Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20227 del 08/02/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 20227 Anno 2018
Presidente: FIDELBO GIORGIO
Relatore: D’ARCANGELO FABRIZIO

SENTENZA

sui ricorsi proposto da:

Iacovo Pierangelo, nato a Cetraro V08/07/1989
Giannelli Pietro, nato a Lippstadt (Germania) il 04/07/1973

avverso la sentenza del 09/01/2017 della Corte di appello di Catanzaro

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D’Arcangelo;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Perla Lori, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità
dei ricorsi;
uditi gli avvocati, Cesare Badolato, difensore di Pierangelo Iacovo, e Rosetta
Anna Mancuso, difensore di Pietro Giannelli, che hanno chiesto l’accoglimento dei
ricorsi;

Data Udienza: 08/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Catanzaro ha
confermato la sentenza emessa in data 10 marzo 2016 dal Giudice dell’udienza
preliminare del Tribunale di Castrovillari nei confronti degli imputati appellanti
Pierangelo Iacovo e Pietro Giannelli, che ha condannato al pagamento delle
spese processuali del grado.

del delitto di cui agli artt. 73, comma quarto, ed 80, comma secondo, d.P.R. 9
ottobre 1990, n. 309 per aver coltivato, all’interno di sei serre attigue e di
notevoli dimensioni, site in un terreno recintato e chiuso da un cancello, n. 2504
piante di canapa indiana di altezza variabile tra cm. 25 e m. 1,70 e per aver
detenuto, a fini di spaccio, 43 kg. di marijuana già essiccata, costituiti da n. 240
piante prive di radici e delle parti legnose più consistenti, in Spezzano Albanese
in data 11 luglio 2015.
3. Gli avvocati Cesare Badolato e Vito Caldiero, nell’interesse dello Iacovo,
e l’imputato Pietro Giannelli personalmente ricorrono avverso tale sentenza e ne
chiedono l’annullamento.
4. Gli avvocati Cesare Badolato e Vito Caldiero, nell’interesse dello Iacovo,
con unico motivo deducono la violazione di legge, con riferimento agli artt. 125
cod. proc. pen., 73, comma quarto, 80 comma secondo, d.P.R. n. 309 del 1990,
nonché la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della
motivazione della sentenza impugnata sul punto.
5. Pietro Giannelli deduce tre motivi e, segnatamente:

la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della

motivazione della sentenza impugnata;

la inosservanza o la erronea applicazione della legge penale in relazione

alla contestata aggravante dell’articolo 80, comma secondo, d.P.R. n. 309 del
1990;

la inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità ed

inutilizzabilità in relazione agli articoli 63, comma secondo, e 350 cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi devono essere disattesi in quanto infondati.

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2. Pierangelo Iacovo e Pietro Giannelli sono imputati, in concorso tra loro,

%

2. Gli avvocati Cesare Badolato e Vito Caldiero, nell’interesse dello Iacovo,
con unico motivo deducono la violazione di legge, con riferimento agli artt. 125
cod. proc. pen., 73, comma quarto, 80 comma secondo, d.P.R. n. 309 del 1990,
nonché la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della
motivazione della sentenza impugnata sul punto.
La motivazione della sentenza impugnata si fondava, infatti, su
ricostruzioni ipotetiche che si rivelavano strutturalmente inidonee a superare la

