni di cui all’art. 270 cod. proc. pen.
che disciplina la utilizzabilità, in altro procedimento, quello, lo si ripete, a carico
del DE MICCO e degli altri ricorrenti, dei risultati delle intercettazioni svolte nel
diverso procedimento in cui il DE MICCO(11:=3:~lefemeay figurava come
persona offesa.
3.10 Come è noto, l’art. 270 cod. proc. pen. consente la utilizzazione in
procedimento diverso dei risultati di intercettazioni telefoniche quando risultino
indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in
flagranza, requisiti questi interamente sussistenti nel caso in esame posto che,
da un lato, per il reato di omicidio e tentato omicidio di cui al capo 5, è
obbligatorio l’arresto in flagranza ex art. 380 cod. pen. e, per l’altro, gli elementi
fondamentali e costitutivi della affermazione di sussistenza della necessaria

11

comunicazioni sono palesemente infondate.

gravità indiziaria a carico di tutti i ricorrenti derivano pressocchè esclusivamente
dal contenuto dei messaggi captati a seguito delle intercettazioni disposte; il
successivo requisito di utilizzabilità, quello costituito ex art. 270, comma 2 cod.
proc. pen, dal deposito dei verbali e delle registrazioni presso l’ Autorità
competente per il diverso procedimento, non risulta in alcun modo contestato dai
ricorrenti ed appare pienamente soddisfatto dalla evidente disponibilità, dei
verbali e delle registrazioni, manifestata dai ricorrenti attraverso le
argomentazioni svolte sia in sede di riesame che in sede di ricorso,

altre.
4. Il secondo tema critico comune sollevato dai ricorrenti sottoposti ad
indagine per i fatti di omicidio e reati connessi è costituito dai criteri di
attribuzione dei numeri telefonici intercettati con i nominativi degli indagati
stessi.
4.1 In linea generale, e con considerazioni comuni, va rilevato che il
Tribunale, con un corretto rinvio alla motivazione dell’ordinanza genetica
dispositiva della custodia in carcere, ha sottolineato come tale attribuzione sia
stata operata sulla base di un triplice ordine di considerazioni e cioè attraverso le
indicazioni di un collaboratore (che aveva indicato il soprannome di ciascuno dei
partecipi all’omicidio, “direttore” per il DE MICCO, “barba” per l’ ESPOSITO,
“ciccio” per il PRINCIPE e “pareggio” per il DE MARTINO), attraverso il contenuto
materiale dei messaggi e poi ancora grazie ai controlli operati sul territorio dalla
Polizia giudiziaria, elementi tutti che avevano permesso di osservare movimenti
dei ricorrenti e di intercettare messaggi, antecedenti o susseguenti,
contenutisticamente congruenti gli uni con gli altri, meglio descritti nella
motivazione dell’ordinanza genetica e riportati anche, per sintesi, in quella del
Tribunale e che avevano consentito di attribuire ad ogni indagato, sottoposto ad
osservazione materiale nel compimento di determinate attività e
contemporaneamente o successivamente intercettato con messaggi che si
riferivano a dette attività o a comportamenti tenuti nello stesso contesto dalla
Polizia giudiziaria, il relativo numero di scheda telefonica e quindi i messaggi o le
conversazioni successivamente intercettate.
4.2 Per quanto riguarda poi l’ ESPOSITO, va ricordato che una le utenze in
uso allo stesso sono state individuate, a differenza di quanto è avvenuto per gli
altri ricorrenti, sulla base degli atti relativi all’omicidio di Flavio SALZANO e delle
informativa 10/12/2016 della Polizia giudiziaria, atti che il ricorrente lamenta
(infondatamente, come si vedrà) come non trasmessi al Tribunale.

12

argomentazioni che manifestano tutte la piena conoscenza sia degli uni che delle

4.2 Il DE MICCO ha contestato l’attribuzione di cui si dice contestando la
motivazione con la quale la Corte di Appello aveva svalutato il contenuto di una
consulenza fonica di parte secondo le cui conclusioni la voce intercettata e
materialmente ascoltata dalla Polizia giudiziaria, che l’aveva appunto attribuita al
DE MICCO, non era compatibile con quella dell’indagato per una percentuale
dell’ottanta per cento.
Le motivazioni della Corte però, che sembrano in effetti scontare almeno
alcune delle osservazioni critiche svolte dal ricorrente, ~rane in ogni caso

