Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20206 del 15/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 20206 Anno 2015
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: D’ISA CLAUDIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MEDAGLIA ANTONIO N. IL 06/03/1973
TRIUMBARI ANTONIO N. IL 22/05/1969
avverso la sentenza n. 3469/2014 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di POTENZA, del 16/06/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CLAUDIO D’ISA;

Data Udienza: 15/04/2015

1. Gli imputati MEDAGLIA Antonio e TRIUMBARI Antonio ricorrono per
cassazione avverso la sentenza di applicazione concordata della pena in epigrafe
indicata, deducendo il primo carenza di motivazione della medesima in ordine
all’insussistenza di una delle “cause di non punibilità” di cui all’articolo 129 c.p.p., ed il
secondo violazione di legge, nella specie dell’art. 446 c.p.p. per avere il GUP disposto
l’applicazione di pena nominando un difensore di ufficio che si è riportato alle richieste
formulate, sebbene il procuratore speciale fosse presente, con la conseguenza che la
volontà dell’imputato si è perfezionata con l’intervento di un difensore non munito di
procura speciale..
2. Quanto al ricorso del MEDAGLIA esso è inammissibile, ex articolo 606, comma
3, c.p.p., perché proposto per motivi manifestamente infondati e, ex articolo 591,
comma 1, lettera c), c.p.p., perché i motivi sono privi del requisito della specificità,
consistendo nella generica esposizione della doglianza senza alcun contenuto di effettiva
critica alla decisione impugnata.
Come questa Corte ha ripetutamente affermato (cfr. ex plurimis Cass. S.U. 27
settembre 1995, Serafino), l’obbligo della motivazione della sentenza di applicazione
concordata della pena va conformato alla particolare natura della medesima e deve
ritenersi adempiuto qualora il giudice dia atto, ancorché succintamente, di aver
proceduto alla delibazione degli elementi positivi richiesti (la sussistenza dell’accordo
delle parti, la corretta qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione di eventuali
circostanze ed il giudizio di bilanciamento, la congruità della pena, la concedibilità della
sospensione condizionale della pena ove la efficacia della richiesta sia ad essa
subordinata) e di quelli negativi (che non debba essere pronunciata sentenza di
proscioglimento a norma dell’articolo 129 c.p.p.).
In particolare, il giudizio negativo in ordine alla ricorrenza di una delle ipotesi di
cui all’articolo 129 c.p.p. deve essere accompagnato da una specifica motivazione
soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi
circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi
sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nell’enunciazione, anche
implicita, che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le
condizioni per una pronuncia di proscioglimento ai sensi della disposizione citata.
Nel procedimento speciale di applicazione della pena su richiesta delle parti, il
giudice decide, invero, sulla base degli atti assunti ed è tenuto, pertanto, a valutare se
sussistano le anzidette cause di proscioglimento soltanto se le stesse preesistano alla
richiesta e siano desumibili dagli atti medesimi.
Non è consentito, dunque, all’imputato, dopo l’intervenuto e ratificato accordo,
proporre questioni in ordine alla mancata applicazione dell’articolo 129 c.p.p., senza
precisare per quali specifiche ragioni detta disposizione avrebbe dovuto essere applicata
nel momento del giudizio.
3. Il ricorso del TRIUMBARI è parimenti inammissibile essendo del tutto
infondata la relativa censura, atteso che dalla intestazione della sentenza impugnata
emerge che il TRIUMBARI, in di stato di detenzione, era presente, come era altresì
presente il suo difensore avv. Domenico Stigliani, e dalla motivazione della sentenza
(pag. 41) emerge che le istanze ex art. 444 c.p.p. venivano riproposte in udienza, e,
quindi, in presenza dell’imputato, con acquisizione dell’adesione del P.M..
3. Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle
Ammende, non emergendo ragioni di esonero, e ciascuno della somma di euro 1500,00
(millecinquecento/00) a titolo di sanzione pecuniaria.
Per questi motivi
La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento
delle spese del procedimento e ciascuno al pagamento a favore della Cassa delle
ammende della somma di euro 1500,00 (millecinquecento/00).
Così deciso in Roma all’udienza camerale del 15 aprile 2015.

osserva

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