La Corte di appello di Catanzaro, infatti, a pag. 6 della sentenza impugnata,
aveva ritenuto improbabile che il Giannelli, consapevole della attività di
coltivazione illecita svolta all’interno del fondo, avesse incaricato lo Iacovo della
potatura delle vigne.
Tale dato, tuttavia, rispondeva ad una prassi consuetudinaria tipica delle
zone rurali calabresi, ove è estremamente frequente incaricare manodopera
locale della esecuzione di lavori in campagna, anche per una sola giornata.
Lo Iacovo svolge, del resto, come documentato, attività di bracciante
agricolo e, come aveva dichiarato sin dall’interrogatorio di convalida, era stato
assoldato dallo Giannelli esclusivamente per eseguire il lavoro di pulitura di un
vigneto antistante le serre; per tale ragione il ricorrente aveva ricevuto dal
coimputato, poco prima dell’intervento degli inquirenti, le chiavi di accesso al
fondo.
Irrilevante era, inoltre, l’elemento di riscontro valorizzato dalla Corte di
appello, costituito dalla presenza, nella rubrica telefonica degli originari
coindagati (Giuseppe De Rose ed Armando Antonucci, le cui posizioni erano,
peraltro, state medio tempore archiviate), di una serie di “conoscenze comuni” e
di “contatti telefonici in comune” con lo Iacovo; tale evenienza era, infatti,
altamente probabile in centri abitati piccoli e tale ricorrenza non poteva
avvalorare di per sé l’ipotesi di “contatti telefonici indiretti”.
Dall’analisi dei tabulati telefonici non erano, inoltre, emersi contatti diretti
tra lo Iacovo, il De Rose e l’Antonucci ed i rispettivi numeri di telefono erano
assenti dalle rubriche telefoniche degli altri originari coindagati. Nei bigliettini
rinvenuti nel capanno posto all’interno del fondo sequestrato, inoltre, non vi era
alcun riferimento all’imputato.
Non vi erano, dunque, elementi probatori che potessero dimostrare il
coinvolgimento dell’imputato nella attività illecite poste in essere nelle serre in
questione e, pertanto, il convincimento espresso dalla Corte di appello era
fondato esclusivamente su conclusioni ipotetiche, non riscontrate da alcun dato
ed anzi avulse dalle risultanze processuali.

soglia probatoria dell’al di là di ogni ragionevole dubbio.

La sentenza impugnata aveva, peraltro, omesso ogni valutazione della
posizione dell’imputato nella realizzazione della condotta incriminata.
La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, del resto, nella sentenza
n. 39380 del 2016, emessa in relazione al ricorso presentato in sede cautelare
dallo Iacovo ai sensi dell’art. 311 cod. proc. pen., aveva evidenziato la posizione
“logicamente subalterna” dell’imputato, “in quanto addetto a compiti esecutivi,
rispetto a chi aveva preso in fitto il terreno ove la coltivazione era in atto”.
Era, pertanto, stata obliterata dalla Corte di appello di Catanzaro la

contributo di minima importanza di cui all’art. 114 cod. pen., specificamente
devoluta alla cognizione della corte territoriale mediante il deposito di motivi
aggiunti depositati alla udienza del 9 novembre 2016.
Tale omissione di pronuncia si rivelava, peraltro, ingiustificata, in quanto lo
Iacovo, nell’economia generale dell’iter criminoso, aveva assunto un ruolo del
tutto marginale.
Non essendo, inoltre, stata rilevata la presenza del ricorrente sul fondo in
questione, nelle vicinanze o in zone limitrofe, nei giorni precedenti a quello del
suo arresto, doveva ritenersi provato che lo Iacovo non avesse contezza del tipo
e del quantitativo di sostanza stupefacente presente in loco.
Illegittima era, pertanto, la estensione della applicazione della circostanza
di cui all’art. 80, comma secondo, d.P.R. n. 309 del 1990 anche all’imputato, in
quanto, pur ammettendo che lo stesso fosse a conoscenza di una attività di
coltivazione illegale su quel fondo, non vi aveva partecipato in precedenza e,
dunque, non era a conoscenza dello specifico profilo del quantitativo di
stupefacente ivi presente.

3. Tali censure devono, tuttavia, essere disattese in quanto si rivelano
infondate.
La regola di giudizio compendiata nella formula “al di là di ogni ragionevole
dubbio” rileva, infatti, in sede di legittimità esclusivamente ove la sua violazione
si traduca nella illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza,
non avendo la Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione delle
fonti di prova (ex plurimis:

Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, D’Urso, Rv.

