Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20227 del 28/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 20227 Anno 2015
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: MACCHIA ALBERTO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
GUZZETTI ROBERTO N. IL 08/07/1958
avverso la sentenza n. 106/2014 TRIBUNALE di MILANO, del
09/06/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALBERTO MACCHIA;

Data Udienza: 28/04/2015

Il difensore di GUZZETTI Roberto propone ricorso per cassazione avverso la
sentenza pronunciata nei confronti del predetto dal Tribunale di Milano il 9 giugno
2014, lamentando genericamente vizio di motivazione e violazione di legge.
Il ricorso è manifestamente inammissibile. Costituisce, infatti, principio ormai
consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui la sentenza che
applica la pena su richiesta si fonda sulla concorde volontà delle parti negozialmente
espressa e che il giudice è tenuto a compiere, da un lato, l’accertamento positivo in
ordine alla validità del consenso prestato, alla corretta qualificazione giuridica del
fatto, alla applicazione ed alla comparazione di eventuali circostanze, alla congruità
della pena ed alla concedibilità dei benefici — ove a questi l’applicazione della pena
sia subordinata — e, successivamente, deve accertare la non ricorrenza delle cause di
non punibilità, non procedibilità o estinzione del reato, a norma dell’art. 129 cod.
proc. pen. Tale accertamento, peraltro, attesa la connotazione negativa che esso
assume nel panorama della specifica e peculiare delibazione devoluta al giudice
chiamato a definire il procedimento speciale, non comporta l’obbligo di una specifica
ed analitica motivazione, soprattutto quando le ragioni del proscioglimento di cui
all’art. 129 cod. proc. pen., non siano allegate dall’imputato o non siano desumibili ex
actis, essendo sufficiente che il giudice enunci l’esito negativo della indagine senza
ulteriormente diffondersi sulla ricerca degli elementi di colpevolezza dell’imputato,
sottesi al consenso prestato ed alla rinuncia dello stesso a contestare mediante la
richiesta di applicazione della pena la fondatezza dell’accusa. Quanto, poi, alle
circostanze ed alla loro comparazione è parimenti sufficiente che il giudice ritenga la
correttezza della loro applicazione e prospettazione, mentre per ciò che attiene alla
pena, l’obbligo di motivazione è soddisfatto dall’esplicito giudizio circa la relativa
congruità. Pertanto, ogni censura attinente al merito del consenso, alla fondatezza
della accusa ed all’accertamento positivo degli altri elementi dianzi specificati
(qualificazione del fatto, applicazione e comparazione delle circostanze, congruità
della pena e benefici) rimane preclusa; sicchè, il ricorso per cassazione con il quale
l’imputato si dolga del mancato proscioglimento, della contestazione delle
circostanze, del giudizio di comparazione, del trattamento sanzionatorio unicamente
per il profilo del difetto di motivazione della sentenza — quando il giudice abbia
effettuato, come nel caso di specie, gli accertamenti positivi e negativi richiesti dalla
legge — deve essere dichiarato inammissibile per genericità e manifesta infondatezza
del motivo.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di
una somma che si stima equo determinare in euro 1.500,00 alla luce dei principi
affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.

OSSERVA

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Cosi deciso in Roma, il 28 aprile 2015.

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