Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20207 del 27/03/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 20207 Anno 2018
Presidente: TARDIO ANGELA
Relatore: CENTOFANTI FRANCESCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TASCA GIUSEPPE nato il 13/06/1972 a GELA

avverso l’ordinanza del 19/07/2017 del TRIBUNALE di GELA
sentita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO CENTOFANTI;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale PIETRO MOLINO, che ha chiesto rigettarsi il ricorso.

Data Udienza: 27/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Gela, in funzione di giudice dell’esecuzione, con l’ordinanza
in epigrafe rigettava l’istanza di Giuseppe Tasca, intesa al riconoscimento della
continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., in relazione ai reati oggetto:
– del provvedimento di esecuzione delle pene concorrenti emesso dalla
Procura della Repubblica di Gela il 30 maggio 2014, includente, tra l’altro, fatti
plurimi di omicidio, consumato e tentato, commessi in Gela tra l’ottobre e il

delinquere di stampo mafioso, negli anni dal 2000 al 2002;

dell’ulteriore sentenza 12 luglio 2000 della Corte di appello di

Caltanissetta, di condanna per fatti di estorsione protrattisi tra l’aprile 1991 e
l’aprile 1992.
Secondo il predetto giudice mancavano indici esteriori significativi di una
anticipata programmazione unitaria, sia rispetto agli omicidi in quanto tali; sia
nel rapporto tra questi ed il reato associativo, di dieci anni successivo; sia
riguardo al reato estorsivo, a cospetto degli uni e dell’altro.
Il giudice dell’esecuzione respingeva altresì la concorrente istanza, formulata
verbalmente dal difensore all’udienza fissata per la trattazione dell’incidente,
intesa come volta ad ottenere la retrodatazione della data di inizio esecuzione
della pena di cui al provvedimento di cumulo 30 maggio 2014, il cui computo era
viceversa ritenuto esatto.

2. Ricorre per cassazione il condannato, tramite il medesimo difensore,
mediante unico articolato motivo, che denuncia – ai sensi dell’art. 606, comma
1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. – la violazione degli artt. 81 cod. pen., 125, 663
e 671 cod. proc. pen., nonché il vizio di motivazione.
Il giudice dell’esecuzione avrebbe argomentato in modo fallace il diniego
della continuazione, esistendo un palese contesto mafioso idoneo a svolgere la
necessaria funzione unificante.
A riprova di ciò il ricorrente evidenzia che, nel procedimento conclusosi con
la condanna per estorsione, era stata contestata la partecipazione a «Cosa
Nostra» (clan Madonia di Gela), in ambito temporale concomitante alla condotta
estorsiva, e tale partecipazione, su cui avevano riferito i collaboratori, era stata
valorizzata in sentenza. La circostanza, pur rappresentata al giudice suddetto,
era stata da lui ignorata.
Identica lacuna motivazionale sarebbe riscontrabile in rapporto agli omicidi,
commessi «in piena guerra di mafia» (c.d. strage di Gela), e «al fine di
respingere le mire espansionistiche degli avversari (stiddari)».

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dicembre 1990, nonché la condotta di partecipazione ad associazione per

L’ordinanza impugnata sarebbe errata anche sotto il profilo ulteriore, che
investiva direttamente il titolo in esecuzione.
Il provvedimento di cumulo delle pene 30 maggio 2014 sarebbe infatti
viziato in quanto esso, fissando l’inizio dell’espiazione della pena residua alla
data del 3 gennaio 2004, anziché alla data dell’arresto (2 settembre 1999),
pregiudicherebbe il diritto del condannato all’integrale rappresentazione della sua
vicenda espiativa, includente le pene concorrenti già scontate, utili all’anticipata

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.

2. L’ordinanza impugnata sfugge invero a censura, nella parte in cui esclude
l’identità del disegno criminoso tra i reati di omicidio (consumato e tentato) ed
estorsione, da un lato, e la condotta di partecipazione ex art. 416-bis cod. pen.
dall’altro, muovendo dall’esatto principio di diritto secondo cui il relativo nesso
non è configurabile tra il reato associativo e quei reati fine che, quand’anche
rientrino nell’ambito delle attività del sodalizio criminoso e siano finalizzati al
rafforzamento del medesimo, non erano programmati, almeno a grandi linee, al
momento dell’ingresso nell’associazione stessa (Sez. 1, Sentenza n. 1534 del
09/11/2017, dep. 2018, Giglia, Rv. 271984).
Ed è agevole constatare che, nel caso di specie, la condanna di Tasca ex art.
416-bis cod. pen. riflette un’affiliazione mafiosa addirittura posteriore alla
commissione dei reati fine, che si pretenderebbe di porre con essa in
continuazione.