270108).
Il motivo di ricorso relativo alla illogicità della motivazione relativa
all’affermazione della responsabilità penale dello Iacovo è, invero,
inammissibile, in quanto svolto esclusivamente in fatto ed inteso ad ottenere una
valutazione delle risultanze probatorie alternativa e più favorevole di quella
operata dalla sentenza impugnata.

questione della applicabilità nella specie della circostanza attenuante del

Nel giudizio di cassazione sono, tuttavia, precluse al giudice di legittimità la
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e
l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione
dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una
migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez.
6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).
La Corte di appello di Catanzaro, nella sentenza impugnata, ha, peraltro,
argomentato non illogicamente la sussistenza del concorso dell’imputato nelle

sopra descritte, rilevando come lo Iacovo sia stato visto dagli inquirenti
introdursi nel fondo a bordo di un furgone IVECO, in assenza del conduttore; in
particolare l’imputato aveva aperto il cancello antistante le serre, mediante le
chiavi di accesso, di cui aveva il possesso, e si era fermato all’entrata del
capanno, senza essersi avveduto della presenza degli operanti.
Parimenti indiziante era stata ritenuta la versione difensiva dell’imputato, in
quanto smentita da plurimi dati di fatto ed incongruente.
Non era, infatti, plausibile, alla stregua di consolidate massime di
esperienza sul comune corso degli eventi, che il Giannelli avesse consentito
l’accesso al fondo ad un soggetto ignaro delle attività illecite nello stesso poste in
essere, che, un volta accortosi della natura illecita delle coltivazioni ivi presenti,
avrebbe potuto denunciarlo, determinandone l’arresto ed il sequestro della
sostanza stupefacente.
D’altra parte, la sentenza di primo grado, espressamente richiamata dalla
sentenza impugnata, ha significativamente rilevato come sul fondo de quo,
peraltro situato in una zona interna, non facilmente accessibile dalla strada
principale asfaltata, non vi fosse attività di coltivazione diversa da quella delle
piante di marijuana e, pertanto, la versione difensiva dello Iacovo si rivelava
inverosimile.
Poco dopo l’ingresso dello Iacovo all’interno del fondo, del resto, gli
inquirenti avevano visto sopraggiungere l’autovettura di Giuseppe De Rose ed
Armando Antonucci, risultati in possesso di una consistente somma di danaro,
che non erano riusciti a giustificare.
Tale elemento, unitamente, alle annotazioni di quantitativi e di cifre
rinvenute all’interno del capanno, aveva indotto la Corte di appello a ritenere, al
pari del giudice di primo grado, che le contrattazioni illecite di solito avvenissero
all’interno dello stesso e che il De Rose e l’Antonucci si fossero recati in loco per
acquistare sostanza stupefacente.
Parimenti infondate si rivelano le censure svolte dal ricorrente
relativamente alla mancata applicazione da parte della Corte di appello di

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condotte criminose di coltivazione e di detenzione della sostanza stupefacente

Catanzaro della circostanza attenuante del contributo di minima importanza di
cui all’art. 114 cod. pen. ed alla esclusione della circostanza aggravante
dell’ingente quantità di cui all’art. 80, comma secondo, d.P.R. 9 ottobre 1990, n.
309.
Nel formulare tali censure, infatti, il ricorrente fa riferimento al fatto come
prospettato nella propria versione difensiva e non già come accertato dalla
sentenza impugnata e dalla conforme sentenza di primo grado.
La Corte di appello ha, infatti, escluso in radice che lo Iacovo fosse

presenza in loco come stabile.
In tale prospettiva interpretativa, coerentemente, la Corte di appello di
Catanzaro ha ritenuto sussistente il coefficiente soggettivo necessario per
applicare la circostanza aggravante dell’ingente quantità di cui all’art. 80, comma
secondo, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Parimenti, pur non avendo la Corte di appello di Catanzaro espressamente
disatteso la richiesta di applicazione della circostanza attenuante del contributo
di minima importanza di cui all’art. 114 cod. pen., la stessa si rivela
strutturalmente incompatibile con il ruolo dell’imputato di concorrente materiale
nella coltivazione illecita accertato dai giudici di merito.
La circostanza attenuante del contributo concorsuale di minima importanza
trova, infatti, applicazione esclusivamente là dove l’apporto del correo risulti
obiettivamente così lieve da apparire, nell’ambito della relazione causale, quasi
trascurabile e del tutto marginale (ex plurimis: Sez. 1, n. 29168 del 31/05/2011,
Atowi, Rv. 250751; Sez. 6, n. 31762 del 09/06/2003, Arziliero, Rv. 22628).
In sede di legittimità, non è, peraltro, censurabile una sentenza per il suo
silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando risulti
che la stessa sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza
complessivamente considerata (Sez. 1, 27825 del 22/05/2013, Caniello, Rv.
256340).
Nessun contrasto può, inoltre, ravvisarsi tra le statuizioni adottate dalla
sentenza impugnata e quelle rese dalla Terza Sezione Penale della Corte di
Cassazione nella sentenza n. 39380 del 2016, essendo queste ultime relative alla
cognizione del fatto emersa nei limiti delibatori propri della fase cautelare.