d

ampiamente sufficienti, nei limiti di rilevanza propri della sede processuale
all’interno della quale l’ordinanza impugnata è stata pronunciata, a fondare
l’effettività di detta attribuzione una volta che si consideri come ad un passaggio
della Polizia giudiziaria sotto l’abitazione del DE MICCO abbia immediatamente
fatto seguito un messaggio partito dalla utenza attribuita a quest’ultimo e diretto
al DE MARTINO con il quale si riferiva appunto il dato materiale dell’avvenuto
allontanamento della Polizia, con il che, quindi, resta accertato che il relativo
numero di utenza era usato appunto dal DE MICCO.
Ancora, il DE MICCO ha contestato che i messaggi intercettati facessero
effettivo riferimento all’omicidio del SOLLA, che era stato indicato da un
collaboratore con il soprannome di “Banfi” quando in realtà altro collaboratore
aveva attribuito a quest’ultimo il diverso soprannome di “Alvaro VITALI”; al di là
delle considerazioni svolte sul punto dalla Corte che ha sottolineato, con qualche
eccesso, la presunta somiglianza tra il primo e il secondo attore comico, resta
però insuperata l’osservazione che la questione è decisamente estranea al tema
indiziario da provare, dato che tutto il complesso dei messaggi intercettati e
dettagliatamente riportati nella motivazione dell’ordinanza fa comunque sicuro
riferimento, nella sua strutturazione oggettiva e complessiva, proprio ad un
omicidio e tentato omicidio e che nessuna altra persona risulta colpita nello
stesso giorno, nella stessa ora e nello stesso luogo in cui si è verificato l’episodio
omicidiario in questione; in diretto sviluppo di questa prospettiva argomentativa,
poi, il Tribunale ha avuto cura di aggiungere l’osservazione che i messaggi
scambiati il giorno successivo al fatto facevano riferimento a due autovetture,
una FIAT Stilo utilizzata dal SOLLA e una Mini Cooper, a bordo della quale il
SOLLA si trovava al momento dell’agguato.
4.3 Il DE MARTINO non ha contestato l’attribuzione a se stesso del numero
di utenza telefonica individuato con le modalità sopra descritte dalla Polizia
giudiziaria ma ha contestato, in termini largamente generici e che non tengono
conto delle osservazioni generali sopra svolte, la attribuzione O numeri di utenza

13

1/

degli altri indagati; in più, il ricorrente ha sottolineato la sostanziale
insignificanza della circostanza, debitamente posta in evidenza nella motivazione
dell’ordinanza impugnata, dell’avvenuto aggancio da parQ della sua utenza alla
cella di PONTICELLI quando in realtà il Tribunale si è fatto carico di sottolineare
che l’aggancio in questione permetteva di collocare la presenza del DE MARTINO
appunto nelle immediate vicinanze di Via Decio Mure, dove l’agguato è avvenuto.
4.4 Identiche osservazioni vanno poi

in merito alle ulteriori censure

svolte, sui temi in discussione, dai ricorrenti PRINCIPE ed ESPOSITO sia in

sopra enunciati al numero 4.1 che precede sia in riferimento alla concreta
significanza dell’aggancio delle utenze stesse o del ripetitore di PONTICELLI,
dove l’agguato era stato realizzato, o di quello di POGGIOREALE, dove era stato
trovato, incendiato, il furgone utilizzato per la fuga dal luogo dell’omicidio,
elementi di fronte alla cui significanza svanisce quello relativo al fatto che uno o
più dei ricorrenti abitassero nelle zone interessate da detti ripetitori.
Con particolare riferimento al PRINCIPE, poi, e per rispondere ad una
sollecitazione espressamente svolta nel secondo motivo del ricorso con motivi
nuovi enunciato in sede di discussione, si osserverà come la tesi difensiva, a
mente della quale l’utenza del PRINCIPE avrebbe in ogni caso agganciato una
cella di San Giorgio a Cremano e non quella di Via PISCETTARO,così che il
ricorrente in realtà non si trovava sul luogo di preparazione dell’agguato
omicidiario, trascuri di considerare che la zona di San Giorgio a Cremano era in
realtà quella in cui si trovava l’abitazione del PRINCIPE quando quest’ultimo era
stato prelevato dalli ESPOSITO, intorno alle ore 11,30 circa, prima della
preparazione delle fasi finali dell’agguato delittuoso in esame, compiutosi invece
due ore dopo, intorno alle ore 13,30 circa del 23 dicembre stesso.
4.5 Conclusivamente, la sicura attribuzione delle utenze telefoniche ai singoli
ricorrenti e la descrizione, accurata e dettagliata, dei messaggi intercettati e del
relativo significato hanno costituito il fondamento della affermazione di correità
dei ricorrenti nel grave fatto omicidiario di cui si è trattato fino ad ora, correità
logicamente desunta dalla provata presenza di tutti e quattro sia nel momento
propriamente preliminare all’agguato che in quella della esecuzione dello stesso,
anche a cura di un correo denominato “filatore” che non è stato individuato, sia
infine nella fase immediatamente successiva, in cui tutti i partecipi all’agguato
risultano presenti sul luogo nel quale è stato trovato, dopo l’incendio, il furgone
utilizzato per la fuga dal luogo dei fatti e descritta nei termini fattuali di cui a f.
11 della ordinanza impugnata; ai dati di fatto ora ricordati, già di per sé

