Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20199 del 21/03/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 20199 Anno 2018
Presidente: CASA FILIPPO
Relatore: CENTOFANTI FRANCESCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BARONE GIOVAk,BATTISTA nato il 24/06/1963 a PALERMO

avverso l’ordinanza del 24/08/2017 del GIP TRIBUNALE di PALERMO
sentita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO CENTOFANTI;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale GABRIELE MAZZOTTA, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il
ricorso.

Data Udienza: 21/03/2018

N\

RITENUTO IN FATTO

1. Il G.u.p. del Tribunale di Palermo, in funzione di giudice dell’esecuzione,
con ordinanza 22 novembre 2016 riconosceva il vincolo della continuazione, ai
sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., in relazione ad una serie di reati per i quali
Giovanbattista Barone aveva riportato duplice condanna definitiva.
La più recente, indicata come titolo n. 1), era la sentenza emessa dal
medesimo G.u.p., a seguito di rito abbreviato, in data 18 dicembre 2013,

per associazione per delinquere di stampo mafioso (art. 416-bis cod. pen.) e per
tentata estorsione, aggravata ai sensi dell’art. 7 d.l. n. 152 del 1991, conv. dalla

I. n. 203 del 1991, in continuazione con il precedente.
La sentenza ulteriore – titolo n. 2) – era stata pronunciata, secondo il rito
ordinario, dalla Corte di appello di Palermo 1’11.4.2003, ed era divenuta
irrevocabile il 3.6.2004. I reati (in continuazione) oggetto della condanna erano
quelli di associazione per delinquere di stampo mafioso, contestato al capo a);
estorsione, come sopra aggravata, contestata al capo aa); estorsione,
consumata e tentata (fatti plurimi), danneggiamento (fatti plurimi), rapina e
sequestro di persona, tutti in pari titolo aggravati, già contestati dal capo b) al
capo z).
L’ordinanza assumeva, come reato più grave, quello associativo di cui al
titolo n. 1), fissando per esso la pena base di nove anni di reclusione.
Tale pena era di seguito:
– aumentata a dodici anni di reclusione e 15.000 euro di multa, n relazione
all’estorsione tentata di cui al titolo n. 1);
– ridotta ad otto anni e 10.000 euro, ai sensi dell’art. 442 cod. proc. pen.;
– ulteriormente aumentata di quattro anni e 2.000 euro, in relazione
all’estorsione di cui al capo aa) del titolo n. 2);
– ulteriormente aumentata di tre anni, in relazione al reato associativo di cui
al capo a) del medesimo titolo;
– conclusivamente aumentata di tre anni e 1.000 euro, in relazione agli
ulteriori reati sub titolo 2), capi da b) a x).
Si perveniva così alla pena finale di diciotto anni di reclusione e 13.000 euro
di multa.

2. In data 3 marzo 2017 il condannato sollevava, in ordine alla
continuazione come già riconosciuta, nuovo incidente di esecuzione, segnalando
che – seppure la pena detentiva finale, all’esito della pregressa valutazione, era
stata mitigata – i singoli aumenti, applicati per i capi da a) a x) del titolo n. 2),

2

confermata in appello, irrevocabile il 26.5.2016. Barone era stato ivi condannato

risultavano superiori a quelli rispettivamente disposti in cognizione, ciò violando
il sopravvenuto insegnamento impartito da Sez. U, n. 6296 del 24/11/2016, dep.
2017, Nocerino, Rv. 268735.

3. Il giudice dell’esecuzione, accogliendo il rilievo, con l’ordinanza in epigrafe
interveniva nuovamente sulla dosimetria della pena detentiva.
Questa era ricalcolata come segue.
Gli aumenti per il reato associativo di cui al capo a) del titolo n. 2), e per i

misura di cui al giudizio di cognizione (rispettivamente, un anno e quattro mesi,
nonché due anni ed otto mesi di reclusione).
Tuttavia il giudice, reputandosi titolato a rivalutare ex novo il trattamento
sanzionatorio, riteneva di dover elevare di otto mesi la misura dell’aumento di
pena detentiva in relazione all’estorsione sub aa) del titolo n. 2). Egli, inoltre,
constatato come il primitivo provvedimento ex art. 671 cod. proc. pen. non
facesse menzione dei reati di cui ai capi y) e z) dello stesso titolo, ed avesse
quindi tralasciato di disporre in ordine ai relativi aumenti, reputava di dover
ovviare a tale omissione, ricondotta ad errore materiale emendable ai sensi
dell’art. 130 del codice; gli aumenti in questione erano quantificati nella misura
complessiva di un anno e quattro mesi di reclusione.
In tal modo, i due anni di pena detentiva, scomputati in accoglimento della
prospettazione difensiva, erano esattamente «bilanciati» dagli aumenti testé
citati, e la pena finale, all’esito del rinnovato giudizio, rimaneva attestata a
diciotto anni di reclusione e 13.000 euro di multa.