4. Con il primo motivo l’imputato Pietro Giannelli deduce la mancanza, la
contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza
impugnata.
La Corte di appello di Catanzaro, infatti, aveva solo apparentemente
motivato in relazione alla posizione del Giannelli, non avendo tenuto conto degli

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intervenuto sul fondo solo occasionalmente ed ha anzi considerato la propria

atti di indagine, né tanto meno dello svolgimento dell’intera vicenda, che
dimostravano la estraneità dell’imputato alla commissione dei reati per cui si
procede.
Il coinvolgimento dello Giannelli era, infatti, stato argomentato
esclusivamente sulla base della stipulazione del contratto di affitto del fondo, ove
era stata realizzata l’attività di coltivazione della sostanza stupefacente, ma per
sua stessa ammissione, mai l’imputato si era recato in loco.
Gli inquirenti, peraltro, non avevano rinvenuto nella disponibilità del

Nessuna altra prova, inoltre, era emersa a carico dell’imputato, non
essendo stato rinvenuta alcuna telefonata o contatto con gli altri imputati o
sequestrato materiale “compromettente” in sede di perquisizione.

4.1. Il motivo si rivela, tuttavia, inammissibilmente inteso a sollecitare una
diversa, e più favorevole, valutazione dei fatti posti a fondamento della decisione
impugnata.
La sentenza impugnata ha congruamente rilevato come la responsabilità
del Giannelli si fondi sulla disponibilità del fondo acquisita nel febbraio 2015,
mediante la stipula un contratto di locazione per il quale aveva versato in
anticipo il canone annuo di tremila euro e sulle incongruenze della propria
versione difensiva, risultata, peraltro, in radicale contrasto con quella dello
Iacovo. Il Giannelli aveva, infatti, dichiarato di non aver mai visto lo Iacovo.
Nella valutazione congrua e logica della Corte di appello, del resto, il
pagamento anticipato del corrispettivo annuale, da parte di un soggetto in stato
di indigenza, induceva a ritenere la consapevolezza di un imminente recupero
delle risorse impiegate, da realizzarsi mediante i profitti lucrati dalla attività di
coltivazione illecita.
Nella sentenza impugnata si rileva, inoltre, come la coltivazione fosse stata
organizzata in modo imprenditoriale, posto che le piante di canapa indiana erano
coltivate su appositi filari, paralleli tra loro e serviti da un efficiente sistema di
irrigazione.

4.2 Con il secondo motivo il ricorrente censura la inosservanza o la erronea
applicazione della legge penale in relazione alla contestata aggravante
dell’articolo 80, comma secondo, d.P.R. n. 309 del 1990
Le sentenza impugnata aveva, infatti, calcolato il quantitativo di sostanza
stupefacente sequestrato, isolando in ciascun campione selezionato da ciascun
lotto la quantità di principio attivo THC e poi moltiplicando la quantità ottenuta
per il totale delle piante presenti nel lotto.

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ricorrente la chiave per accedere al fondo.

t

Tale operazione era, tuttavia, fallace in quanto non si era precisato quante
piante di ciascun gruppo potessero dirsi mature e quante immature ed
erroneamente postulava che tutte le piante in sequestro avessero le medesime
caratteristiche.
Appariva eccessiva, pertanto, la ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui
all’art. 80, comma secondo, d.P.R. n. 309 del 1990, stante la indeterminatezza
del principio attivo rinvenuto nelle piante sequestrate.