14

merito alla avvenuta attribuzione delle utenze in questione sulla base dei criteri

ampiamente sufficienti per riconoscere la sussistenza dei necessari, gravi indizi
di colpevolezza, si aggiungono poi, come elemento di supporto ma non decisivo,
le dichiarazioni del collaboratore Rocco CAPASSO che ha confermato che ad
uccidere il SOLLA erano stati i DE MICCO.
4.6 Quanto poi alla eccezione, sollevata dalli ESPOSITO, circa la mancata
trasmissione al Tribunale degli atti di un altro procedimento per omicidio e di una
informativa di Polizia giudiziaria dai quali erano state tratte le utenze a lui
attribuite, va osservato che la motivazione del Tribunale ha confutato

stato trasmesso con la comunicazione notizia di reato finale mentre le
osservazioni svolte nel ricorso non fanno altro che ripetere quanto già eccepito
davanti allo stesso Tribunale, senza alcuna effettiva connessione critico
argomentativa con le considerazioni svolte nella motivazione.
5. Venendo ora alle questioni poste dai vari ricorrenti in riferimento al reato
di cui al capo 1 della imputazione preliminare, quello di cui all’art. 416 bis cod.
pen., va ora trattato, sulla base delle conclusioni che si sono sopra illustrate, il
tema della affermata violazione del principio del “ne bis in idem” sollevato dal
ricorrente DE MICCO.
5.1 Va allora brevemente ricordato che il DE MICCO è stato condannato in
grado di appello con sentenza passata in giudicato (mentre era stato assolto in
primo grado) per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. commesso fino al giugno
del 2015 , data della sentenza di primo grado, come del resto enunciato
correttamente nella imputazione preliminare nella quale il DE MICCO, a
differenza degli altri ricorrenti, figura indagato dal giugno 2015 con condotta
perdurante; il ricorrente, sul presupposto della mancata dimostrazione della
esistenza di condotte significanti tenute dal DE MICCO dopo la data suddetta e
del fatto che le indicazioni dei collaboratori di giustizia collocavano le condotte
dell’indagato prima della data del giugno 2015, ha sostenuto che le condotte
addebitate al DE MICCO al capo 1 della ordinanza genetica erano in realtà
coperte da giudicato.
5.2 Come si è detto al numero che precede, il motivo di ricorso del DE
MICCO presuppone logicamente che non sia stata dimostrata, sia pure a livello di
mera gravità indiziaria, la partecipazione dello stesso all’omicidio del SOLLA e al
tentato omicidio dell ‘ARDU; in realtà, come si è visto più sopra, il DE MICCO
appare pienamente coinvolto nel grave fatto in questione commesso, nel
dicembre del 2016 e quindi successivamente alla data del giugno 2015
interessata, come momento consumativo finale, dalla sentenza passata in
15

pertinentemente quanto eccepito con l’osservazione che il tutto, in realtà era

giudicato per il precedente fatto di violazione dell’art. 416 bis cod. pen.; un fatto
nuovo e diverso, quindi, successivo al limite temporale del precedente giudicato
e sicuramente qualificabile come significativo sotto il profilo della qualificabilità in
termini dimostrativi della appartenenza alla associazione camorristica di cui al
capo 1 della imputazione preliminare, dato che il movente dell’omicidio è stato
individuato da un collaboratore nell’intento del clan DE MICCO di punire una
persona, il SOLLA, che si era staccato dalla compagine criminale per aprire una
piazza di spaccio per conto proprio; il relativo motivo di ricorso, quindi, è

6. Passando ora a trattare del reato di associazione mafiosa di cui al capo 1
della imputazione preliminare, vanno richiamate in primo luogo, quanto al DE
MICCO, le risultanze che emergono dalla più volte richiamata sentenza di
appello, passata in giudicato, che ha riconosciuto la responsabilità dell’indagato
per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. fino alla data del giugno 2015 e,
complessivamente, quelle derivanti da dichiarazioni di collaboratori riscontrate
dal contenuto di intercettazioni telefoniche, tutte orientate, secondo la
motivazione del provvedimento impugnato, alla dimostrazione della perdurante
esistenza del clan camorristico DE MICCO nei termini temporali di cui alla
imputazione preliminare; circa le indicazioni indiziarie riferibili ai singoli indagati,
poi, il Tribunale ha ampiamente motivato la sussistenza delle stesse nelle pagine
da 13 a 17 della ordinanza impugnata dove si ricorda, sia pure per sintesi, il
contenuto di dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia ritenute concorsi tra
loro e quindi debitamente riscontrate e confermate poi oggettivamente dal
contenuto di intercettazioni e da osservazioni materiali svolte dalla Polizia
giudiziaria.
6.1 II ricorrente DE MICCO ha contestato l’affermazione di gravità indiziaria
fatta propria dal Tribunale e, in subordine, ha segnalato l’assenza di effettive
indicazioni circa il ruolo dirigenziale attribuito al ricorrente nella compagine
criminale in argomento; in realtà, al di là di qualche marginale, possibile
imprecisione circa il soprannome con il quale il DE MICCO era stato indicato
(“Giovane” o “Direttore”) resta indiscussa, nei limiti di rilevanza tipici della fase
processuale nella quale l’ordinanza è stata pronunciata, la partecipazione del DE
MICCO, con funzione e ruolo deliberativo ed organizzativo di primo piano, al
grave fatto omicidiario sopra ricordato, così che le dichiarazioni dei collaboratori,
tacciate di inconsistenza e inaffidabilità, risultano invece fortemente riscontrate
da detta partecipazione e il ruolo di primazia svolto dal DE MICCO resta sua volta
riscontrato anche oltre i dati e gli elementi di fatto ricordati dettagliatamente
dalla ordinanza impugnata.
16

