Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20203 del 21/03/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 20203 Anno 2018
Presidente: CASA FILIPPO
Relatore: CENTOFANTI FRANCESCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
POLITO BRUNO nato il 25/11/1972 a LOCRI

avverso l’ordinanza del 07/07/2017 del TRIBUNALE di REGGIO CALABRIA
sentita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO CENTOFANTI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
MARIELLA DE MASELLIS, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso;
udito l’avvocato LEOPOLDO MARCHESE, per l’indagato, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 21/03/2018

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RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Reggio Calabria, investito di richiesta di riesame ex art.
309 cod. proc. pen., con l’ordinanza in epigrafe confermava la misura della
custodia cautelare in carcere, applicata dal G.i.p. del medesimo Tribunale, in
data 12 giugno 2017, nei confronti di Bruno Polito, per concorso negli omicidi,
aggravati dalla premeditazione e dal metodo e fine mafioso, di Antonio Giuseppe,
Rosario e Saverio Trimboli.

di una violenta faida, che contrapponeva due importanti famiglie di `ndrangheta,
le famiglie Marando e Trimboli, in origine costituenti un’unica ‘ndrina e legate da
legami parentali e da interessi criminali principalmente connessi al traffico
internazionale di stupefacenti. Degli omicidi era principale artefice Pasquale
Marando, che avrebbe così agito a seguito dei gravi contrasti insorti tra le stesse
famiglie, e al fine di riaffermare la supremazia della prima. Su suo ordine,
Antonio Giuseppe Trimboli sarebbe stato prelevato con la forza in Bovalino (in
epoca successiva e prossima al 20 luglio 2001), condotto in Ciminà e qui ucciso
dall’odierno indagato, dallo stesso Pasquale Marando e da altri correi; mentre
Rosario e Saverio Trimboli sarebbero stati in Ciminà attratti con l’inganno (in
data successiva e prossima al 3 novembre 2001) e, per mano dei medesimi
esecutori, fisicamente eliminati. Pasquale Marando avrebbe in seguito subito la
vendetta dei Trimboli e pagato con la vita il suo antecedente crimine.

2. Per quanto di rilievo in questa sede, il Tribunale del riesame riteneva la
sussistenza di un grave quadro indiziario di responsabilità a carico di Bruno Polito
sulla base delle propalazioni de relato del collaboratore di giustizia Domenico
Agresta.
Questi, a proposito del primo delitto, già in un primo interrogatorio dell’Il
novembre 2016 aveva attribuito all’indagato il ruolo di aver portato Antonio
Trimboli al cospetto dei suoi assassini e lo aveva quindi collocato sulla scena del
crimine. Nelle successive dichiarazioni, rese il 13 gennaio 2017, Agresta aveva
precisato che era stato proprio Polito a raccontargli l’accaduto nei termini in
precedenza riferiti.
Quanto agli omicidi successivi, il collaboratore ne aveva fatto cenno
nell’interrogatorio dell’Il novembre 2016. Il 13 gennaio 2017 aveva poi più
diffusamente dichiarato di aver appreso dal padre dello stratagemma con cui
Polito aveva concorso ad attirare Rosario e Saverio Trimboli nell’agguato
mortale, con la consapevolezza di quanto sarebbe accaduto; circostanza che, in
seguito, sia pure in termini meno precisi, gli era stata confermata dallo stesso

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Secondo la prospettazione accusatoria, i tre omicidi erano maturati nel corso

Polito, che aveva associato tutti e tre gli omicidi come fossero parte di un’unica
vicenda.
Il Tribunale escludeva discrasie significative tra quanto narrato nei due
interrogatori, ne sottolineava il contenuto logico e lineare e smentiva che questo
fosse stato validamente contrastato da contrarie emergenze fattuali. Agresta era
soggetto ben inserito nel contesto ‘ndranghetistico, e le sue informazioni, di
prima mano, erano state del resto, seppur non nel particolare, sostanzialmente

3. Ricorre per cassazione l’indagato, tramite il difensore di fiducia, sulla base
di unica censura, che denuncia in modo articolato la violazione degli artt. 192,
commi 3 e 4, e 273, commi 1 e 1-bis, cod. proc. pen., nonché il vizio di
motivazione.
L’ordinanza impugnata, priva di ogni rielaborazione critica autonoma rispetto
a quella del G.i.p., nonché silente sulle principali questioni poste dalla difesa,
sarebbe in larga parte dedicata alla sterile illustrazione della c.d. faida di Platì,
culminata nell’omicidio di Pasquale Marando, e si occuperebbe solo
marginalmente della posizione di Bruno Polito.
La piattaforma indiziaria a suo carico, in ordine agli omicidi specificamente
ascritti, sarebbe costituita dalle affermazioni