svolta nell’atto di appello e che la Corte di appello ha confutato, a pag. 10 della
sentenza impugnata, argomentando, sulla base dei test chimici svolti, come le
piante sequestrate fossero idonee a “produrre germinazione ad effetto
stupefacente”.
Secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in tema di produzione,
traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti, l’aggravante della ingente
quantità, di cui all’art. 80, comma secondo, d.P.R. n. 309 del 1990, non è di
norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2.000 volte il valore
massimo, in milligrammi (valore – soglia), determinato per ogni sostanza nella
tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale
valutazione del giudice di merito, quando tale quantità sia superata (Sez. U, n.
36258 del 24/05/2012, Biondi, Rv. 253150).
La circostanza aggravante della ingente quantità, prevista dall’art. 80,
comma secondo, d.P.R. n. 309 del 1990, è, peraltro, configurabile anche con
riguardo alla coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sia ricavabile
sostanza stupefacente e va determinata in base agli stessi criteri valevoli per le
altre ipotesi di produzione o traffico illecito di cui all’art. 73 legge citata, con la
specificazione che il dato ponderale da prendere in considerazione è quello
virtuale della quantità di stupefacente ricavabile dalla piantagione all’esito del
suo ciclo produttivo, e anche in relazione al prevedibile sviluppo delle piante (ex
plunmis: Sez. 4, n. 10618, del 18/01/2013, Grasso, Rv. 254912; Sez. 4, n. 9402
dell’11/02/2011, Correale, Rv. 249814).
Alla stregua delle risultanze del caso di specie e, segnatamente, degli
elevati quantitativi di marijuana già essiccata (43 kg.) rinvenuta dagli inquirenti
nel fondo predetto e della acclarata attitudine delle 2054 piante in via di
coltivazione a produrre germinazione ad effetto stupefacente, tutt’altro che
illogicamente la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente la predetta
circostanza aggravante.

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4.3. Tale doglianza si rivela meramente riproduttiva della censura già

4.4. Con il terzo motivo il ricorrente si duole della inosservanza delle norme
processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità in relazione agli articoli 63,
comma secondo, cod. proc. pen. 350.
Il criterio di collegamento tra il fondo sul quale insisteva la coltivazione
della cannabis ed il Giannelli era, infatti, rappresentato esclusivamente dal
contratto di affitto che Andrea e Rosina Tocci avevano stipulato con l’imputato.
Al reperimento di tale documento gli inquirenti erano pervenuti attraverso
le dichiarazioni dei Tocci, escussi dal Carabinieri in data 13 luglio 2015. Sin da

piantagione, avrebbero dovuto sentire i proprietari del fondo in qualità di
indagati e, pertanto, le dichiarazioni dei medesimi dovevano essere ritenute
inutilizzabili erga omnes, in quanto assunte in assenza di un difensore.

4.5. Anche tale censura deve essere disattesa in quanto infondata.
L’inutilizzabilità erga omnes delle dichiarazioni rese da chi doveva essere
sentito sin dall’inizio come indagato o imputato sussiste solo se, al momento
delle dichiarazioni, il soggetto che le ha rese non sia estraneo alle ipotesi
accusatorie allora delineate, in quanto l’inutilizzabilità assoluta, ex art. 63,
comma 2, cod. proc. pen., richiede che a carico di detto soggetto risulti
l’originaria esistenza di precisi, anche se non gravi, indizi di reità; ne consegue
che tale condizione non può farsi derivare automaticamente dal solo fatto che il
dichiarante possa essere stato in qualche modo coinvolto in vicende
potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formazione di addebiti penali a suo
carico, occorrendo, invece, che tali vicende, per come percepite dall’autorità
inquirente, presentino connotazioni tali da non poter formare oggetto di ulteriori
indagini se non postulando necessariamente l’esistenza di responsabilità penali a
suo carico (Sez. 4, n. 29918 del 17/06/2015, Affatato, Rv. 264476).
Nella specie, tuttavia, tali elementi indizianti non potevano essere ritenuti
sussistenti sulla base della mera titolarità del fondo, in quanto già dagli originari
accertamenti eseguiti all’atto dell’arresto degli imputati era emerso che i Tocci
non ne avevano la disponibilità diretta, essendo lo stesso stato concesso in
godimento a terzi, che lo avevano destinato alla illecita coltivazione.

5. Alla stregua dei rilievi che precedono entrambi i ricorsi devono essere
rigettati ed i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese
processuali.

9

quel momento, tuttavia, i Carabinieri, atteso che era già stata rinvenuta la

,

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso 1’08/02/2018.

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