infondato.

6.2 I ricorrenti DE MARTINO, PRINCIPE, ed ESPOSITO hanno anch’essi
contestato la affermazione di gravità indiziaria circa il loro affermato
inserimento, come meri partecipi, nella associazione camorristica in esame ma
anche per essi valgono le considerazioni svolte più sopra posto che la accertata
partecipazione dei tre ricorrenti all’omicidio del SOLLA e al tentato omicidio dell’
ARDU riscontra i termini effettivamente indiscutibili le indicazioni indiziarie
elencate dal Tribunale per ognuno dei ricorrenti e vanifica in radice ogni dubbio
che ancora si potesse nutrire in dipendenza delle affermate inaffidabilità delle

oggettivi indicati dal Tribunale a conferma delle stesse.
6.3 D ricorrente ESPOSITO, poi, ha lamentato che il Tribunale non avesse
dato risposta alle osservazioni critiche esposte in una memoria con la quale si
denunciava l’assenza di autonoma valutazione, da parte del Giudice per le
indagini preliminari, della richiesta cautelare del Pubblico ministero e poi ancora
la mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza della aggravante del
carattere armato della associazione indicata al capo 1.
In realtà, la prima prospettazione critica si presenta sostanzialmente
apodittica ed immotivata, posto che la stessa non indica con il necessario
g< dettaglio luoghi materiali'ed aspetti della motivazione della ordinanza genetica che non avrebbero dimostrato il necessario esame critico della richiesta cautelare da parte del Pubblico ministero; la seconda prospettazione, poi, non tiene conto del fatto che l'omicidio SOLLA e il tentato omicidio ARDU è stato commesso con l'uso di armi, il che dimostra la piena e consapevole disponibilità delle stesse da parte di almeno quattro persone appartenenti al clan "De Micco". 7. Va infine rigettato anche il ricorso dello SCALA, sottoposto ad indagine per il solo reato di cui al capo 1 della imputazione preliminare in quanto affermato partecipe della associazione camorristica in esame; il ricorso si presenta infatti come una mera ripetizione, espressa anche in termini ipotetici e non argomentatamente connessi con il contenuto della motivazione, di valutazioni e di considerazioni che hanno già trovato nelle giustificazioni date dal Tribunale una adeguata trattazione con il richiamo a convergenti dichiarazioni di collaboratori, riscontrate da un colloquio in carcere con il fratello e da intercettazioni ambientali effettuate nella abitazione di una donna, tale Nunzia D' AMICO, con la considerazione quindi di una pluralità di dati indiziari che hanno trovato sostanziale convergenza nella indicazione dello SCALA come appartenente alla associazione in questione. 17 dichiarazioni dei collaboranti e/o delle affermate equivocità materiali dei riscontri Anche il tema, riproposto in termini totalmente sovrapponibili a quelli enunciati in sede di riesame, dell'esito di indagini difensive che avrebbero dimostrato la non partecipazione del SOLLA ad una scorreria armata nel parco Conocal del 3/8/2014 è stato correttamente trattato dal Tribunale che ha affermato la sostanziale non significanza delle dichiarazioni della moglie e di una foto allegata ( che avrebbero dovuto dimostrare che lo SCALA, quel giorno, si trovava in vacanza in provincia di Salerno) in ragione, per un verso, della mancata, certa datazione della foto stessa e, per l'altro, della circostanza che raggiungere nel pomeriggio il luogo in cui la famiglia stava trascorrendo le vacanze. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimento di cui all'art. 94, comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen. Così deciso il 27 marzo 2018. Il Consiglier testensore Il Presidente Maurizio G NESINI Anna PETRUZZELLIS l'orario dell'agguato Conocal avrebbe comunque permesso all'indagato di

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