3. Ricorre per cassazione il condannato, per mezzo del difensore di fiducia,
formulando due motivi.
Con il primo di essi il ricorrente deduce – in relazione all’art. 606, comma 1,
lett. b), cod. proc. pen. – la violazione degli artt. 127 e 130 dello stEsso codice,
sostenendo l’impossibilità di ascrivere alla fattispecie dell’errore materiale
l’antecedente incompleta rappresentazione del quadro sanzionatorio, e
comunque dolendosi della mancata attivazione del contraddittorio sul profilo
specifico.
Nel secondo motivo il ricorrente lamenta – in relazione all’art. 606, comma
1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. – la rivisitazione peggiorativa del trattamento
sanzionatorio, su aspetti ormai coperti dal giudicato, in violazione dell’art. 597
cod. proc. pen., e comunque il vizio di motivazione in ordine alle quantificazioni
illegalmente operate.

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reati di cui ai capi da b) a x) dello stesso titolo, erano ricondotti alla medesima

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, sotto entrambi i motivi, tra loro connessi e da esaminare
congiuntamente, è fondato.

2. In linea generale, il c.d. giudicato esecutivo opera anche in materia di
applicazione della disciplina del reato continuato in ordine a fatti già giudicati con
sentenze o decreti penali già irrevocabili, a norma dell’art. 671 cod. proc. pen.

dell’esecuzione, conseguente alla sua mancata impugnazione o all’esito
sfavorevole di essa, determina una preclusione alla rivalutazione del medesimo
tema, inoperante (v., da ultimo, Sez. 1, n. 7877 del 21/01/2015, Conti, Rv.
262596) solo quando siano dedotti elementi nuovi, di fatto o di diritto,
cronologicamente sopravvenuti alla decisione, ovvero siano prospettati elementi
pregressi o coevi che, tuttavia, non abbiano formato oggetto di considerazione,
neppure implicita, da parte del medesimo giudice.
Tra i nuovi elementi di diritto, idonei a legittimare la riproposizione, in sede
esecutiva, della richiesta di continuazione, può rientrare senza dubbio il
mutamento di giurisprudenza, intervenuto con decisione delle Sezioni Unite della
Suprema Corte, come è stato da quest’ultima ripetutamente affermato con
riferimento all’indulto (Sez. U, n. 18288 del 21/01/2010, Beschi, Rv. 246651),
alla confisca (Sez. 3, n. 27702 del 01/04/2014, Auricchio, Rv. 260232) o alla
ridefinizione del trattamento sanzionatorio, conseguente ad intervenuta
pronuncia d’illegittimità costituzionale (Sez. 1, n. 12955 del 12/02/2016,
Buscaglia, Rv. 267287).

3. Correttamente, pertanto, il Tribunale ha ritenuto di dover riesaminare
l’ordinanza ex art. 671 cod. proc. pen. già adottata nei confronti di Barone, alla
luce dell’arresto successivamente enunciato dalle Sezioni Unite (n. 6296 del
24/11/2016, dep. 2017, Nocerino, Rv. 268735, sopra citata), e di conformarsi
all’espresso principio di diritto, secondo cui il giudice dell’esecuzione, nel
procedere alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio per effetto
dell’applicazione della disciplina del reato continuato, non possa quantificare gli
aumenti di pena per i reati-satellite in misura superiore a quelli fissati dal giudice
della cognizione con la sentenza irrevocabile di condanna.
La consentita rivalutazione era però confinata in tale ambito, destinato ad
incidere in melius sul trattamento sanzionatorio già definito, restando nel resto
operante la preclusione da giudicato.

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L’intervenuta definitività del provvedimento adottato al riguardo dal giudice

Fuori dal sistema appare così la decisione impugnata, lì ove essa è
nuovamente intervenuta su aspetti ulteriori di quel trattamento, non incisi dal
novum giurisprudenziale, determinandone peraltro il peggioramento.
Palese è anzitutto la violazione del giudicato esecutivo, indotta
dall’applicazione di aumenti ulteriori di pena, in ordine ai reati di cui ai capi y) e
z) del titolo n. 2), che, sia pure per mera dimenticanza, non avevano formato
oggetto di precedente valutazione.
Vale infatti, e deve essere qui ribadito, il principio (v. Sez. 1, Sentenza n.

di esecuzione, l’omessa valutazione, da parte del giudice, di un elemento
decisivo – risultante dagli atti sottoposti al suo esame al momento della
decisione – non costituisce un novum suscettibile di determinare il superamento
della preclusione derivante dal c.d. giudicato esecutivo, né tantomeno un errore
materiale emendabile con la relativa procedura di correzione, ma un errore di
giudizio, in fatto o in diritto, cui deve porsi rimedio con l’impugnazione, in difetto
della quale si configura un’ipotesi di acquiescenza alla decisione.
A maggior ragione sussiste la violazione del giudicato, per effetto
dell’innalzamento dell’aumento di pena che era stato già disposto in -elazione al
capo aa) del titolo n. 2), frutto di puro e semplice ripensamento

in peius,

certamente non consentito.

4. L’ordinanza impugnata deve essere pertanto annullata, in punto di
quantificazione della pena, che deve essere rideterminata previa espunzione
degli aumenti illegittimamente disposti, pari a complessivi due anni di reclusione.
A tanto può provvedere questa Corte, senza pronunciare rinvio, ai sensi
dell’art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen., restando la pena finale fissata,
all’esito della continuazione, in quella di sedici anni di reclusione e tredicimila
euro di multa.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata limitatamente alla quantificazione
della pena, che ridetermina in anni sedici di reclusione e tredicirrila euro di
multa.
Così deciso il 21/03/2018

47041 del 24/01/2017, Prostamo, Rv. 271453), per cui, in tema di procedimento

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