(de relato)

di un unico

collaboratore, Domenico Agresta, tra loro contraddittorie e comunque prive di
qualunque riscontro individualizzante.
Non varrebbero come tale, del resto, rispetto all’omicidio di Rosario Trimboli,
neppure le dichiarazioni di Varacalli, lì ove questo secondo collaboratore – nel
riferire di aver saputo da Polito che fu lui ad invitare lo stesso Trimboli a recarsi a
Ciminà – aveva aggiunto che certamente Polito era al corrente di quello che
sarebbe successo; la descritta consapevolezza, da parte di Polito, sarebbe una
pura illazione del dichiarante, senza alcuna valenza indiziante.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. La motivazione dell’ordinanza impugnata non riflette adeguatamente, allo
stato, il requisito del necessario riscontro obiettivo estrinseco, ai sensi degli artt.
192, commi 3 e 4, e 273, comma 1-bis, cod. proc. pen., alla chiamata in reità
operata dal coimputato, o da soggetto che risponde di reati connessi o collegati;
riscontro che la più recente giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, n. 11509 del
14/12/2016, dep. 2017, Djorjevic, Rv. 26968; Sez. 5, n. 50996 del 14/10/2014,

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confermate dai collaboratori Rocco Marando e Rocco Varacalli.

Scalia, Rv. 264213) pretende individualizzato anche riguardo alla materia delle
misure cautelari personali.
Bruno Polito è gravato dalle sole dichiarazioni del collaboratore di giustizia
Agresta, l’unico che (de relato, dallo stesso indagato e da terzi) lo coinvolga nei
delitti come concorrente nella loro materiale esecuzione, e tale chiamata, pur
provenendo da soggetto che riveste l’indicata posizione processuale, non si
presenta, rispetto all’indagato, adeguatamente «vestita» nei termini precisati.
Occorre in proposito considerare che, secondo l’orientamento di questa

dep. 2013, Aquilina, Rv. 255143) e cui occorre dare continuità in questa sede, la
chiamata in reità de relato, anche se non asseverata dalla fonte diretta, può
avere come unico riscontro una o più chiamate anche di analogo tenore, purché,
tra l’altro, esse – indipendenti tra di loro (nel senso che non devono rivelarsi
frutto di eventuali intese fraudolente) e geneticamente autonome (ossia
derivanti da fonti di informazione diverse) – convergano in modo da riscontrarsi
vicendevolmente in maniera individualizzante, in relazione a circostanze rilevanti
del thema probandum.
Tale canone di epistemologia della prova, valevole anche per quella
cautelare, è palesemente violato dall’ordinanza impugnata, allorché questa
afferma che le dichiarazioni di Agresta sarebbero sostanzialmente confermate,
«seppur non nel particolare», da quelle di Rocco Marando, e di Varacalli, che
«contestualizzano la vicenda storica in cui sono maturati gli omicidi»;
collaboratori che avrebbero confermato il ruolo svolto, all’interno
dell’organizzazione ‘ndranghetistica’, da Antonio Spagnolo, amico ed alleato di
Pasquale Marando, e dallo stesso indagato, del primo fido sodale.
La motivazione così resa dal Tribunale non offre, come è palese, elementi
(ulteriori rispetto a quelli della fonte soggetta a conferma e verifica) in grado di
collegare direttamente l’indagato ai fatti omicidiari, ma solo un riscontro «di
contesto», inidoneo allorché si tratti di dimostrare non già l’appartenenza al
sodalizio (v., per tale ipotesi, Sez. 5, n. 21562 del 03/02/2015, Fiorisi, Rv.
263704), ma singole condotte-fine di carattere delittuoso.
Privo di significato, in chiave di riscontro accusatorio, appare del resto
l’ulteriore e finale richiamo che l’ordinanza impugnata opera al contributo
dichiarativo di Varacalli, secondo il quale l’indagato sapeva dell’agguato che
sarebbe stato teso a Rosario e Saverio Trimboli, essendo al corrente di quel che
Spagnolo gli diceva e pendendo dalla sua bocca.
In disparte ogni rilievo sulla consequenzialità logica delle proposizioni, ed
anche a ritenere che l’agguato rientrasse tra gli affari criminali di cui Spagnolo si
fosse occupato ed avesse realmente messo a parte il suo gregario (dati che

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Corte, espresso dal suo massimo consesso (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012,

purtuttavia non emergono), è evidente che tale supposta consapevolezza in capo
a Polito, non ulteriormente circostanziata nei tempi e nelle condotte che
l’avrebbero accompagnata o seguita, non assume alcuno specifico valore
indiziante di un suo concorso nei relativi omicidi.

3. Alle considerazioni che precedono seguono l’annullamento dell’ordinanza
impugnata e la necessità di riconsiderare, nel conseguente giudizio di rinvio, e

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame a. Tribunale
distrettuale del riesame di Reggio Calabria. Manda la cancelleria per gli
adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p.
Così deciso il 21/03/2018

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Fran –sco Cen ofanti

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secondo corretti canoni valutativi, la gravità del quadro indiziario.

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