3. La motivazione della medesima ordinanza appare invece carente, in
rapporto all’invocata continuazione, sotto gli ulteriori aspetti denunciati.
3.1. Quanto alla possibilità di unificare tra loro, ex art. 81 cpv. cod. pen., i
fatti omicidiari, la contraria argomentazione poggia sul rilievo che – anche a
prescindere dalla prova che gli stessi fatti fossero strumentali al rafforzamento
dell’associazione mafiosa (non avendo Tasca riportato anteriori condanne per il
reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.), o corrispondessero ad un metodo di
risoluzione dei conflitti, interni od esterni, all’epoca usuale – non emergerebbe
una loro previsione unitaria e specifica ab origine, ma soltanto un rapporto di
reciproca strumentalità, sintomatico solo di proclività a delinquere.
Il rilievo incidentale, solo apparentemente marginale nell’economia del
ragionamento, è tuttavia contraddetto dal sicuro contesto mafioso in cui

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maturazione dei requisiti temporali di accesso ai benefici penitenziari.

maturarono i crimini in discorso, chiaramente emergente dai titoli di condanna
(in ricorso specificamente richiamati), siccome posti in essere nell’ambito della
sanguinosa faida che all’epoca contrapponeva le organizzazioni mafiose radicate
sul territorio di Gela; scenario in sé non contraddetto dall’intervenuto
annullamento senza rinvio (ad opera della sentenza di questa Corte n. 49525 del
2003, per preclusione da precedente giudicato assolutorio) della sentenza 12
luglio 2000 della Corte di appello di Caltanissetta, nella parte recante la
condanna di Tasca per il reato di coeva partecipazione ad associazione mafiosa,

logico né giuridico.
Indiscutibile essendo la comune matrice mafiosa, la valutazione del
Tribunale appare nel resto meramente assertiva, tenuto conto che l’esistenza del
medesimo disegno criminoso va desunta dal complessivo apprezzamento di
elementi indizianti, quali, esemplificativamente, l’unitarietà del contesto e della
spinta a delinquere, la brevità del lasso temporale che separa i diversi episodi, la
natura dei reati, l’analogia del modus operandi e la costante compartecipazione
dei medesimi soggetti (v. Sez. 5, n. 1766 del 06/07/2015, dep. 2016, Esposti,
Rv. 266413), elementi in ordine ai quali è mancato ogni approfondimento.
3.2. Quanto all’invocata continuazione tra i fatti omicidiari e l’estorsione,
nessuna specifica argomentazione sorregge, a ben vedere, il diniego.
Una giustificazione viceversa si imponeva, stante il sicuro sfondo mafioso
anche del reato patrimoniale, ben individuato dal titolo, e non essendo (di per
sé) di ostacolo la mancata identità in tal caso dei beni giuridici protetti, alla luce
del principio secondo cui l’unicità del disegno criminoso può essere riconosciuta
anche tra reati non omogenei, in quanto la continuazione dei reati ha
fondamento prevalentemente psicologico, essendo sufficiente che i diversi reati
siano unificati dalla presenza di un elemento finalistico, ossia dall’unicità dello
scopo che l’agente si è prefissato, il quale è rinvenibile dal contesto logicotemporale di commissione dei reati (Sez. 1, n. 17868 del 25/01/2017, Seferi, Rv.
270196; Sez. 1, n. 12357 del 17/03/2006, Mabrouki, Rv. 234018), nonché dagli
altri elementi sopra indicati; a tal fine risultando idonea la constatazione anche di
alcuni soltanto di essi, purché significativi (Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012,
dep. 2013, Daniele, Rv. 255156).

4. In ordine al tema ulteriore trattato dall’ordinanza impugnata, occorre
rilevare che il provvedimento di cumulo delle pene 30 maggio 2014 – pur
attestando la decorrenza della pena residua da espiare al 3 gennaio 2014 – dà
atto di un presofferto, relativo al periodo intercorrente tra l’arresto del settembre
1999 e la data anzidetta, esclusi pero i due mesi e ventuno giorni (dal 14 ottobre

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che del descritto contesto non costituisce tuttavia indefettibile presupposto, né

2003 al 3 gennaio 2004) imputati all’espiazione della sentenza 12 luglio 2000
della Corte di appello di Caltanissetta, di cui pure in premessa; espiazione
considerata implicitamente come esaurita e per l’effetto non presa affatto in
considerazione.
Questa Corte, tuttavia, ha ripetutamente affermato il principio, secondo cui,
ai fini dell’esecuzione delle pene concorrenti, vanno inserite nel provvedimento
ex art. 663 cod. proc. pen. non solo tutte le pene che non risultano ancora
espiate alla data di sua redazione, ma anche quelle già espiate, che possano

e sul cumulo materiale, anche in vista della maturazione dei requisiti temporali
per l’ammissione ad eventuali benefici penitenziari (Sez. 1, n. 27569 del
23/06/2010, De Biase, Rv. 247732; Sez. 1, n. 7345 del 05/12/2006, dep. 2007,
Cozzolino, Rv. 236235; Sez. 1, n. 4507 del 20/06/2000, Guerra, Rv. 216743);
trovando il principio dell’unità del rapporto esecutivo deroga, solo qualora
durante l’espiazione di una determinata pena, o dopo che l’esecuzione di
quest’ultima sia stata interrotta, il condannato commetta un nuovo reato
(dovendosi in tal caso procedere a cumulo interno parziale, in modo che quello
finale comprenda, oltre alla pena inflitta per il nuovo reato, la parte risultante dal
cumulo precedente, rimanendo solo tale sommatoria sottoposta alle limitazioni
previste dall’art. 78 cod. pen.: Sez. 1, n. 32896 del 30/06/2014, Facella, Rv.
261197).
L’esecuzione penale ai danni di Tasca, ed il provvedimento che la regola, non
appare conforme a tale insegnamento, ed il Tribunale, dall’interessato sollecitato,
ha mancato di assicurarne l’osservanza nell’esercizio del controllo che la legge gli
affida.

5. Segue l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio al giudice
dell’esecuzione per il rinnovato esame dei profili dianzi evidenziati.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Gela.
Così deciso il 27/03/2018

comunque avere un riflesso sul criterio moderatore previsto dall’art. 78 cod. pen.

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